Con questo intervento di Teresa Barbagli consideriamo concluso lo spazio di dibattito generato dall’articolo di Alberto L’Abate “Grillo, il Movimento 5 stelle, e la Nonviolenza”. Constatiamo che nessun membro del Movimento 5 Stelle ha voluto rispondere ad Alberto su queste pagine e questo ci dispiace.
Con questo scritto desidero prendere posizione rispetto all’articolo “Il Movimento 5 Stelle e i nonviolenti: a chi tocca indicare la strada?”, di Lorenzo Galbiati, in risposta ad Alberto L’Abate, pubblicato l’11 maggio 2013.
Prima di parlare del potere curativo del dialogo occorre definire attentamente il significato dei termini “curare” e “dialogo”.
Per me curare, in questa situazione, significa guarire la ferita della separazione intrinseca nella società moderna. Siamo separati dalla natura e dagli animali. Siamo separati dalla società e dalle altre persone. L’essenza del dialogo è l’ascolto, il dialogo è più di una normale conversazione. Il suo scopo è capirsi – non solo condividere le rispettive visioni, cosa che ridurrebbe lo scambio a un semplice passaggio d’informazioni. In un dialogo abbiamo la responsabilità di essere presenti e di arricchirci l’un l’altro.
Dovremmo sempre ricordare che le parole “rispondere” e “responsabilità” deriva dallo stesso termine latino, rispondere, che significa “promettere”, essere capaci di rispondere in maniera abile e appropriata a qualsiasi evento, qualità che richiede a ciascuno una buona dose di equilibrio e senso di realtà.
Ma questo genere di comunicazione non è naturale per gli esseri umani, che sono fondamentalmente egoisti ed egocentrici. Ciò rende particolarmente difficile dialogare, soprattutto in una cultura che parla e che insegna; la comunicazione è più facile in una cultura che ascolta e che impara. Quindi, per essere in grado di condurre un dialogo, dobbiamo a volte sviluppare le nostre capacità. La pazienza è una qualità necessaria, ma non è questo l’aspetto più difficile; ciò che può rivelarsi più arduo da sviluppare è un’attitudine appropriata: una profonda consapevolezza degli altri. È questa che ci permette di creare una vera armonia.
Detto questo, passiamo alla mia posizione.
Condivido la sua analisi ed aggiungo: Grillo è stato capace di coinvolgere la gente, perché ha avuto l’accortezza di mettersi sullo stesso piano delle persone presenti nelle piazze. Si è messo in sintonia comunicazionale con la “gente” parlando il suo stesso linguaggio per dare sfogo al suo malessere sociopolitico ed economico. E lo ha fatto con i modi, la gestualità e il “gergo” trasgressivo del giullare-buffone, figura da sempre delegata (e addirittura legittimata!) ad esprimere la rabbia, il malcontento e gli umori delle classi popolari represse dal potere.
Ora, nei movimenti nonviolenti spesso e volentieri si riproducono – purtroppo – proprio quei meccanismi e quelle strutture di potere che si vogliono combattere: meccanismi – ahimè – comprensibili perché parte del nostro patrimonio genetico… ma perbacco: basta con questo sistema piramidale e con l’ottusità di chi non fa, prima di tutto, un serio lavoro su se stesso! E’ sufficiente adottare, formalmente, metodologie nonviolente se non si cambia alla radice? Presidenti, emeriti professori, vicepresidenti, responsabili…..abbiate l’umiltà di non passare accanto alla gente (o di trattarla) con quella puzza sotto il naso che tante volte vi contraddistingue, sfoggiando cioè una vera e presunta “superiorità” intellettuale sul “popolo bue”.
La “massa” avrebbe bisogno di questo atteggiamento paternalistico? Attenti: il “cocchiere”, se persevera a viaggiare in strade dissestate va a finire che crepa, per dirla alla Gurdjieff ( che molti di voi sicuramente neppure conoscono, in quanto, per essere “specialisti della nonviolenza” basta limitarsi – a seconda dell’orientamento – alla conoscenza di Capitini e Gandhi, sapendoli citare a memoria)
Nel suo sistema, Gurdjieff paragona l’essere umano ad una carrozza: la carrozzeria è il corpo, i cavalli le emozioni, il cocchiere la mente ed il proprietario, ovvero colui che decide dove andare perché sa qual è la direzione, è l’“Essenza”. Questa “Essenza” per Gurdjieff è nell’uomo addormentata (di conseguenza la mente-cocchiere fa ciò che vuole, si ubriaca e sbanda e non riesce a governare i cavalli-emozioni e, alla lunga, ci rimette la carrozza-corpo, che viaggia su strade dissestate). Di conseguenza, essendo l’umanità una estensione dell’uomo, Gurdjieff vede solo “addormentati” anche in coloro che pretendono di governare la carrozza umanità.
Bene, poiché qualcuno si è offeso, al punto da cancellare dalla sua pagina queste mie riflessioni ritenendole accuse immotivate, tenterò di argomentare le mie critiche (definizione data dal Presidente arrabbiato) le quali per me, andando oltre una valutazione razionale dei movimenti nonviolenti, corrispondono anche e soprattutto ad un sentire interiore corporeo. E’ naturale (e scontato) relazionarsi agli altri tramite il linguaggio verbale; più difficile è farlo attraverso il “sentire” corporeo. Questo “sentire”, essendo in rapporto intimo con l’interiorità, grazie a questa vicinanza profonda e vitale coinvolge il nostro potenziale creativo, capace di cogliere anche il sottaciuto e/o il non detto.
