Che abbiate partecipato alla grande manifestazione di domenica 3 luglio 2011 nell’ex “Libera Repubblica della Maddalena”, in Val di Susa, dove il popolo NO TAV continua a opporre la sua legittima, nonviolenta resistenza alla Grande Opera (“d’importanza storica, che questa nazione salverà”,direbbe Caparezza), o che abbiate appreso le cronache di quella giornata dalla televisione e dai quotidiani, credo che ve lo stiate chiedendo. Credo che vi stiate chiedendo se quella giornata – che per un pelo non è diventata la seconda puntata del G8 di Genova del 2001 – poteva essere gestita diversamente, e se e cosa si sarebbe potuto fare per evitare lo scontro.
Forse ritenevate inevitabile lo scontro tra manifestanti e forze dell’ordine, ma molti di noi, convinti nonviolenti, ci stiamo domandando se lo sia stato davvero e se tutti, proprio tutti, hanno fatto quello che potevano per evitarlo.
Per aiutarci a rispondere a questa domanda, ricorreremo a studi e pensieri già realizzati in passato. La letteratura legata alle scienze sociali e politiche è ricca di spunti di riflessione, tuttavia – essendo, i firmatari di questo testo, umanisti – vorremmo fare riferimento a un documento che Silo (pseudonimo di Mario Rodríguez Cobos, principale ideologo del nuovo umanesimo universalista) scrisse nel 1993, ma che risulta sorprendentemente attuale e pertinente alle nostre riflessioni. Il documento si intitola “Ottava lettera ai miei amici” ed è oggi ricompreso nel volume dal titolo “Lettere ai miei amici”, ed. Multimage.
Innanzitutto, partirei da questi punti propagandati dai promotori della realizzazione di una linea per un treno ad alta velocità o capacità: 1) i NO TAV sono persone dalla mentalità arretrata, perché si oppongono al progresso: 2) chi è contro la realizzazione del TAV non sa cogliere l’opportunità di lavoro che l’apertura dei cantieri offrirebbe e i benefici economici che ne deriverebbero; 3) i NO TAV sono una minoranza ostile che, per di più, vede al suo interno frange violente e sovversive e pertanto va fermata, con tutti i mezzi a disposizione dello Stato.
Quali sarebbero, questi mezzi? Siccome la persuasione, cioè la propaganda SI’ TAV nei confronti della popolazione, le offerte appetitose agli amministratori e la censura ai giornalisti, non ha funzionato come previsto, e siccome i suddetti punti sono stati tutti smentiti da dati, studi e argomentazioni fondamentate dai NOTAV, l’uso della forza e la militarizzazione della Valle sono state prese in considerazione come le uniche via d’uscita per realizzare questo grande business.
Siccome lo Stato può farlo – ed è legittimato, visto che la realizzazione del TAV è prevista nei programmi di governo degli ultimi 20 anni ed ha il supporto di tutti i partiti dell’arco parlamentare – l’ha fatto. Ma come l’ha fatto? Come ha usato le Forze dell’Ordine?
Nell’Ottava lettera si legge:
“Nella concezione tradizionale le forze armate si vedono attribuita la funzione di salvaguardare la sovranità e la sicurezza di un paese e per questo dispongono dell’uso della forza su mandato dei poteri costituiti. In questo modo il monopolio della violenza, che appartiene allo Stato, viene trasferito ai corpi militari. Qui appare un primo punto di discussione: che cosa deve intendersi per “sovranità” e per “sicurezza”? Se queste, o con termine più moderno, il “progresso” di un paese, richiedono fonti di approvvigionamento di materie prime extra-territoriali, il diritto assoluto di navigazione per assicurare lo spostamento delle merci, il controllo di punti strategici con il medesimo fine e l’occupazione di territori altrui, allora ci troviamo di fronte alla teoria ed alla pratica coloniali o neo-coloniali.”
