Cosa pensi della situazione attuale relativamente alla proposta di accorpamento dei piccoli comuni
Dalla prima formulazione dell’art. 16 del D.L. n. 138 è emerso il carattere propagandistico della manovra, pura demagogia politica. La cancellazione oltre 1.900 consigli comunali poteva forse apparire come una notizia positiva se appresa in un’assolata spiaggia dell’Adriatico, o valutata da una città metropolitana, ma mostra subito il suo colore strumentale quando si apprende che quei consiglieri svolgono gratuitamente il loro ruolo. Si tratta cioè di uno di quegli ambiti in cui si mostra il confine, nettissimo, che separa la grande politica, quella dove ci sono (ancora) le risorse economiche e la piccola politica, quella vicina al territorio ed alla sua gente.
Per essere più espliciti, basti pensare che l’azzeramento di 1948 consigli comunali avrebbe prodotto un risparmio annuo pari alla riduzione di 4 parlamentari. La proporzione è evidente: si intendevano tagliare 1948 comuni su 8092 (dato referendum 2011); invece di tagliare 4 parlamentari su 945 (Camera e Senato uniti).
Un altro conto che si può fare, certo più divertente, è quello che vede corrispondere i tagli ai piccoli Comuni ai costi annui della buvette del Parlamento! Il nuovo testo sarà da leggere con molta attenzione, quello che oggi emerge è che dall’unione forzosa dei piccoli comuni, che ne avrebbe decretata la cancellazione, si vuole passare all’unione dei servizi, riducendo ulteriormente nel contempo i pochissimi trasferimenti. La razio in se appare logica, infatti già prevista in leggi precedenti, ma le modalità e gli effetti conseguenti non sono chiari, anzi destano forte preoccupazione C’è un aspetto importante della vita delle piccole amministrazioni che il legislatore sembra non conoscere dal quale consegue che ridurre il numero dei piccoli comuni non produrrà un risparmio, ma anzi un aumento della spesa pubblica. Non è solo questione di quanto sia inutile il provvedimento, quello che chi “vive di politica” evidentemente non può capire, è che ci sono (ancora) persone che svolgono un ruolo, assumendosi delle responsabilità, senza per questo rappresentare un costo.
Mi spiego meglio, nei piccoli comuni molte funzioni sono svolte dagli amministratori, che in assenza di funzionari e dipendenti si prestano ad essere loro stessi i Responsabili del Servizio di turno, magari appoggiandosi ad un consulente. Si assumono cioè oneri a loro carico perché credono nel loro compito di “volontariato istituzionale”. Quindi, nel momento in cui tutte le funzioni saranno svolte in forma associata tra più comuni, quelle stesse funzioni saranno necessariamente affidate a funzionari, certo titolati per farlo, ma il cui costo si farà sentire sui bilanci degli enti. Dove prima bastava un consulente, sarà necessario un dipendente: dov’è il risparmio?
Come valuti siano considerati in particolare i Comuni di montagna?
Un’altro criterio che pare sfuggire alla logica del legislatore è relativo a come i piccoli Comuni rappresentino una risorsa sul territorio collinare e montano, ovvero la gran parte del territorio italiano. Sono connaturati alle “terre alte” problemi che derivano dal decentramento e dalla distanza da servizi fondamentali, ai quali le piccole amministrazioni trovano risposte innanzitutto attraverso l’impegno dei propri amministratori. In pianura la soglia dei 5.000 abitanti di cui parla la manovra può appartenere ad un piccolo centro urbano, in montagna si devono accorpare territori molto estesi, che quindi risulterebbero difficilmente gestibili.
Un recente studio comparava la densità di popolazione tra le Alpi italiane e quelle francesi, mostrando una distanza abissale tra i due versanti della montagna, con i nostri paesi sempre più poveri di servizi ed in fase di riduzione demografica. In Francia, invece, sono anni che vengono svolte politiche per contrastare lo spopolamento, con il conseguente sviluppo di centri più popolosi e con un migliore livello di qualità della vita, quindi capaci di attrarre anche giovani e fornire occupazione.
Più in generale occorre ricordare che su tutto il territorio francese, con una popolazione di poco inferiore alla nostra, ci sono il triplo di nostri Comuni, senza per questo pensare di tagliarli.
Credo che queste valutazioni siano anche la conseguenza del fatto che in questi ultimi anni è cresciuta la distanza tra la grande politica – quella con le risorse, ma in flagranza di deficit democratico (i parlamentari non eletti) – e la piccola politica – quella che si svolge all’interno delle regole democratiche, ma senza risorse – cioè negli ultimi anni è avvenuta una separazione sempre più netta tra cittadini e politica, concentrando potere nelle mani di chi non è espressione degli stessi cittadini.
Invece in termini più generali …
La motivazione degli accorpamenti dovrebbe essere quella di far risparmiare lo Stato, in vista di una crisi economica sistemica e di dimensioni globalizzate. Quello che però non si sente mai dire, è che questa crisi economica è – innanzi tutto – una crisi di valori. Intendo la parola “valori” in astratto, senza connotati religiosi o filosofici: gli storici dell’economia hanno reso evidente come economia e sistemi valoriali non sono mai ambiti separati, ma interagiscono, influenzandosi reciprocamente. Al cambiare dell’una, prendono vigore nuove idee, più affini. Ciò premesso è persino banale affermare che si può uscire da questa crisi economica solo se si cambia il sistema di valori di riferimento, quindi il modello di sviluppo che da questo è stato generato.
