In una Gerusalemme dal cielo grigiastro e l’aria irrespirabile che sembrava la risposta della natura ai sorrisi soddisfatti di Netaniahu per essere riuscito – con la complicità dell’Italia – a utilizzare lo sport per riaffermare il potere della bugia e della forza sul Diritto internazionale, si è aperta la più grande gara ciclistica del 2018 consacrando, a livello mediatico, la pretesa israeliana di annessione di Gerusalemme e di farne capitale del suo Stato.
Sotto i pedali del “giro d’Italia”, e in nome di una bugia superbamente confezionata, strumentalizzando la figura del grande Gino Bartali, il crimine dell’occupazione militare israeliana si è volatilizzato, trasformandosi in omaggio allo Stato occupante.
Inutilmente da Ramallah i ciclisti palestinesi, quelli non ancora gambizzati dall’esercito israeliano, hanno cercato di richiamare l’attenzione mediatica organizzando un loro giro ciclistico fino al muro di Qalandia, laddove il check point israeliano impedisce loro di raggiungere Gerusalemme “in quanto palestinesi”. Solo un giornale italiano, che si sappia, ha riportato la notizia di questo Giro palestinese che grazie ai social e all’agenzia di stampa NenaNewsAgency non è passata del tutto insservata.
Intanto, mentre si ignorava il Diritto internazionale coprendone con la facciata sportiva la sua continua violazione, a qualche decina di chilometri, in un’aria più irrespirabile ancora di quella di Gerusalemme, ma non per fenomeno naturale, si preparava, lungo i confini assediati di Gaza, il 6° venerdì della grande marcia per il diritto al ritorno.
Anche questo venerdì ha visto la cretività dei partecipanti alla marcia in antagonismo alla violenza degli assedianti. Sono stati usati i racchettoni da mare per respingere i tear-gas, di cui Israele ha fatto larghissimo uso intossicando qualche centinaio di partecipanti compresi quelli distanti centinaia di metri dal border. Con le tradizionali fionde sono stati abbattuti due sofisticatissimi droni. E ancora grande uso di aquiloni e,soprattutto, la capacità di dimostrare che i partecipanti alla marcia non hanno paura di un nemico tanto forte e tanto armato, e che seguiteranno a pretendere l’applicazione dei diritti sanciti dall’ONU.
Questo venerdì non ci sono stati morti, sebbene tra i circa 1100 feriti diversi di loro siano stati colpiti al collo o nella parte alta del corpo ma, seppure ce ne fossero stati, ormai sappiamo che a loro non si sarebbe dato il giusto valore nei grandi media, così come non se ne è dato, per contro, alle terribili affermazioni razziste, di incitamento alla violenza e all’omicidio che periodicamente vengono lanciate, non solo dall’uomo della strada, ma da rappresentanti del governo o del parlamento israeliano quali Liberman, Bennett o Ayelet Shaked, mentre è sotto gli occhi di tutti la grande rilevanza data alle affermazioni di Abu Mazen in quanto in esse si è colto dell’antisemitismo. Basterebbe leggerlo, il discorso di Abu Mazen, per capire quanto improvvida sia stata la sua dichiarazione visto l’uso che sarebbe stato fatto delle sue parole sebbene riferite a situazioni storicamente e socialmente concrete. Ma come sempre il presidente Abu Mazen, invece di rispondere a chi stava strumentalizzando le sue parole, cioè i media di tutto il mondo su veline israeliane, ha preferito scusarsi per aver offeso involontariamente “gli ebrei”, regalando un’altra palla a chi gioca sull’antisemitismo per annettersi illegalmente l’intera Palestina.
Mentre scriviamo, il giro d’Italia seguita le sue tappe asiatiche da Haifa a Tel Aviv, da Ber’sheva a Eilat, pedalando su strade che fino al 1948 erano città e villaggi palestinesi. Di questo non si cura l’Italia che ha accettato l’imbroglio sulla figura di Bartali per accreditare il più fuorilegge degli Stati considerati democratici e dare il suo contributo a un’operazione che grazie a Trump dimostra a tutto il mondo quanto la forza e il denaro vincano sul diritto. La RCS Media Group, cioè gli organizzatori italiani del Giro, hanno anche ringraziato Israele per “questa bellissima occasione”, cioè l’occasione di usare lo sport a favore dell’illegalità. E questa non è una dichiarazione di parte, ma la sintesi dello studio di un’amplissima documentazione storica alla quale anche storici israeliani hanno dato il loro sostanziale contributo.
Israele, il 14 maggio di 70 anni fa, nasceva cacciando o uccidendo un altissimo numero di palestinesi e distruggendo 432 villaggi impadronendosi di tutto il possibile. L’Onu cercava formalmente di porre minimamente rimedio alla “catastrofe” con una serie di Risoluzioni successive all’autoproclamazione della nascita di questo Stato che però, per Israele, sono sempre state state solo pezzi di carta e quest’anno, grazie anche a Trump, farà o tenterà di fare il colpo grosso: il riconoscimento di Gerusalemme come sua capitale cancellando agli occhi del mondo l’illegalità e l’illegittimità della sua occupazione.
Ma Israele sa che una gran parte di palestinesi, sia musulmani che cristiani, non accettranno mai quest’annessione, né la perdita dei loro diritti e, a un’ottantina di chilometri da qui, circa 20-30.000 persone seguitano a dirglielo nella forma più intelligente e coraggiosa che abbiano saputo inventare i palestinesi: la grande marcia sotto un’unica bandiera, mettendo da parte le divisioni dei vertici. Una marcia di popolo, basata sulla non-violenza e avendo come tattica l’uso dell’ironia e delle azioni simboliche, come quella di strappare qualche metro di rete per mostrare che anche l’assedio più sofisticato e più crudele ha i suoi punti deboli. Hanno pagato caro per questo, ma né i 50 morti, né i 6000 feriti li hanno fatti arrendere.
I media però non raccontano queste manifestazioni né in modo adeguato, né in modo corretto, anche perché non sono sul campo, perdendo così una grande occasione: quella di capire e far capire che non si tratta di marce rituali, ma di una strategia che forse riuscirà a dare una svolta a questo conflitto quasi centenario grazie alla creazione di un unico fronte resistenziale.
Forse la Grande marcia non riuscirà a raggiungere il suo scopo, forse i nemici diretti e indiretti sono troppo potenti e numerosi, ma questo lo vedremo nei prossimi mesi. Intanto i comitati organizzatori si preparano per il prossimo venerdì, cercando di mandare il loro messaggio oltre l’assedio che strangola Gaza da 11 anni.
La marcia continua e il Giro d’Italia rientrerà nei confini dopo aver reso i suoi servigi a Netanyahu il quale, proprio oggi, per legge della Knesset, assumerà su di sé il diritto di dichiarare guerra senza doverlo concordare almeno con l’esecutivo. Questo è un altro passo che allontana sempre di più Israele dai pilastri della democrazia, ma che – senza vergogna – tutti i suoi sostenitori seguiteranno a chiamare Stato democratico.