Nel nostro caso non parliamo di materie prime, ma di un’opera apparentemente irrinunciabile per lo sviluppo del Paese, dal momento che offrirebbe la possibilità di spostare merci (che non esistono) e viaggiatori (pochi e facoltosi) in modo più veloce e, quindi, redditizio. Eppure, secondo gli studi dei valsusini (con aiuto di tecnici, ingegneri, economisti e quant’altro) si evince che tutta quest’irrinunciabilità non c’è (e questo si può anche dedurre dagli studi della stessa Trenitalia).
Nonostante questo, tutti gli amministratori (a partire dal Governo, passando per Presidente della Regione Piemonte, della Provincia di Torino, al Sindaco di Torino fino ad arrivare ad alcuni sindaci valligiani vicini ai partiti presenti in Parlamento), in una straordinaria trasversalità insistono: “il TAV si farà!”. Va bene, ma come la mettiamo con i valsusini che vivono lì e si oppongono (per ragioni che riguardano l’igiene, la salute, l’ecosistema, le relazioni, l’efficacia, l’economia e chi più ne ha più ne metta)? Sembra che la risposta sia: “si devono togliere di mezzo: noi espropriamo e, se continuano a opporsi, mandiamo le forze dell’ordine e militarizziamo la Valle.”
“Nell’epoca del colonialismo la funzione degli eserciti consisteva innanzitutto nell’aprire la strada agli interessi delle corone dell’epoca e poi delle compagnie private che ottenevano speciali concessioni dal potere politico in cambio di adeguate elargizioni. Questo sistema illegale fu giustificato ricorrendo alla presunta barbarie dei popoli invasi, considerati incapaci di darsi un’amministrazione adeguata. L’ideologia corrispondente a questa fase ha consacrato il colonialismo come il sistema “civilizzatore” per eccellenza.”
Che, combinazione, ricorda un po’ quest’idea che stanno facendo circolare attraverso i media, della barbarie dei valsusini fintamente pacifisti, che non vogliono l’opera solo perché passerebbe nei loro campi (la cosiddetta “sindrome del NIMBY”). Valsusini descritti come montanari ottusi che non vogliono il progresso e quindi non sono in grado di prendere decisioni assennate. Quindi vanno aiutate, in un modo o nell’altro, ad adeguarsi.
“Nell’epoca dell’imperialismo napoleonico la funzione dell’esercito […] giustificava l’espansione imperiale ricorrendo al criterio di “necessità”: la necessità di un potere costituito dalla rivoluzione democratica, il quale si trovava schierate contro monarchie illegali basate sulla disuguaglianza che, per di più, facevano fronte comune per soffocare la Rivoluzione.”
Nel nostro caso, invece, si giustifica un’espansione materiale ricorrendo al criterio di “irrinunciabilità”, di “necessità per stare al passo con l’Europa”, di non essere “tagliati fuori dai traffici delle merci”.
“[…] Se la funzione dell’esercito è servire lo Stato in fatto di sicurezza e sovranità, le forze armate dovranno in ogni caso attenersi alla concezione che il loro governo ha relativamente a questi due temi, e questo nonostante tale concezione possa variare da governo a governo. Questo punto ammette qualche limite o eccezione? Si osservano chiaramente due eccezioni: 1. Quando il potere politico si è costituito in modo illegittimo e si sono esaurite le risorse civili per porre termine a una tale situazione di anormalità; 2. Quando il potere politico si è costituito legalmente ma nel suo esercizio è diventato illegale e si sono esaurite le risorse civili per porre termine alla situazione anomala. In entrambi i casi le forze armate hanno il dovere di ripristinare la legalità interrotta, il che equivale a portare avanti le azioni che non hanno avuto esito per via civile. In queste situazioni, l’esercito si deve rifare alla legalità e non al potere vigente.”
