Presentazione della quarta puntata dell’ebook “Progressisti in Divisa”, di Patrick Boylan, visibile su Megachip a: http://bit.ly/pid-04
[In quegli anni sentivamo]
la paura e il piacere
di amare la falce e il martello.
— Pier Paolo Pasolini, “La meglio gioventù”
Hanno segnato una cesura radicale nella vita politica italiana i cosiddetti “anni di piombo” — cioè, il quindicennio di violenze politiche rosse e nere (ma anche di Stato), commesse tra il 1969 ed il 1984 in diversi paesi del mondo, tra cui l’Italia. Il sequestro-assassinio del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, per mano delle Brigate Rosse nel 1978, è rimasto l’emblema degli “anni di piombo” italiani.
Si tratta, dunque, di uno spartiacque i cui effetti ancora si sentono, e che sembra aver condizionato in modo particolare le vicende personali di Paolo Dall’Oglio e di Giulio Marcon, i due protagonisti della quarta puntata dell’ebook Progressisti in Divisa.
Nel 1970, Dall’Oglio aveva 16 anni, proprio come Coràn — il giovane antifascista friulano impiccato dai nazisti e ricordato nella celebre raccolta di poesie di Pier Paolo Pasolini, “La meglio gioventù”. Dall’Oglio frequentava in quel periodo la “rossa” comunità cattolica di base di Giovanni Franzoni a Roma. “Ero figlio di partigiano”, racconta, e quindi battagliero; “tuttavia, mentre altri miei compagni hanno fatto scelte drammatiche [di fiancheggiare i gruppi rivoluzionari combattenti — ndr]”, egli ha capito, grazie a Franzoni, che poteva battersi meglio “per i poveri e gli oppressi” da sacerdote, predicando il Vangelo. [Vedi:http://bit.ly/link-125 , http://bit.ly/link-126 ]
O così gli è sembrato fino al 2011, cioè, fino allo scoppio della “rivoluzione popolare” in Siria, dove egli si trovava presso un monastero sperduto tra le montagne a nord di Damasco. Si direbbe che questo evento lo abbia riportato indietro negli anni della sua giovinezza. Solo che, questa volta, egli ha scelto di fare ciò che aveva rigettato quarant’anni prima: predicare la lotta armata. (Il che gli è costato, poi, l’espulsione dalla Siria). E forse anche praticare la lotta armata, da nuovo frate Mitra? La tentazione probabilmente c’è stata, come si evince dal suo ultimo blog sul HuffPost (19-7-2013), in cui Dall’Oglio parla di “noi” guerriglieri e giustifica persino l’uso delle armi chimiche contro Assad [Vedi: http://bit.ly/link-127 ] .
Ma se Dall’Oglio è rientrato clandestinamente in Siria il 26 luglio 2013, per poi scomparire tre giorni dopo tra le fila dei jihadisti della città di Raqqa, verosimilmente non è stato per cercare di arruolarsi nelle milizie di al Nusra/SIIL, bensì per cercare di arruolare le milizie di al Nusra/SIIL in un eventuale esercito unitario anti-Assad, insieme alle varie fazioni del cosiddetto Esercito Libero siriano. Questo, infatti, è il disegno che egli stesso ha detto, nel suo blog, di voler perseguire prioritariamente.
Quale che sia il motivo vero del viaggio di Dall’Oglio a Raqqa, una cosa sembra certa: egli è ormai deluso dagli americani. Sin dall’inizio della “rivoluzione” siriana (e anche prima), essi avevano sostenuto i rivoltosi con danaro, apparecchi di telecomunicazione, addestramenti, rifugi (safe houses), armi e… promesse. Inoltre avevano assecondato i viaggi di Dall’Oglio nel mondo per rastrellare consensi a favore di un intervento militare esterno in Siria, a nome del Nuovo Pacifismo — quello armato della “responsabilità di proteggere”.
Ma ora gli Stati Uniti sembrano aver tirato i remi in barca. Sanno di non poter far vincere sul campo le milizie a loro leali e, per via dei veti della Russia e della Cina al Consiglio di Sicurezza, non possono partecipare direttamente al conflitto siriano per determinarne gli esiti. Potrebbero sostenere l’opposizione siriana non violenta, che dice di saper creare le alleanze necessarie per cacciare Assad alle elezioni del 2014. Ma questa opzione non offrirebbe agli USA un tornaconto sicuro: l’opposizione non violenta è poco arrendevole e, anzi, annovera al suo interno uno dei partiti comunisti siriani più antimperialisti. Sembrerebbe quindi che i vertici statunitensi siano orientati a questo punto ad accontentarsi di una “soluzione libica”, ossia di una Siria terra di nessuno, frammentata, in rovine, lacerata da continui conflitti residui, incapace di prendere iniziative internazionali. E quindi una Siria che almeno non disturbi.
