Molto bene ha fatto Anna Polo a scrivere la sua memoria del ’68; il suo intervento al tempo stesso appassionato ed equilibrato mi è piaciuto. Data la parzialità e la provvisorietà delle valutazioni che è possibile esprimere a distanza di mezzo secolo – ancora insufficienti per un pieno giudizio storico, con molti dei protagonisti ancora in vita – penso che sarebbe molto opportuno che tutti aggiungessimo e integrassimo i nostri punti di vista a quelli di Anna.
Io ero laureato in Fisica da 3 anni e nel novembre di quell’anno assunsi l’incarico di insegnamento di Meccanica Statistica all’Università di Firenze: dove ho avuto la fortuna di rimanere fino al pensionamento nel 2009 (si, per varie circostanze veramente fortunate, dal sopraggiungere della stabilizzazione degli incarichi d’insegnamento prima che potessero rendersi conto che ero un rompiscatole e farmi fuori, al ruolo di Professore Associato nel 1980, in quel concorsone di idoneità che immise nel ruolo degli Associati una marea di Professori Incaricati e altri precari, ma al tempo stesso servì per buttare fuori i più scomodi, e io ebbi appunto la fortuna di cascare nella commissione giusta).
Io avevo la mia condizione di studente alle spalle, ma oltre a stabilire quasi subito un legame organico con gli studenti, mi trovai a tessere intensi rapporti con i giovani colleghi fisici italiani, a vivere i fermenti di critica radicale della scienza “capitalistica” e a contribuire collettivamente a gettare i semi per un rinnovamento della mia disciplina. Una cosa che forse si percepisce raramente è che l’onda della contestazione (non solo studentesca, come dirò) dell’autorità accademica innescò un profondo rinnovamento di tutte le discipline.
Forse è difficile oggi percepire questi cambiamenti perché a molti di essi ci siamo ormai abituati. Negli anni recenti mi sono dedicato a ricostruire con un certo dettaglio i fermenti fra i giovani fisici di allora, perché ho ormai il chiodo fisso di recuperare e lasciare la memoria del passato, perché la perdita di memoria e il fatto che la storia sia per lo più scritta dai vincitori è per me uno dei problemi cruciali dell’umanità. D’altra parte molte testimonianze dirette andranno perdute quando tutti i protagonisti di allora saranno scomparsi. Qui cercherò di riassumere i punti più salienti; chi fosse incuriosito può trovare una ricostruzione molto più dettagliata in: A. Baracca e F. Del Santo, “La giovane generazione dei fisici e il rinnovamento delle scienze in Italia negli anni Settanta”, Altro900, n. 34, ottobre 2017, http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_articolo=34&tipo_articolo=d_saggi&id=357.
La situazione che trovai nell’Istituto di Fisica sulla collina di Arcetri a Firenze era molto arretrata, lontana (anche logisticamente) dai clamori delle occupazioni e le contestazioni dell’Ateneo, ma quell’arretratezza si volse in un paio d’anni in un elemento propulsivo di iniziative originali e scevre da condizionamenti politici esterni. Attorno al 1970 si era costituito un Comitato Politico degli Studenti di Fisica (con il quale il sottoscritto, unico professore, lavorò pienamente), nel quale la componente del Partito Comunista fu messa in netta minoranza e si cercarono e stabilirono subito legami con i Consigli di Fabbrica (CdF) e di Zona, soprattutto metalmeccanici di Firenze: in questa sede non è possibile approfondire che nel 1969 esplose l’Autunno Caldo e l’alleanza operai studenti divenne il fronte di lotta più avanzato. Alle Assemblee molto determinate e concrete degli studenti di Fisica di Firenze venivano – pensate! Partendo all’alba se non di notte – delegati del “leggendario” CdF della Montedison di Castellanza, che fu la realtà operaia che espresse i punti più alti.
L’idea che ben presto maturò fu che il carattere di sfruttamento capitalistico insito nella scienza e nella tecnica si esprimeva nel modo più diretto e concreto nell’organizzazione del lavoro in fabbrica, nello sfruttamento della forza lavoro e nei riflessi sulla salute operaia della nocività dei cicli produttivi: e lì bisognava andare per rintracciare, in stretto rapporto con il “gruppo omogeneo” (oggi ormai scomparso, non per caso, con la ristrutturazione produttiva degli anni ’80), dove si annidano i fattori di sfruttamento insiti nell’uso della scienza e della tecnica capitalistiche e sviluppare la critica concreta ad esse, valorizzando il sapere operaio e la diretta conoscenza del ciclo produttivo (fu leggendario il “salto della scocca” a Mirafiori, quando gli operai riuscivano ad arrestare la catena di montaggio come se fosse stato un incidente, senza cioè subire alcuna ritorsione).