La parte evidenziata in grassetto è quella che ci interessa: il potere politico si è costituito legalmente, ma nel suo esercizio o è diventato illegale, o non ha più nessun controllo delle forze armate e delle forze dell’ordine. Se, com’è successo, i rappresentanti del governo ordinano che per sedare i manifestanti si usino armi chimiche (i lacrimogeni CS, vietati dalla convenzione di Ginevra in quanto armi chimiche che possono provocare mutazioni genetiche, tumori o choc anafilattici anche mortali) e sparate ad altezza uomo, l’esercizio del Governo è diventato illegale, a maggior ragione quando questo comportamento non sia adottato solo contro i “facinorosi”, per difendersi, ma esteso anche a manifestanti pacifici. Se, invece, non fosse stato dato un ordine di questo tipo, sarebbe segno che i rappresentanti del governo hanno perso il controllo delle forze dell’ordine. Noi pensiamo che l’abbiano ordinato e ce lo fanno pensare le dichiarazioni rilasciate da parlamentari, ministri e amministratori pro-TAV. Allora, quello che si propone in questo documento, è che i tutori dell’ordine ripristinino la legalità interrotta rifiutandosi, per esempio, di attaccare i civili anziché difenderli (o difendersi).
“Non si tratta quindi di attribuire all’esercito uno status deliberativo, ma di porre in evidenza la precedente interruzione della legalità, messa in atto da un potere vigente di origine delittuosa o che si è trasformato in delittuoso. La domanda che ci si deve porre quindi è questa: da dove deriva la legalità e quali sono le sue caratteristiche? Rispondiamo che la legalità proviene dal popolo, che si è dato un certo tipo di Stato ed un certo tipo dileggi costitutive alle quali i cittadini devono attenersi. E nel caso estremo in cui il popolo decidesse di modificare un certo tipo di Stato e dileggi, spetterebbe solo ad esso farlo, non potendo esistere una struttura statale ed un sistema legale al di sopra ditale decisione.”
Con il passaggio “la legalità proviene dal popolo, che si è dato un certo tipo di Stato ed un certo tipo dileggi costitutive alle quali i cittadini devono attenersi” si sta dicendo, per il caso italiano, che la nostra è una repubblica democratica che si è dotata di una Costituzione che prevede diritti e doveri. I diritti e i doveri non sono solo del cittadino, ma anche dello Stato che ha dei limiti precisi di azione verso il cittadino, superati i quali si violano i diritti fondamentali dell’uomo. Anche l’ostinazione nel voler realizzare un’opera che studi accurati mostrano essere nociva per l’essere umano e l’ecosistema (come la mortalità dovuta all’amianto e all’uranio o la perdita di importanti falde acquifere) e che autorevoli personalità (come il magistrato Imposimato) affermano essere di sicuro interesse per la criminalità organizzata, ci convince del fatto che non siano gli interessi dei cittadini a essere preservati. Ancor più delittuosa, in un momento di crisi economica come quello che l’Europa sta attraversando, è la promessa e l’insistenza verso un’opera che tecnicamente non potrà mai vedere il compimento, con relativo spreco di denaro pubblico che andrebbe piuttosto investito nei servizi sanitari, sociali e nel miglioramento del trasporto locale stesso.
“Bisogna sottolineare che i corpi militari devono essere formati da cittadini responsabili dei loro doveri nei confronti del potere legalmente costituito. Se il potere costituito si basa, per il suo funzionamento, su regole democratiche che prevedono il rispetto della volontà della maggioranza grazie all’elezione e al rinnovo dei rappresentanti popolari, il rispetto delle minoranze nei termini stabiliti dalle leggi ed il rispetto della separazione e dell’indipendenza dei poteri, allora non sono le forze armate a dover deliberare sui successi o sugli errori del governo.”
In pratica non si sta chiedendo alle forze dell’ordine di mettere i fiori nei loro cannoni (anche se ci piacerebbe che lo facessero, naturalmente), ma semplicemente di far rispettare la legge, se questa non viola la Costituzione e, di conseguenza, i diritti umani e dei cittadini. Ovviamente la premessa è che – ammesso che le forze dell’ordine siano davvero formate da cittadini responsabili eccetera eccetera – la Costituzione sia considerata valida e quindi rispettata.
In caso contrario, eccezione dopo eccezione, si finirà per annullare, uno dopo l’altro, tutti i diritti, in nome del progresso, della stabilità politica, della cosiddetta libertà e chissà quale altro pretesto.
