Nei primi mesi del 2018 è comparso nelle sale l’ultimo film di S. Spielberg; la storia di cui parla non è molto nota sebbene a suo tempo scatenasse un grande scandalo.
Si tratta della vicenda dei Pentagon papers: la mole di documenti che nel 1971 rivelò la serie di menzogne e crimini che costellò la guerra del Vietnam. Informazioni che contribuirono al crollo della popolarità del conflitto negli USA. Una versione più antiquata delle rivelazioni di Wikileaks; in effetti la pubblicazione da parte della organizzazione di Assange dell’ottobre 2010 sulla guerra in Iraq è il solo evento paragonabile ad essa.
Nello stesso periodo è uscito un testo che ci riporta alla politica estera USA. Un testo documentato e scorrevole: L’impero del male di Gianluca Ferrara. Composto da svelti capitoletti con il corredo di note, link e fonti molto discreto, con la prefazione di uno dei giganti della seconda Repubblica recentemente scomparso, Ferdinando Imposimato, conduce il lettore in una incredibile serie di menzogne, crimini, misfatti ed ingiustizie.
Il libro si articola in quattro parti: La nascita di un impero, Ossessione rossa, La jihad del Pentagono e Scenari futuri. Le prime due parti mostrano come gli USA siano diventati una potenza mondiale che si fa anche impero. Di come cioè abbiano affiancato ad una forze economica fra le prime al mondo un apparato militare assolutamente unico: una spesa militare straripante, uno stuolo di circa 800 basi in tutti i continenti del pianeta, un arsenale nucleare, un numeroso esercito. Apparato che fa sentire la sua presenza per l’insuperato numero di interventi militari, golpe e criminose intromissioni nei quattro angoli del globo.
Un punto di partenza viene colto nella guerra con la Spagna del 1898, un conflitto che segna l’agonia del vecchio impero iberico e l’ascesa del rampante colosso statunitense. Fra le ragioni di fondo che spingono tale paese ad una politica estera così aggressiva l’autore ne tematizza le seguenti: il fondo ideologico-religioso del calvinismo, la volontà di promuovere i propri interessi economico-commerciali identificati col benessere delle proprie aziende più grandi, e la determinazione a creare un consumismo globale, l’estensione della way of life americana.
Il secondo dopoguerra segna il decollo del nuovo impero dopo la sconfitta del nazismo attuando un vero e proprio passaggio di consegne dal declinante dominio britannico. Descrivendo una vicenda molto poco nota, il testo colloca tale passaggio nella gestione del dopoguerra 1945-49 in Grecia: nel paese ellenico gli inglesi e poi gli USA spalleggiarono il governo monarchico contro i partigiani che avevano combattuto i nazisti, che da esso subirono arresti, esecuzioni e torture sommarie. Al contrario che in Italia il dopoguerra non vide la vittoria degli antifascisti, ma di forze conservatrici che costituirono una dittatura.
Da questo episodio si vedono quei caratteri che contrassegneranno l’interventismo statunitense anche nel cinquantennio successivo: sostegno ai settori più politicamente retrivi, purché facciano comodo e di sicure credenziali anticomuniste, sfacciata intromissione negli affari di altri paesi, indifferenza all’uso sistematico di pratiche quali la tortura e l’omicidio – preferibilmente appaltandone ad altri. Nello scenario della guerra fredda l’impegno anticomunista – tanto come reale contingenza strategica quanto come pretesto pr imporre i propri interessi – risulta l’elemento dominante. Così nelle prime due sezioni del testo sfilano i vari paesi che hanno subito tali “cure”: Grecia, Corea, Italia, Iraq, Guatemala, Vietnam, Indonesia, Congo, Cuba, Cile, Nicaragua, Salvador.
Un punto particolarmente caro all’autore, che fa intravedere la sua estrazione di militante per la pace ed i beni comuni vicino all’area del cattolicesimo democratico, è la denuncia della formazione di militari da parte degli USA che poi sono diventati i protagonisti della repressione in numerosi paesi dell’America Latina. I manuali di studio (desecretati da parte delle forze democratiche) insegnano anche la tortura e il colpire i civili come obbiettivo primario; una famosa associazione guidata da un prete cattolico contesta da anni tale istituzione. Una situzione di cui le prove sono così ampie ed evidenti da mostrare come la leadership democratica degli USA si regga solo con la complicità di media conniventi ed ipocriti che scelgono di occultare tale realtà.