Ed il modello di sviluppo dominante ci ha reso capaci di costruire megalopoli e di urbanizzare il mondo, ma è sempre più difficile creare comunità, cioè un tessuto sociale coeso e solidale. I piccoli comuni non sono un orpello del passato da tagliare, ma uno degli strumenti dai quali ripartire per ricostruire, dal basso e capillarmente sul territorio, una società più giusta e democratica. Se la questione vera è fronteggiare la crisi, occorre tenere presente che avremo sempre più bisogno di solidarietà e coesione sociale, due elementi che è più facile coltivare nei piccoli centri. Il problema si pone quando coesione e solidarietà servono per fronteggiare difficoltà, come l’attuale crisi economica. Ed i piccoli comuni sono l’istituzione certo più vicina all’idea di comunità ed alla gente. cosa si può fare? Se gli anni ’60 e’ 70 sono stati caratterizzati dalla partecipazione alla vita politica, oggi a molti l’idea di produrre cambiamenti appare come una sfida troppo grossa, ci si sente troppo piccoli per produrre dei cambiamenti. Ecco, credo si debba uscire da questo modo di pensare, i cambiamenti non potranno avvenire attraverso macro processi collettivi, ma attraverso esempi concreti di ciò che funziona diversamente e lo fa bene. Forse non è più il tempo dei grandi movimenti di massa, ma può tornare di moda il motto “pensare globalmente, agire localmente”. La soluzione insomma non consiste in un’unica risposta univoca, ma in molteplici esempi. Si deve osservare con attenzione, ma soprattutto sostenere fattivamente la diffusa tendenza volta a riappropriarsi di quello che possiamo definire come “bisogno di comunità”, che si traduce ad esempio nella crescente diffusione di buone pratiche – come i gruppi di acquisto solidali, i car-sharing, i micronido a conduzione familiare, i condomini solidali, ecc. – atti a consentire il soddisfacimento di bisogni individuali organizzandosi autonomamente assieme ad altri. Nella nostra epoca, in cui è difficile catalizzare l’interesse di molti verso processi di massa di trasformazione della società, acquistano ancora più importanza gli esempi, anche piccoli, di ciò che funziona e dimostra che si può anche vivere diversamente. Le Comunità Intenzionali sono la punta più avanzata di questa tendenza, mentre i piccoli comuni la storia a cui ispirarsi.
Parlaci un po’ della vostra esperienza
Amministrare un piccolo comune è coerente con l’esperienza maturata in seno ad una comunità intenzionale come Damanhur. Ad esempio sono paragonabili le dimensioni e sia pure con i dovuti distinguo, alcune esperienze e buone pratiche comunitarie possono venire tradotte e rese praticabili anche in ambito pubblico.
Nel nostro caso si tratta della ricerca di un punto di equilibrio tra la sensibilità verso i temi della sostenibilità ambiente e gli aspetti identitari della tradizione, che poi sono le “best practise” dei nostri nonni, che per sopravvivere sostenibili dovevano esserlo per forza e non per moda.
Di questo si sono accorte anche le Nazioni Unite, che tramite una propria agenzia hanno premiato Damanhur ed il Comune di Vidracco come esempio sostenibilità applicata a favore di un territorio.
Negli anni sono stati sviluppati molti progetti, ne cito alcuni. In paese esiste un vecchio mulino, da lungo tempo abbandonato, che è stato ristrutturato e trasformato in ecomuseo dedicato all’acqua e gli antichi mestieri. Dal prossimo autunno agli impieghi didattici si aggiungerà l’utilizzo delle vecchie macine per la produzione di farina di castagne, una risorsa presente sul territorio, ma oggi trascurata.
Una vecchia sorgente, un tempo utilizzata per usi industriali, è stata collegata alle case del paese realizzando un acquedotto rurale, destinato agli usi irrigui (vista la presenza di molti orti) ed utile per far risparmiare le famiglie, che vi ricorrono dove non serve l’acqua potabile (ad esempio per fare la lavatrice, o per lavare la macchina). Il comune dispone di un proprio impianto fotovoltaico sul Municipio ed è in procinto di realizzare una nuova centrale su terreni inutilizzati.
Si è realizzata un’area mercatale dedicata al prodotto tipico e biologico, a sostegno dei produttori locali, che sarà inaugurata in autunno. Connessa al mercato agricolo anche una banca dei semi, volta a conservare le varietà tipiche, anche intessendo collaborazioni con i privati proprietari di orti. Recentemente, stufi di essere considerati cittadini di serie B per quanto concerne l’accessibilità alla rete (fortemente penalizzata in molte zone periferiche), si è realizzato a spese del Comune un sistema di hot spot che consente l’accesso gratuito ad internet in banda larga su tutto il territorio comunale (un ora al giorno), quindi anche ad uso dei turisti e come incentivo per le attività che vogliono insediarsi.
Molta attenzione è stata posta anche alle attività culturali, con una rassegna “Cultura, Arte e Pace”, giunta quest’anno alla sua sesta edizione e molte altre iniziative volte a portare l’arte e la cultura in paese. A tal proposito è da citare anche l’evento “Il Paese racconta”, alla sua seconda edizione, dove pittori e scultori espongono le proprie opere direttamente sui muri delle case, trasformando Vidracco in una galleria all’aperto.
Molto di tutto ciò è possibile realizzarlo grazie all’impegno di volontari, fondamentali nella governance di un piccolo comune. Quegli stessi volontari che la manovra di questa estate vorrebbe ridurre drasticamente nei numeri, togliendo ai comuni anche questa fondamentale risorsa umana a costo zero.
[http://www.comune.vidracco.to.it]( www.comune.vidracco.to.it)
[http://www.conacreis.it](www.conacreis.it)
[http://www.damanhur.info](www.damanhur.info)