Per chiunque ami la Siria, questa sciagurata scelta grida vendetta. Ed è forse questo il senso del viaggio di Dall’Oglio fino a Raqaa.
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Giulio Marcon, invece, aveva 16 anni nel 1975, anno di svolta per le Brigate Rosse in Italia. I capi storici erano stati (o sarebbero stati, da lì ad un anno) catturati o uccisi, consentendo a Mario Moretti di assumere il controllo delle BR. (N.B. Molti analisti degli Anni di Piombo, come all’epoca molti degli stessi Brigatisti incarcerati, hanno visto in Moretti un possibile agente dei Servizi Segreti USA/italiani, infiltrato nelle BR per indirizzarne le azioni. Vedi: http://bit.ly/link-128 .) Sotto la nuova direzione di Moretti, infatti, le Brigate Rosse fecero il famoso “salto di qualità”. Passarono dalle azioni parasindacali nelle fabbriche, alle azioni che miravano a condizionare la politica nazionale ed a isolare il Partito Comunista Italiano. L’apice è stato il rapimento Moro alla vigilia dell’intesa DC-PCI per un nuovo governo.
Cui prodest? La strategia terroristica delle Brigate Rosse è stata a tutto vantaggio dei poteri forti italiani (ed americani): consentì la creazione di uno Stato poliziesco e un controllo sociale totale; isolò il PCI; condizionò la formazione del nuovo governo, rimasto monocolore DC; condizionò anche l’immaginario collettivo italiano: da quel momento essere “rossi” significava essere violenti e crudeli.
I giovani — quelli che sarebbero poi diventati la “Generazione X” — si allontanavano dalle manifestazioni della sinistra tradizionale, “rosse” e “collettive”. Ideavano contestazioni proprie, “verdi” e “individualiste”. Lanciarono lo slogan “il personale è politico”.
All’inizio degli anni ’80 poi, i poteri forti promossero una campagna per depoliticizzare la società italiana del tutto, particolarmente i giovani — una massiccia lobotomia, purtroppo riuscita, che viene descritta nella presente puntata di “Progressisti in Divisa”.
Ecco, dunque, lo “spirito dei tempi” che regnava quando il giovane Giulio Marcon fece i suoi primi passi nell’attivismo sociale, entrando nel Servizio Civile Internazionale e poi nel movimento pacifista, di cui diventò portavoce (1993-98). E con lui si affermò la nuova mentalità della “Generazione X”.
Sparisce dai documenti del movimento pacifista il vocabolo — e persino il concetto — di “imperialismo”, ossia il predominio di un paese su un altro per sfruttarlo, radice di ogni guerra. Il termine risulta evidentemente troppo “rosso”, vecchio stile. Subentra una visione particolaristica delle cause dei conflitti, sociologicamente valida ma che li rende irrisolvibili. E anche quando le analisi partono correttamente dagli interessi economici in gioco, finiscono col respingere comunque il termine e il concetto di “imperialismo”, considerato incapace di “cogliere la natura delle nuove guerre” [vedi: http://bit.ly/link-129 , p. 19]. In fin dei conti, se le guerre vanno condannate, non è perché sono “la faccia violenta dell’imperialismo”, ma perché sono “disumane”.
Indubbiamente, disumane sono. Ma questa visione riduttiva ha consentito poi ai poteri forti, negli anni successivi, di tappare la bocca al movimento pacifista, vendendo le loro guerre come squisitamente “umanitarie”. Così è stato per l’Afghanistan, la Costa D’Avorio, la Libia ed ora la Siria — tutte guerre fondamentalmente imperialiste, ma che il movimento pacifista non è riuscito più a cogliere ed a denunciare come tale. Tutt’al più brontola per gli alti costi di queste guerre in un tempo di crisi…
Il che ci riporta ai tempi nostri.
Per la Puntata 4 — Dall’Oglio e Marcon — dell’ebook “Progressisti in Divisa” di Patrick Boylan, che appare sulla rivista online Megachip, digitare http://bit.ly/pid-04 .