Le sezioni seguenti si avvicinano agli anni più vicini, coprendo eventi che molti lettori hanno vissuto, quanto meno in forma indiretta: le due guerre all’Iraq, il conflitto balcanico e gli interventi post 11 settembre; scorrendo verso le vicende più recenti e più controverse presso gli stessi movimenti pacifisti. Per questi ultimi – come per buona parte della’opinione pubblica internazionale – gli otto anni della Guerra al Terrorismo di Bush (2001-2009) hanno avuto un impatto profondamente negativo nello stato del pianeta. Dopo di che, complice una certa stanchezza generale, le vicende non risolte dalla presidenza repubblicana (Iraq e Afghanistan) vennero prese in carico con minor clamore dal neopresidente Obama, che da parte sua iniziò sia pur in forma meno diretta altri conflitti: interventi mirati in Pakistan, bombardamenti in Libia e sostegno ad alcune fazioni in Siria. Su questi ultimi conflitti il giudizio generale è più sfumato, non mancano pacifisti che vedono quanto meno sullo stesso piano gli insorti da una parte e i governi di Gheddafi e Assad. Non così Ferrara, che pur non lesinando critiche ad essi (così come nel 2003 fra gli oppositori alla guerra vi erano pochissimi sostenitori di Saddam Hussein), considera tali conflitti sostanzialmente una forma di imperialismo da parte di CIA e delle forze NATO/USA. Siamo quindi all’attualità più stringente, uno dei punti forti del libro, rispetto ad altri testi che usciti numerosi nella decade precedente, quando la situazione in Afghanistan e Iraq erano sulla bocca di tutti, sono molto più rari oggi; cosicché il lettore interessato nel 2018 è costretto a rifarsi a analisi ferme all’epoca di Bush jr. L’impero del male arriva invece fino a Trump, cogliendo il paradosso di tale amministrazione: le numerose guerre hanno gettato discredito sul Partito Democratico, visto anche che il suo candidato Hilary Clinton era segretario di Stato sotto Obama e ciò ha dato un vantaggio competitivo al candidato avversario – che poi ha vinto. Ma l’ascesa di Trump viene vista anche in una più stridente luce: la testimonianza del fallimento di un modello di sviluppo che basandosi sulla prevalenza di una oligarchia, crea una marea di sconfitti e marginalizzati, facili prede della demagogia del nuovo presidente i cui atti, come Ferara documenta, si divaricano dalle promesse in modo irrefrenabile. In specie Trump aveva promesso di occuparsi maggiormente degli affari interni creando lavoro e benessere anche per le classi lavoratrici, mentre solo pochi giorni dopo il giuramento ha brutalmente smentito le sue stesse parole ponendo in essere le solite politiche aggressive e infoltendo il suo entourage di miliardari ed esponenti dell’élite finanziaria.
Il testo si chiude con una riflessione sul destino dell’impero USA che in parte pone domande scomode anche per i movimenti pacifisti: il presidente degli USA ha davvero il potere o non è piuttosto l’esecutore dei poteri economici dominanti che gli forniscono le basi della sua effettiva influenza? E visto il fallimento del “premio Nobel” Obama nel riportare le politiche del paese verso la decenza, ha senso ritenere Trump l’avversario principale – che in fin dei conti viene eletto per contrastare le disfunzioni generate dallo stesso impero? All’orizzonte si staglia il possibile declino non solo del sistema imperiale/ miliare nel suo complesso – sempre più costoso e denso di nemici – ma del modello occidentale, in contrasto con l’ambiente e con ciò che sentiamo ci sfugge sempre più, come acqua dalle mani: la democrazia.
G. Ferrara, L’impero del male. I crimini nascosti da Truman a Trump, Dissensi 2018
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Matteo Bortolon