“[…] Perché se i diritti umani non sono al di sopra di qualsiasi altro diritto, non si comprende perché esistano l’organizzazione sociale e lo Stato. E nessuno può invocare l’“obbedienza dovuta” quando si tratta di assassinio, tortura e degradazione dell’essere umano. Se i tribunali sorti dopo la seconda guerra mondiale ci hanno insegnato qualcosa, è che l’uomo d’armi ha responsabilità in quanto essere umano, anche nella situazione-limite del conflitto bellico.
[…] In America Latina, invece, gli eserciti locali preferivano dedicarsi, con i colpi di Stato, alla minaccia della sovversione interna. Lì le forze armate cessavano di rendere conto al potere politico e si sollevavano contro qualunque forma di diritto e di costituzione. In pratica tutto un continente finiva per essere militarizzato in ossequio alla cosiddetta “dottrina della sicurezza nazionale”. La scia di morte e di arretratezza che quelle dittature hanno lasciato dietro di sé è stata giustificata, in modo singolare, lungo tutta la catena di comando con l’idea di “obbedienza dovuta”. Si è sostenuto, infatti, che nella disciplina militare si eseguono gli ordini del livello gerarchico immediatamente superiore. Questa impostazione, che ricorda le giustificazioni dei genocidi perpetrati dal nazismo, propone un tema che deve essere attentamente esaminato quando si discutono i limiti della disciplina militare. [..]”
Perché molti di coloro che hanno partecipato alla manifestazione del 3 luglio 2011 in Val di Susa, pensando di prender parte ad una manifestazione assolutamente pacifica e ci ha creduto al punto di portarsi nonni e bambini, al ritorno a casa hanno sperimentato un senso di frustrazione, rabbia e tradimento? Non perché c’erano i black bloc o gli antagonisti (i terribili tirapietre, esatto) o, meglio, non solo. No, i sentimenti peggiori li hanno sperimentati sul posto perché sono stati attaccati, anziché protetti, proprio dalle forze dell’ordine. Dopodiché li hanno sperimentati arrivati a casa, quando hanno assistito allo spettacolo avvilente di un servizio d’informazione (telegiornali e testate giornalistiche, anche online) totalmente asservite alla politica e alla logica del marketing e, brutto a dirsi, di veline e censura.
Il singolo poliziotto, carabiniere o finanziere non può invocare l'”obbedienza assoluta” quando gli è stato ordinato di sparare lacrimogeni illegali ad altezza uomo su persone inermi, o di caricare spaccando nasi a persone con le mani alzate ad espressione di un atteggiamento nonviolento. E al singolo cittadino che assista o viva queste barbarie non si può chiedere l'”obbedienza assoluta” della legge, specialmente quando si veda privato di diritti fondamentali e si senta violentato e in pericolo di vita.
Le forze dell’ordine, in quanto tali, non sono né belle né brutte, né buone né cattive; il problema è che in una situazione come quella a cui si è dovuto assistere (un po’ spesso, per la verità), in questi anni, portano con sé uno stridore sinistro, come di qualcosa che non stia assolvendo alla propria funzione, un pezzo fuori posto, qualcosa che paradossalmente agisce contro il cittadino e contro la democrazia. Un qualcosa che può portare, come conseguenza estrema, a generare risposte violente anche laddove non ci siano persone (tra i manifestanti e all’interno delle forze dell’ordine), di indole violenta.
“I corpi di sicurezza, se non sono militarizzati, dovrebbero occuparsi di ordine interno e di difesa dei cittadini anche se abitualmente sono coinvolti in operazioni di controllo molto lontane dai fini per cui sono stati creati. In molti paesi risultano dipendere direttamente da organi politici come il Ministero dell’Interno e non dal Ministero della Guerra o della Difesa. D’altra parte le polizie, intese come istituzioni al servizio della cittadinanza e preposte alla salvaguardia di un ordine giuridico non lesivo degli abitanti di un paese, hanno un carattere accessorio e sono sotto la giurisdizione del potere giudiziario. Spesso, tuttavia, per il loro carattere di forza pubblica, svolgono operazioni che agli occhi della cittadinanza le fanno apparire come forze militari. Si percepisce chiaramente l’inopportunità di una tale confusione ed è interesse delle forze armate che su questo punto le differenze siano chiare.