Così si riuscì a ottenere e perfino a far trangugiare al corpo docente di Fisica l’istituzione di un Corso di Laboratorio svolto all’interno delle fabbriche eseguendo misure dei fattori nocivi negli ambienti di lavoro. Furono proprio gli operai a lanciare la sfida agli studenti: “Se volete fare qualcosa di concreto venite in fabbrica a misurare i fattori nocivi”. Ovviamente era tutto da inventare; non per caso il corpo docente opponeva che non vi erano la preparazione e le competenze per svolgere questo laboratorio, ma proprio qui risiedeva l’innovazione e i “compagni professori” dovettero inchinarsi alla volontà espressa dagli operai in un incontro con il CdF del Nuovo Pignone. Scusatemi se lo considero un piccolo capolavoro dell’alleanza operai-studenti. Avevamo su questo dei modelli, con il lavoro che svolgevano colleghi fisici di Torino alla Fiat: l’analisi delle misure del rumore nel reparto presse aveva portato i colleghi e il gruppo omogeneo a concludere che tutte le modifiche del ciclo produttive per abbassare i livelli del rumore … diminuivano la produttività! Si esprimeva quindi una progettualità operaia di trasformazione e conoscenza alternativa, che nella collaborazione diretta tecnici-operai-studenti si cercava di portare a sintesi.
Quel laboratorio degli studenti di fisica di Firenze è rimasto per vari anni per molti di loro un’esperienza unica, un lavoro creativo, stimolante e gratificante che ha fornito molti più strumenti e esperienza che la semplice esecuzione tradizionale di misure standard. E sopravvisse per qualche anno al riflusso che sopravvenne alla fine del decennio (il fatidico 1977). La profonda svolta degli anni ’80 (il Congresso CGIL dell’Eur, la marcia dei 40.000 a Torino, ecc.) determinò la fine di quelle esperienze, soprattutto di quelle realtà operaie. Ma, come scrive Anna, vi era davvero la sensazione di creare qualcosa di nuovo, se non di poter rivoltare il mondo.
Richiamare quell’esperienza con gli studenti di Firenze (che io vissi in modo straordinariamente intenso) non comporta certo sopravvalutarla, ma fu emblematica. A livello nazionale occorre ricordare il gruppo che si raccolse attorno a Giulio Maccacaro per la nuova serie della rivista Sapere, dal 1974 alla sua morte prematura nel 1977: ricercatori, docenti, medici, economisti, operai, tecnici, studenti, sotto la sua guida costituirono una fucina di elaborazioni, idee, attività assolutamente multidisciplinari e innovative. Basti qui ricordare il disastro dell’Icmesa di Seveso del 10 luglio 1976, che si aggiungeva drammaticamente ai tantissimi casi di cancerogenesi nei luoghi di lavoro, all’insorgere del problema dell’amianto, sui quali il collettivo redazionale di Sapere svolse un’intensissima attività: stava nascendo l’ambientalismo, ma in Italia con connotati decisamente di sinistra1. Nel mio caso quell’esperienza fu una vera scuola di formazione per tutta la mia attività professionale e politica successiva.
Questo non fu certo il solo terreno innovativo praticato dai giovani fisici degli anni ’70, perché la critica della scienza del capitale venne sviluppata e praticata anche su altri terreni specifici: da una parte attraverso una critica concreta delle discipline scientifiche dominanti e dall’altra sviluppando un’analisi storica innovativa e originale dello sviluppo della scienza moderna in relazione con le svolte economiche e sociali.
Per quanto riguarda le discipline dominanti si pensi che nel dopoguerra in Italia vi era stata una sorprendente ripresa della ricerca scientifica in fisica, ma essa era dominata quasi assolutamente dalla Fisica delle Particelle Elementari (o Fisica delle Alte Energie, incentrata sulla costruzione di macchine acceleratrici di particelle sempre più gigantesche e di colossali laboratori), mutuata dagli Stati Uniti, mentre erano rimasti fortemente penalizzati campi, quali la Fisica dello Stato Solido o l’elettronica, che con costi estremamente minori avrebbero potuto portare a sviluppare settori tecnologici d’avanguardia fondamentali per lo sviluppo del paese (chi desideri avere dettagli su questi aspetti può vedere il mio libro Storia della Fisica Italiana, un’Introduzione, Jaca Book, Milano, 2017). Per farla breve, molti giovani fisici criticarono dall’interno le inconsistenze di quel tipo di fisica e la sua organizzazione e alcuni di essi cambiarono campo di ricerca. Di fatto la Fisica dei Solidi prese a svilupparsi ed è oggi un campo in cui l’Italia è all’avanguardia.
Questo processo di rinnovamento non è naturalmente avvenuto solo nel campo della fisica: si pensi, ad esempio, alla critica della psichiatria, del ruolo di struttura segregante dei manicomi e al processo del loro smantellamento, o ai processi di critica avviati nella facoltà di Sociologia di Trento, per fare qualche esempio. Il contesto di tutte le discipline e attività è risultato profondamente cambiato rispetto agli anni precedenti al ’68 e i cambiamenti sono stati permanenti, sebbene la carica innovativa si sia esaurita e molti abbiano ripreso pratiche simili a quelle del passato.
