Continua la lotta contro le trivelle nel Canale di Sicilia, l’ecosistema più ricco di diversità biologica del Mediterraneo. L’Eni vuole trivellare al largo della costa tra Agrigento e Licata, presentando una valutazione dei rischi incompleta
e superficiale.
Ieri Greenpeace, associazioni locali e del settore pesca e l’Assessorato all’Ambiente della Regione Siciliana hanno presentato osservazioni puntuali contrarie al progetto di un pozzo esplorativo, VELA 1, presso la Commissione di Valutazione di impatto ambientale (VIA) del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Mare, incaricata di autorizzare le operazioni.
L’Eni propone di trivellare un fondale a oltre 700 metri di profondità, 30 chilometri circa al largo delle coste agrigentine, senza nemmeno valutare gli effetti di un possibile incidente rilevante sull’ecosistema marino e sulle attività di pesca dell’area, minimizzando numerosi altri impatti e presentando dati che cancellano la presenza di una rotta migratoria degli uccelli nell’area.
Il contributo di Greenpeace alle osservazioni presentate insieme alle associazioni è sintetizzato nel rapporto “I vizi di Eni” (http://www.greenpeace.org//
“Per la corsa all’oro nero le multinazionali del petrolio sono disposte a correre ogni tipo di rischio, dal Mediterraneo all’Artico.
È vergognoso che ci vengano presentate valutazioni di bassa qualità, piene di mistificazioni e omissioni: sarebbe ancora più scandaloso che queste attività venissero autorizzate dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Mare” afferma Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace. “L’Eni non ha appreso nulla dagli incidenti avvenuti poche settimane fa presso la raffineria di Gela e adesso ci propone esperimenti pericolosi in mare aperto”.
Eppure gli incidenti con massicce perdite di gas non sono così rari, tra i più citati quelli avvenuti nel Mare di Azov in Russia, con gravissime conseguenze sulle risorse ittiche.
Anche nel Mediterraneo abbiamo dei precedenti, basti ricordare l’incendio della piattaforma Adriatic IV, proprio di ENI (e BP) al largo delle coste egiziane. Un incidente rilevante, con fughe di gas metano nel Canale di Sicilia avrebbe conseguenze disastrose, con notevoli impatti sull’ecosistema marino e sulle risorse della pesca.
L’area dove l’Eni vorrebbe trivellare è infatti particolarmente importante per la riproduzione delle acciughe, una risorsa già in crisi che non sopporterebbe un incidente di questo tipo.
Quanto alle rotte di migrazione degli uccelli, l’Eni per le sue valutazioni utilizza una cartina divulgativa del Parco del Conero e ignora l’incredibile valenza per l’avifauna migratrice delle isole del Canale di Sicilia (in particolare Pantelleria e Lampedusa) e delle Zone a Protezione Speciale (ZPS) istituite presso il litorale di Gela.
Il piano faunistico e venatorio 2013-2018 della Regione Siciliana presenta una cartina con una delle quattro rotte di migrazioni principali che passa praticamente sul sito dove si vorrebbe trivellare il pozzo VEGA1.
“Questi progetti sono una pura follia. È ora di decidere di tutelare le vere risorse del mare, la sua biodiversità e le risorse ittiche, vera fonte di reddito per le comunità locali, invece di svenderle ai petrolieri” conclude Monti. “Ci congratuliamo con la Regione siciliana che anche questa volta ha mantenuto l’impegno di stare al fianco delle associazioni contro questa folle corsa alle trivelle davanti alle coste siciliane”.
Oltre a Greenpeace e alla Regione Siciliana sono state inviate osservazioni da: Lega Navale sez. Sciacca, Italia Nostra sez. Sciacca, Associazione l’AltraSciacca (come Comitato Stoppa la Piattaforma), ACGI-AGRITAL SICILIA, Lega Pesca Sicilia, Associazione Apnea Pantelleria.
Leggi il rapporto ”I vizi di Eni”:
http://www.greenpeace.org//