Introdurre l’obbligo – per tutti i candidati al Parlamento – di superare preventivamente un esame per certificare una conoscenza di base della Costituzione della Repubblica italiana: è questo che viene da pensare quando si ascoltano alcune dichiarazioni dei leader politici.
Dal 2011 ad oggi ci siamo stancati di ascoltare la ricorrente critica ai Presidenti del Consiglio in carica di non essere stati votati dagli elettori: Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni sono stati descritti come usurpatori della volontà popolare. Ovviamente l’accusa si è sempre dimostrata infondata, considerato che dal dopoguerra il Governo non è mai stato eletto direttamente dal popolo, poiché la Costituzione stabilisce un’altra procedura.
Anche dopo il voto del 4 marzo abbondano le uscite che poco o nulla hanno a che vedere con il disegno costituzionale.
Anzitutto, ci sono Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che sembrano discutere come due bambini: sono arrivato prima io! No, siamo arrivati prima noi! Siamo il primo partito! E noi siamo la prima coalizione! Il tutto per contendersi il primato dell’incarico per formare un nuovo Governo. Peccato che non sia scritto da nessuna parte che il Presidente della Repubblica debba scegliere il capo del primo partito e tanto meno il capo (non previsto nemmeno dalla legge elettorale) della prima coalizione. Anzi, dato che nella nuova legislatura nessuna forza politica può contare sulla maggioranza dei seggi nei due rami del Parlamento, sarebbe logico pensare che, per l’incarico di formare un Governo necessariamente fondato su alleanze, si debbano privilegiare figure che possano essere considerate credibili da parti diverse. A ben vedere, i primi ad essere esclusi dovrebbero essere proprio i principali leader di partito, poiché troppo identificati con la propria parte politica.
Sul fronte opposto, molti leader del Partito Democratico (con qualche significativa eccezione) si sono affrettati a dichiarare che, visti i risultati elettorali, sicuramente gli eletti del PD si collocheranno all’opposizione. Anche questa, a ben vedere, non è una logica molto in sintonia con la Costituzione. Basti qui ricordare che l’art. 67 espressamente indica che «ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». Non è un caso che nel testo della Carta Costituzionale non compaia mai la parola “opposizione”, poiché tutti i parlamentari sono chiamati ad adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica.
Prima della formazione del Governo, si devono eleggere i Presidenti di Camera e Senato. Matteo Salvini ha dichiarato che tali cariche istituzionali spettano ai vincitori delle ultime elezioni. Ma anche questa è un’opinione alquanto discutibile, perché la Costituzione – che nemmeno il termine “vincitori” contiene – non prevede una simile attribuzione. Semmai il criterio per la scelta di chi dovrà presiedere l’organo legislativo dovrebbe essere quello del rispetto e del dialogo, prerogativa fondamentale del Parlamento. Come scriveva Piero Calamadrei: «Il regime parlamentare, a volerlo definire con una formula, non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza». In fondo, questa visione del Parlamento è l’antitesi della logica dei “vincitori”, portata all’estremo nella famosa dichiarazione di Cesare Previti, di Forza Italia, alla vigilia delle elezioni del 1996: «Se vinciamo, stavolta non faremo prigionieri».
Che fatica ogni giorno per Sergio Mattarella, il Presidente della Repubblica, che richiede a tutte le forze politiche di dimostrare senso di responsabilità per il bene del Paese, che è più importante del risultato di un partito o del successo di un leader politico. A tale scopo sarebbe utile un ripasso dell’art. 54 della Costituzione: «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore (…)».
Dieci anni fa Mariastella Gelmini, Ministro dell’Istruzione, aveva promesso di introdurre nelle scuole l’insegnamento di «Cittadinanza e Costituzione», che in realtà non ha trovato molto spazio nelle aule scolastiche. E se provassimo ad introdurlo nella campagna elettorale e nel confronto politico?