Questa critica e questo rinnovamento si svolgevano, come dicevo, per una componente dei giovani fisici, parallelamente all’avvio di un’attività innovativa di storia dello sviluppo della fisica in relazione alle svolte della struttura economico sociale, in modo da ricostruire le radici storiche dell’influenza dei rapporti di classe nei contenuti stessi della scienza. In questa attività i giovani fisici si improvvisavano, in qualche modo, storici della scienza (disciplina che non veniva insegnata nei corsi di laurea scientifici), ma con un’impostazione e una prospettiva radicali e innovative. In questo si produsse ben presto uno scontro con la scuola tradizionale di storia e della scienza, che in Italia aveva anche maestri di indubbio valore, quale Ludovico Geymonat e la sua scuola, di formazione però umanistica, il cui lavoro si fermava per lo più alle soglie della scienza moderna, quando il formalismo matematico non era ancora sviluppato. I giovani fisici si avventurarono proprio in questi campi, per ricostruire lo sviluppo della fisica moderna e contemporanea.
Lo scontro con la scuola tradizionale si sviluppò molto presto, in modo molto acceso, ma non concerneva i periodi storici studiati, bensì il concetto della “non neutralità della scienza”, sollevato dalla contestazione del ’68, ma che ora si cercava di riempire di contenuti concreti e di sviluppare in forma coerente: la scuola tradizionale, essenzialmente radicata negli intellettuali di Partito Comunista, non negava certo l’influenza della società nello sviluppo della scienza, ma rifiutava recisamente che gli stessi contenuti scientifici potessero risentire dell’influenza dello sviluppo economico e sociale. In sostanza e semplificando drasticamente (ovviamente nessuno si riconoscerebbe in questa semplificazione), essi affermavano che è la natura a determinare i contenuti scientifici (le leggi) e che questi non possano essere influenzati dal tipo di approccio allo studio della natura, dalla selezione dei processi da studiare e delle loro relazioni, dalle impostazioni culturali, dalle specifiche forme organizzative della ricerca scientifica, nonché dai concreti interessi delle classi dominanti2. I risultati ottenuti dalla scuola dei giovani fisici – storici della scienza cominciarono a prodursi nella seconda metà degli anni ’70 ed ebbero anche un risultato molto concreto, con l’istituzione di corsi di Storia della Fisica in tutti i corsi di laurea in fisica nelle università italiane.
Qui voglio insistere su risultati duraturi ottenuti da quella contestazione scientifica. Oggi nessuno si scandalizza più se qualcuno denuncia i legami strutturali tra i contenuti di ricerche scientifiche e tecniche, o le scelte di ricerca e precisi interessi di classe. Lo scetticismo verso tante proclamate verità scientifiche è diffuso anche nella gente comune (pur se ha portato anche a forme di rifiuto tout court delle “verità” della scienza), che spesso dubita delle valutazioni che portano i tecnici e gli specialisti su molti problemi. In medicina dubita delle cure ufficiali e ricorre a rimedi naturali o all’omeopatia e contesta i vaccini obbligatori: insomma, la gente vuole farsi le proprie idee e prendere liberamente le proprie decisioni e non essere subalterna a quelle degli scienziati.
Oggi nessuno si sogna di difendere i manicomi. La contestazione, forse meglio il risveglio sociale, ha portato a risultati incontestabili: basti pensare alla Riforma Sanitaria del 1978 (legge 833, anche se poi stravolta), ai referendum sul divorzio e sull’aborto. Anche se quest’ultimo diritto è fortemente avversato da molti settori, si tratta di una conquista (come tante altre) che difficilmente potrà venire sradicata. I temi dell’ambiente sono ormai entrati nella mentalità comune.
Insomma, credo che l’analisi delle ricadute del ’68 non possa ridursi a vedere le traiettorie dei protagonisti di allora – chi è rifluito se altre posizioni, chi si è integrato, chi ha “tradito” – ma debba tenere conto di una prospettiva più ampia: la società – le società in tutto il mondo –, la mentalità delle persone, le dinamiche dei gruppi sociali, sono state trasformate radicalmente dai movimenti degli anni ’70. Ovviamente nessuna conquista può considerarsi definitiva, i flussi e i riflussi storici si susseguono (basti vedere, come esempio, le vicende dell’America Latina), ma le svolte storiche cambiano per sempre i termini dei problemi: e il ’68 innescò una svolta storica, per di più a livello mondiale.
1
Basti citare la critica serrata sviluppata da Dario Paccino all’ambientalismo ideologico che stava nascendo nel mondo: L’imbroglio ecologico, L’ideologia della natura, Einaudi, 1973. Una viva ricostruzione del percorso intellettuale e dell’impegno politico di Dario Paccino è presentato da Giorgio Nebbia, “L’imbroglio ecologico ha quarant’anni”, La Gazzetta del Mezzogiorno, 12 settembre 2012, http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/analisi/395929/limbroglio-ecologico-ha-quarantanni.html.
2 Per una discussione più precisa rimando a una mia relazione al simposio Scienza e Nonviolenza, ad Attigliano del 24-25 aprile 2009: “Può la scienza fare pace con la natura?”, https://luiginamarchese.wordpress.com/2015/10/27/puo-la-scienza-fare-pace-con-la-natura/.