Si è augurato un’ampia partecipazione al voto del prossimo 4 marzo il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, durante il consueto discorso di fine anno. Tracciando paralleli fra la generazione nata nell’ultimo anno del XX secolo, chiamata per la prima volta ad andare alle urne. Ed i “ragazzi del ’99” che un secolo prima, nel XIX, furono invece costretti ad una precoce chiamata alle armi durante la Prima Guerra Mondiale.
Così, nel porre enfasi sull’eccezionalità di questo fatto storico, egli ammette implicitamente proprio quella che è la natura più intima ed originaria dello Stato: la guerra appunto, ed il suo proseguimento in tempo di pace.
Lo abbiamo visto in tutte le riforme fatte in questi anni, a fronte di una situazione sociale ed economica disastrosa, come nelle conseguenze che ne sono derivate.
Jobs Act ed istituzionalizzazione della precarietà. Riduzione dei diritti sindacali e lavorativi con conseguenti morti bianche e precarizzazione della sicurezza sul lavoro.
Riforma Fornero, tagli e rovesciamento della crisi sui settori più deboli della popolazione. Buona scuola e inquadramento fin dall’età scolastica in dinamiche competitive, disciplinari e di sfruttamento del lavoro.
Ma anche guerre imperialiste spacciate per “missioni di pace”, con conseguente militarizzazione del territorio nazionale, e crescita dei pericoli legati a terrorismo e fanatismo. Aumento esponenziale delle violenza sociale, del bullismo giovanile, del fascismo e del razzismo, così come dei femminicidi.
Fino ad arrivare ai ritardi nella prevenzione e gestione delle catastrofi naturali, o ai decreti per salvare banche che hanno mandato sul lastrico migliaia di persone.
Questa è la linea intrapresa senza mezzi termini dai governi di questi decenni.
Dove è apparso ben chiaro fin da subito che quelli di centrosinistra non solo non hanno contrastato né arginato, bensì hanno addirittura accelerato questo processo.In nome dello spauracchio del ritorno al potere di un centrodestra guidato da uno dei più grandi criminali patologici che la storia delle istituzioni democratiche ricordi.
Ma non solo. La logica mortifera degli Stati e dei governi la vediamo quotidianamente ad esempio, anche sulle questioni che riguardano l’immigrazione. Così, per le liste e i partiti che si contenderanno lo scettro del potere il prossimo 4 marzo, la questione fondamentale riguarda quali e quanti immigrati “regolari” è lecito accogliere, quali e quanti è necessario invece respingere se non addirittura rispedire dal territorio italiano ai paesi di provenienza.
In pratica, quali e quanti è necessario inserire all’interno dei circuiti produttivi dell’Italia e dell’Europa, quali e quanti è lecito invece condannare di fatto a morte o ad una vita fatta di guerre, deserti, polizie di frontiera, maremorte e schiavismo. Da parte di quello stesso sistema globale che si è fondato sul dominio e sullo sfruttamento della gran parte delle risorse, del lavoro e della popolazione del pianeta. Salvo poi innalzare muri od inventarsi improbabili “corridoi umanitari” ai confini di fortezze continentali assediate dalla disperazione che esso stesso ha generato.
Perché diciamoci la verità, le cose da tutti questi punti di vista non sono certo rassicuranti neanche da parte di quelle forze politiche che si candidano in opposizione al bipolarismo speculare del centrodestra/centrosinistra.
Il fenomeno sociopolitico cresciuto in modo più esponenziale in Italia in questi anni, il Movimento Cinque Stelle, dopo una prima fase antipartitica e movimentista, pseudorivoluzionaria e antieuropeista, ha già fatto presagire quale sarà la politica del manganello che intende perpetrare una volta assunto l’agognato governo nazionale.
Lo abbiamo visto in più o meno tutte le amministrazioni locali pentastellate, ma soprattutto nel fiore all’occhiello delle conquiste dell’ormai ex-Re Beppe, e dei suoi feudatari (oggi legati a Re Luigi per normale avvicendamento da insediamento al trono, piuttosto che da battaglia in campo aperto) Roma la capitale. Dove in nome di quegli stessi principi su cui si è cavalcata la crociata contro la casta – legalità, pulizia dello Stato e delle istituzioni – si è fatto razzia di spazi sociali e di abitazioni occupate da migranti in condizioni disperate.