Lo stesso vale per diversi organismi dello Stato da cui dipendono servizi informativi segreti, intrecciati e sovrapposti, che non hanno niente a che vedere con le forze armate. Gli eserciti hanno bisogno di un adeguato sistema informativo che consenta loro di operare con efficienza ma tale sistema non deve basarsi affatto su meccanismi di controllo dei comportamenti e dei movimenti della cittadinanza, perché la sua funzione riguarda la sicurezza della nazione e non ha niente a che vedere con il consenso o la riprovazione ideologica nei confronti del governo di turno.”
Quest’ultimo paragrafo fa quasi tenerezza, letto all’indomani della manifestazione del 3 luglio 2011: c’erano persone con la testa ferita dai proiettili di gomma o dai lacrimogeni sparati dalle forze dell’ordine che preferivano sanguinare fino a casa (mettendo a serio rischio la propria salute), piuttosto che andare a farsi medicare all’ospedale di Susa per paura di dover essere schedati, perché non solo hanno perso la fiducia dei corpi di sicurezza, anzi, ne hanno una grande paura. In questa manifestazione i corpi di sicurezza non hanno tutelato i cittadini ma, al contrario, li hanno privati del diritto si esprimere la contrarietà di un’opera, usando una violenza che poteva degenerare in omicidio colposo. Con i metodi usati (strategia della tensione, uso della violenza fisica, militarizzazione del territorio, infiltrati delle forze dell’ordine tra i manifestanti, manipolazione dei dati con menzogne, microspie e rilevatori gps, ecc.), in Valle di Susa da 20 anni si esercita un controllo dei comportamenti e dei movimenti della cittadinanza per favorire un lucroso business ai politici, agli industriali, alle banche e alle mafie.
“Si suppone che in una democrazia il potere provenga dalla sovranità popolare. Tanto la conformazione dello Stato quanto quella degli organismi che da esso dipendono derivano dalla stessa fonte. Così l’esercito svolge la funzione, che gli è attribuita dallo Stato, di difendere la sovranità di un paese e di dare sicurezza ai suoi abitanti. […] Perché una maggioranza non dovrebbe manifestare il desiderio di cambiare le strutture sociali e perché una minoranza non dovrebbe avere l’opportunità di lavorare politicamente per attuare una trasformazione rivoluzionaria della società? Negare la volontà di un cambiamento rivoluzionario con la repressione e la violenza compromette seriamente la legalità delle attuali democrazie formali.
[…] Noi abbiamo precisato il punto di vista umanista riguardo al rapporto tra forze armate, potere politico e società. Sono gli uomini d’arme che hanno davanti a sé un enorme lavoro teorico e pratico per adattare i loro schemi al momento tanto speciale che il mondo sta vivendo. L’opinione della società riguardo a questi temi ed un autentico interesse da parte delle forze armate a conoscere tale opinione, pur sapendo che si tratta di un approccio non specialistico, costituiscono elementi d’importanza fondamentale.”
Sì, è importante che lo sappiano. È importante che sappiano che la questione non è “manifestanti contro forze dell’ordine”, o potrebbe cessare di esserlo dal momento che potrebbe cessare il gioco opposto, cioè “forze dell’ordine contro manifestanti”.
