Negli ultimi anni si è diffuso in Europa il terrore nero dello Stato Islamico (ISIS). Video violenti, rapimenti ed attentati hanno traumatizzato l’Occidente, ma com’è possibile che un gruppo relativamente ristretto di estremisti metta in ginocchio il mondo? Da dove provengono i capitali utilizzati dall’ISIS per le sue operazioni?
Lo stato islamico è il gruppo terroristico più ricco al mondo, visto il suo possesso del petrolio del Golfo dal valore stimato di 2 miliardi di dollari, ottenuto attraverso il controllo di circa il 60% dei pozzi siriani e di 350 giacimenti in Iraq. Su questa base si sviluppano numerosi e remunerativi traffici “sommersi”. È una realtà meno conosciuta, quella sul commercio di petrolio e beni antichi che il gruppo effettua sul mercato nero.
Tali scambi illegali hanno come principale sfondo l’Iraq, con entrate annue dai 50 ai 200 milioni di dollari, gestite direttamente dal califfo. Il greggio, trasportato attraverso autobotti, pulmini ed oleodotti improvvisati, viene rivenduto oltreoceano, in Turchia, Giordania e Kurdistan, dove per un barile si arriva a pagare fino a 20$ in meno di quanto previsto nei mercati regolari. Un traffico che coinvolge interi villaggi nella zona del fiume Oronte (Siria) verso la Turchia, con un’esportazione giornaliera di circa 18.000 barili (stando alle informazioni del 2014).
A fianco della vendita di petrolio vi è quella di oggetti antichi dal valore inestimabile, trafugati da città e musei. E’ noto ormai a tutto il mondo che le città conquistate dalle milizie nere vengono di prassi distrutte: il pretesto è l’eliminazione storica di qualsiasi traccia di un dominio differente da quello del califfato, ma la reale motivazione la si trova nel crescente interesse economico nella vendita dei resti archeologici. I rapporti UNESCO documentano come la maggior parte delle unità dell’ISIS in Siria e Iraq, dopo aver conquistato luoghi millenari considerati blasfemi, rivendono i resti di quanto rimane dopo la loro furia barbara sul mercato nero, trasformandosi in fornitori d’eccezione dei trafficanti d’arte internazionali.