Insulti, istigazioni all’odio e al razzismo, liti, atteggiamenti aggressivi: sono gli elementi che negli ultimi anni hanno caratterizzato buona parte del disorso politico, nei giornali, sui talk show, nelle aule parlamentari, ma soprattutto sui social network. Manco a dirlo, i primi che dovrebbero dare l’esempio – ovvero i politici – sono spesso i primi responsabili, con conseguenze che in alcuni casi sono andate al di là delle parole, sfociando in episodi di vera e propria violenza. Più frequentemente, hanno contribuito ad aizzare il cittadino e ad avvelenare il clima – complice l’ormai onnipresente fake news utilizzata ad arte – senza reali prese di responsabilità da parte di chi spesso getta il sasso ma poi nasconde la mano. Ma non tutto è perduto: lo dimostra l’ampia adesione che ha avuto l’iniziativa #cambiostile, promossa dall’Associazione Parole O_Stili in partnership con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo: presentata in Senato a metà dicembre, solo nei primi giorni ha ottenuto l’adesione di cinque Ministri e circa duecento parlamentari di tutti gli schieramenti politici (ma la lista è in continuo aggiornamento). In cosa consiste? Nata a pochi mesi dalle prossime elezioni, il suo intento è proprio quello di promuovere un confronto politico basato sulla forza delle proposte e non sulla violenza degli insulti e l’inganno delle notizie false.
Utopia? In effetti, la campagna elettorale alle porte non fa presagire nulla di buono su questo fronte. Contemporaneamente, la presa di coscienza che in molti casi si sia oltrepassato il limite ha portato alla creazione di una sorta di “resistenza” culturale quantomai necessaria, basata sull’adesione ai dieci punti del “Manifesto della comunicazione non ostile… in politica” promosso dall’associazione. Tra i punti principali: creare una cultura della responsabilità di ciò che si comunica e si condivide; promuovere il rispetto dell’avversario e delle idee contrapposte; fondare il confronto su argomentazioni, e non sugli insulti. Il tutto, declinato in prima persona, a sottolineare l’impegno personale di chi sceglie di firmare e adottare il decalogo. Tra i primi firmatari: i ministri Minniti, Fedeli, Martina, Pinotti e Finocchiaro, i capigruppo al Senato Zanda (PD), Centinaio (Lega), Romani (FI), De Petris (SEL), Bianconi (AP), Guerra (MdP), Zeller (Autonomie) e alla Camera Rosato (PD), il Sindaco di Bergamo Gori, promotore dell’iniziativa anche verso i sindaci italiani, tra cui Antonio Decaro, Sindaco di Bari e Presidente Anci, e tanti altri nomi, tutti visibili sul sito. Questo significa che la loro condotta potrà essere verificabile, anche se viene difficile pensare che i veri responsabili del più becero hate speech, coloro che dell’insulto hanno fatto il loro tratto distintivo, vengano illuminati da una simile presa di coscienza.
Perle come “Che cosa faresti se ti ritrovassi in macchina con la Boldrini?”; “Ci aveva provato anche zio Adolf a prendere qualche rimedio, politicamente scorrettissimo, ma non gli è riuscito neanche a lui”; “I campi rom? Li raderei tutti al suolo. Voi cosa fareste?”; “Quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di orango”. Sono solo la punta dell’iceberg, in un clima di impunità generale, scuse superficiali (quando ci sono) e leggerezza irresponsabile che sono ormai diventati la quotidianità. L’iniziativa #cambiostile vuole essere il segnale di un cambio di rotta, e avremo presto modo di vedere se darà i suoi frutti. Perché qui non si tratta di ripristino del politically correct o del tanto vituperato “buonismo”, come obiettano in molti, ma di semplici regole di convivenza civile ed educazione, per non dire decenza, da molti relegate nel dimenticatoio. “Siamo dei sognatori, lanciamo un seme e speriamo di cambiare qualcosa” ha commentato Rosy Russo, ideatrice del progetto Parole O_Stili, la prima community in Italia nata proprio per porre un argine alla violenza verbale, soprattutto in rete. L’augurio, continua Russo, è che il progetto #cambiostile “possa diventare una buona pratica capace di contagiare tutta la classe politica italiana e diffondere il virus positivo dello scegliere le parole con cura”.
Realizzato attraverso un lavoro collettivo che ha coinvolto esperti di linguaggio e comunicazione politica – fra cui Annamaria Testa, Giovanni Boccia Artieri, Andrea Camorrino, Fausto Colombo, Matteo Grandi, Francesco Nicodemo – il Manifesto vuole quindi essere un impegno spontaneo e personale preso da politici e amministratori locali a affinché il dibattito politico sia concentrato su contenuti e idee orientati al bene comune, attraverso un linguaggio rispettoso e non ostile, evitando che la rete possa diventare una zona franca dove tutto è permesso ed educando invece alla responsabilità le community di riferimento. “Un’applicazione pragmatica sui toni e lo stile da adottare durante i confronti e i dibattiti con gli avversari, siano essi online oppure offline” si legge sul sito dell’iniziativa. La quale potrebbe avere effetti benefici anche sul fronte di un maggiore coinvolgimento dei giovani: come si evince dalla rilevazione di approfondimento del “Rapporto Giovani” dell’Istituto Giuseppe Toniolo, in collaborazione con Fim Cisl, i ragazzi indicano proprio la politica al primo posto fra le cause della propria difficile attuale condizione. “La conseguenza è il distacco per reazione ad una politica che non si mette in sintonia con le nuove generazioni e non offre risposte efficaci nel migliorare la loro condizione”.