I manifestanti dichiarano il loro dissenso, dettagliatamente argomentato, e continuano una lotta instancabile perché ci sono cose non negoziabili e, soprattutto, non acquistabili con il denaro. Se il sincero intento del Governo è quello di ottimizzare le infrastrutture e regalare nuova linfa vitale ed economica ai cittadini, le azioni da fare sono molte (tutte proposte e più che pubblicizzate nei vari siti NO TAV e non solo) e nessuna di queste prevede l’avvio dei cantieri per il TAV e la realizzazione di quest’opera. Prima vengono il miglioramento strutturale delle linee già esistenti, una maggiore attenzione verso i pendolari (allo stato attuale completamente abbandonati a se stessi) e alla sicurezza del trasporto ferroviario (vedi lungo elenco di incidenti ferroviari imputabili ai malfunzionamenti dei macchinari), la realizzazione di opere utili ferme da decine di anni (evitando il modello a sperpero continuo della Salerno-Reggio Calabria), la realizzazione di opere che mettano in sicurezza un territorio sempre più idrogeologicamente compromesso, un più equo trattamento lavorativo, maggiori investimenti nella sanità, nei servizi sociali, nell’istruzione e molto altro ancora.
Con la mentalità del “progresso” nei termini che vengono proposti dagli attuali politici in Parlamento (maggioranza e opposizione, favorevoli alla privatizzazione selvaggia e al taglio ai servizi primari e all’assurda logica che il PIL di un Paese cresce all’aumentare dello spostamento delle merci), purtroppo stiamo edificando un Paese meno democratico, più ignorante, sempre più povero, inquinato e insicuro.
Silo, 18 anni fa, ne parlava in termini che è difficile obiettare oggi, soprattutto se mettiamo anche solo la punta del naso fuori dall’Italia:
“[…] Non servirà a niente continuare a sostenere che il mondo d’oggi si trova al massimo livello possibile di sviluppo sociale. Ben più importante sarà comprendere che la situazione che stiamo vivendo porta direttamente al collasso di tutto un sistema, sistema che alcuni ritengono difettoso ma “perfettibile”. Il sistema oggi non è affatto “perfettibile”. Al contrario, con esso giunge al culmine l’inumanità di quei tanti fattori che si sono accumulati nell’arco di molti anni. Se qualcuno giudica queste affermazioni prive di fondamento, diciamo che è nel suo pieno diritto farlo, a patto però che presenti un proprio punto di vista coerente. E se quel qualcuno pensa che la nostra posizione sia pessimista, noi diciamo che la direzione che porta all’umanizzazione del mondo prevarrà sul processo negativo meccanico sotto la spinta della rivoluzione che i grandi insiemi umani, oggi defraudati del loro destino, finiranno per mettere in atto.”
La Tunisia, la Grecia, la Siria, la Libia, l’Egitto, la Spagna… l’elenco potrebbe continuare: purtroppo questa strategia rapace e aggressiva dei governi non funzionava vent’anni fa e continua a non funzionare e a mostrare la completa incompatibilità con uno Stato che si vorrebbe democratico.
Per concludere: noi non abbiamo aggredito gli agenti, però non abbiamo neanche lanciato i lacrimogeni ai manifestanti. Non siamo amici né nemici delle forze dell’ordine. Non pensiamo in termini di buoni e cattivi, ma di violenza e nonviolenza: tra le due, scegliamo sempre la seconda.
Pensiamo che il TAV sia un’opera inutile, costosissima e dannosa, non la vogliamo e lo Stato deve trovare il modo (nonviolento e legale) di rendere conto di una richiesta del popolo, quel popolo che chiama di continuo come garante della propria legittimità e deve tutelare la libertà, quella stessa per la quale sta negando i diritti e si sta sottraendo alla giustizia.
Torino, 05/07/2011
Tiziana Cardella, Centro Studi Umanisti “Salvatore Puledda”
Tony Manigrasso, segretario nazionale del Partito Umanista
Ivo Ghignoli, Presidente dell’associazione umanista “No.à. – Nonviolenza Attiva” (affiliata ARCI) Viviana Ceraldi, La Comunità per lo sviluppo umano
Valeriana Ferrigno, umanista
Cristiana Isarò, Convergenza delle Culture
Oscar Peroglia, Centro de Estudios Humanistas “Arandú Saité” e attivista NOTAV
Paolo Riva, Convergenza delle Culture Gianluca Gabriele, Partito Umanista Ferdinando Vurchio, Messaggio di Silo