Dopo settimane di silenzio, l’ONU ha di nuovo fatto sentire la sua voce riguardo alla situazione dei Rohingya. Lo ha fatto tramite le parole di Andrew Gilmour, sottosegretario generale alle Nazioni Unite per i Diritti Umani, il quale ha dichiarato che “l’incubo non è finito”, sottolineando poi come la pulizia etnica stia continuando sia tramite la repressione armata che attraverso una sorta di “carestia forzata” portata avanti dall’esercito birmano. Essa consiste nell’impedire ai Rohingya l’accesso ai campi da loro coltivati, privandoli di fatto della maggiore – e in molti casi unica – fonte di cibo. Gilmour, durante il suo intervento, ha descritto il piano di rimpatrio già firmato da Birmania e Bangladesh come impraticabile. In chiusura di conferenza, ha poi attaccato il governo di Aung San Suu Kyi con queste parole: “il governo birmano è impegnato a comunicare al mondo che è pronto ad accogliere i rifugiati Rohingya, mentre allo stesso tempo le sue forze militari continuano a spingerli verso il Bangladesh”.
A proposito dell’esercito birmano, molte critiche da parte della comunità internazionale sono state rivolte all’Australia. Nonostante sia ormai appurata la pulizia etnica portata avanti dalle forze militari birmane, il dipartimento della difesa australiano infatti ha investito mezzo milione di dollari in un piano di addestramento proprio destinato alle milizie. Il progetto prevede l’istruzione sia dal punto di vista bellico, sia da quello linguistico: ai militari sarà anche infatti insegnato l’inglese. Il portavoce del ministero ha giustificato il tutto dicendo che il progetto serve e “promuovere professionalità e adesione alle leggi internazionali”.
A complicare la situazione, ci sono le stagioni dei monsoni e dei cicloni – delle quali avevo già parlato in un precedente articolo – entrambe alle porte. Il Bangladesh, ancora più della Birmania, è infatti particolarmente vulnerabile in questo periodo, a causa della sua sfortunata posizione geografica rispetto al Golfo del Bengala. Inoltre, a fine anno ci saranno le elezioni, e il Primo Ministro Hasina, che punta ad un ulteriore mandato, non è certamente vista di buon occhio dopo aver accettato di accogliere quasi un milione di rifugiati nel sud del paese. In un recente discorso, ha infatti sottolineato come i centri di accoglienza installati al confine siano temporanei; dichiarazioni che sicuramente non fanno ben sperare le comunità di rifugiati. Queste strutture, così come quelle dei campi veri e propri in Bangladesh, sono più che fatiscenti: sono infatti costruite con bambù e teli impermeabili, per “proteggere” l’interno dalla pioggia. E’ chiaro però, che questo tipo di abitazioni nulla potrà contro i cicloni e le piogge torrenziali che si apprestano a rovesciarsi sul paese; è quindi più che urgente un intervento forte da parte del Bangladesh in collaborazione con l’ONU, vista la negligenza totale dimostrata dalla Birmania.
La prospettiva peggiore è quella di una vera e propria catastrofe umanitaria.
E’ importante inoltre ricordare che i residenti bengalesi dell’area hanno sin dall’inizio dimostrato un atteggiamento decisamente ostile nei confronti dei migranti. Del resto, è innegabile riconoscergli che la situazione generale della zona è peggiorata molto dallo scorso agosto: l’alto tasso di sovrappopolazione ha portato ad un considerevole aumento dei prezzi, seguito poi da un maggiore sfruttamento delle risorse naturali. Un esempio lampante della delicatezza di questa fase ci viene fornito in un’intervista rilasciata da un rifugiato, che ha affermato: “Tutti i bambini devono percorre lunghi tratti a piedi per prendere il combustibile, a quel punto i bengalesi inveiscono contro di loro, dicendogli di non prenderlo, ma noi non sappiamo cos’altro fare”.