Ingenui quegli attivisti della prima ora che attribuiscono questo a un tradimento dei valori originari di un movimento che parlava in nome della democrazia reale e dell’avvicinamento della politica ai comuni cittadini. Pensare in termini di “immigrati regolari” (leggi: produttivi e disciplinati), “aiuti a paesi arretrati” (leggi: non ancora del tutto inseriti in modelli di sviluppo occidentali) e di “immigrati che invece devono essere rimandati nei loro paesi” (leggi: condannati a morte o ad un’esistenza impossibile), sono chiari sintomi di canonizzazione per chi agisce in termini di legalità, Stato, democrazia. Come lo è appunto sgomberare spazi sociali per lavori di manutenzione ad un asilo nido, o case occupate per la tutela della proprietà privata di imprenditori “onesti”.
Ancora un volta non è, o non è necessariamente, il problema del valore delle idee o degli ideali che si vorrebbero mettere in campo e realizzare. Il problema è il tipo di istituzione intrinsecamente borghese e oppressiva – quella appunto rappresentativa – tramite la quale si pretenderebbe di realizzarli. La quale per sua stessa natura, più parla in nome dell’inclusione, dell’uguaglianza e della libertà politica, più è fatta apposta per rendere tecnicamente realizzabili solo orizzonti sociopolitici auspicabili dalle classi di tipo imprenditoriale e capitalista.
Ce lo dice chiaramente anche la vicenda della sinistre più o meno antagoniste dal 1991 in poi. Quando sarebbe stata necessaria una trasformazione volta a ripensare paradigmi ed orizzonti di superamento delle istituzioni politiche ed economiche nate con l’affermarsi della borghesia, e fallite tanto nella loro versione capitalista quanto in quella staliniana o socialdemocratica.
Cadute in pieno nella trappola del <<chi è più costituzionalista è più anti-Berlusconi>> si sono arrampicate sulle spalle di uno Stato e di un giustizialismo che non hanno avuto problemi a scrollarsele di dosso appena diventate un peso morto per le ambizioni di dominio. Lasciandole su un Campo Marzio fatto di disgregazione, decadenza culturale, carenza di idee e strumenti adeguati per contrastare quegli stessi poteri che si pretenderebbe di abbattere.
Così, chi in vista delle elezioni del 4 marzo chiama a raccolta varie anime dell’anticapitalismo in nome di un generico “Potere al popolo”, rischia appunto di dare al popolo quegli stessi strumenti che hanno reso possibile la sua sottomissione e sfruttamento. Oltre che di rimanerne esso stesso impantanato, come dimostrano già le soglie di sbarramento e l’ostracismo mediatico nei confronti delle liste più radicali. Le quali nel migliore dei casi, oltre a non raggiungere che una percentuale irrilevante in termini di peso reale sulla scena politica, non andrebbero comunque oltre una socialdemocrazia più o meno arrabbiata.
Ancora una volta, dobbiamo lottare direttamente in prima persona per la nostra libertà e felicità, fuori e contro le logiche di delega, non c’è altra soluzione. Dobbiamo riaffermare ovunque la coscienza e la prassi autogestionaria, basata sull’azione diretta e l’assemblearismo di base, contro ogni potere e gerarchia. Sui posti di lavoro e nelle strade, nelle scuole e nelle Università, in famiglia e fra gli amici, nei momenti e negli spazi di cultura o di divertimento.
Dobbiamo farlo 365 giorni l’anno, non solo il 4 marzo in occasione di una scadenza elettorale. Ma quello stesso giorno è importante dare un segnale forte alle classi dirigenti da parte della base sociale, disertando in massa le urne e le logiche ad esse connaturate.
Senza paura di fare il gioco dei nostri avversari, scadendo in logiche del “meno peggio” funzionali solo a non avanzare per l’ennesima volta neanche di un centimetro nei nostri orizzonti.
La Storia ci insegna continuamente che solo radicalizzando la lotta per l’emancipazione si possono trovare i mezzi necessari ad affrontare nemici apparentemente più forti di noi. E solo rivendicando continuamente l’intransigenza delle posizioni, troveremo eventuali mediazioni necessarie ad avanzare ulteriormente al passo successivo.
L’opposizione ai governi di qualunque colore la faremo nelle piazze e sul lavoro, nelle strade come nelle scuole; nelle infinite carceri di questa società ormai sempre più alla deriva. Sarà l’unica opposizione capace di incidere veramente sul reale, declinandolo verso il mondo di pace, uguaglianza e solidarietà cui aspiriamo.
Su questa base invitiamo lavoratrici e lavoratori, disoccupati, precari, studenti, immigrati a disertare le urne il prossimo 4 marzo e a rilanciare ovunque la coscienza e la prassi anticapitalista, antimilitarista, pacifista, libertaria.
CONTRO OGNI DELEGA E CONTRO OGNI GOVERNO
AZIONE DIRETTA E AUTORGANIZZAZIONE!
Per l’astensione attiva il 4 marzo e sempre
CUSA- umanesimoAnarchico