In quest’ottica, l’ atteggiamento del fantomatico Presidente riflette alcuni dei meccanismi di potere che le cosiddette “cariche” e “responsabilità” fanno spesso scattare.
Il significato più generale del concetto di ‘potere’ si ritrova nel Sofista di Platone, in cui si afferma che il potere è “la definizione dell’essere”, il tratto distintivo dell’esistenza reale: ossia la capacità di “influenzare un altro, o di essere influenzati da un altro”.
Hannah Arendt, ad esempio, si richiama a una tradizione e a un lessico “antico e venerando” secondo cui il termine ‘potere’ “indica la capacità umana non semplicemente di agire, ma di agire di concerto. Il potere non è mai proprietà dell’individuo; esso appartiene a un gruppo e continua ad esistere solo finché il gruppo resta unito. Quando diciamo che un individuo ‘ha potere’ ci riferiamo in realtà al fatto che a tale individuo è stata conferita da un certo numero di persone la facoltà di agire in loro nome” (v. Arendt, 1970, p. 44).
Mi piace citare le parole dell’Arendet per ribadire con più forza l’arroganza tipica, da “ciclisti”, di alcuni presidenti e simili: una forma perversa e per di più ridicola di un certo modo di assumere e gestire le cosiddette “responsabilità” ha fatto di questi rappresentanti del potere una specie protetta e prevaricatrice, con più diritti e meno doveri di “automobilisti” e “pedoni”. E, soprattutto, senza alcuna responsabilità di fatto. Chi pedala salva l’ambiente, secondo una certa ideologia verde d’accatto, e dunque pazienza se investe una vecchietta sul marciapiede, se costringe a una brusca frenata con rischio di tamponamento a catena l’automobilista che se lo trova di fronte in una strada a senso unico.
Chi non sa ascoltare punti di vista diversi e/o divergenti, chi non comprende quando bisogna cambiare strada, chi non vuole ammettere che il movimento, allo stato attuale, altro non è che un variegato e frammentato (o frantumato?) movimento della pace, e che, in queste condizioni a dir poco precarie, non ha possibilità né forza alcuna di incidere sulle politiche globali, sugli assetti economici, sugli squilibri planetari, dichiara, indirettamente, il fallimento delle strategie nonviolente tradizionali. E purtroppo, invece di affrontare la scomoda verità, sceglie di esercitare una forma di potere subdola convincendosi e cercando di convincere gli altri che le sue idee sono migliori: insomma è come il ciclista al quale, in virtù del fatto che l’uso della bicicletta non inquina, tutto o quasi è concesso.
Bob Marley, il famoso cantante reggae giamaicano, cantava un celebre verso: “Emancipati dalla schiavitù mentale”.
Quando parlo di potere, mi riferisco a chi non è capace di accogliere punti di vista diversi dal proprio e che impone sotto certi aspetti una forma di schiavitù mentale che induce le persone ad accettare un sistema di indottrinamento senza fare domande.
Leggere un articolo non significa solo sfogliare le pagine (in questo caso pagine web),ma organizzare l’informazione, significa riflettere, individuare le parti su cui tornare, interrogarsi su come inserirle in un contesto più ampio, sviluppare le idee. Il fatto che abbia oscurato le mie parole evidenzia questa forma di potere. La qualità delle nostre relazioni non è determinata da quello che accade all’interno di queste, ma piuttosto da come ci atteggiamo nei confronti di ciò che ci accade. Siamo noi a decidere come sentire e agire secondo come abbiamo scelto di percepire la nostra esistenza. Nessuna cosa ha un significato diverso da quello che noi le attribuiamo. La stragrande maggioranza dei movimenti pacifisti si sentono portatori di verità assolute e agisce come se questo processo di interpretazione fosse automatico escludendo di fatto altri punti di vista, perdendo a parer mio il potere di creare coesione o almeno dialogo e interazione.
Maestro della nonviolenza è colui o colei che possiede la capacità di istituire legami con altri, di sviluppare rapporti con individui di ogni tipo.
Le grandi riuscite, quelle di un Kennedy, di un Martin Luther King, dello stesso Gandhi, sono anche frutto di una intelligenza e sensibilità nello stabilire legami e sintonie con milioni di altri esseri umani.
Le persone “vittoriose” nelle loro battaglie, di solito hanno imparato a raccogliere tutte le sfide dell’esistenza e a comunicarne l’esperienza a se stessi in modo da realizzare un cambiamento costruttivo. Fallisce chi, di fronte alle avversità , ne percepisce e vive solo le limitazioni. Gli individui capaci di plasmare le nostre esistenze e le nostre culture sono anche maestri della comunicazione con gli altri; l’elemento che hanno in comune è la capacità di trasmettere una visione, un’aspirazione, una gioia, una missione. L’uso giusto, opportuno e sapiente della comunicazione è fondamentale e “fa la differenza”, si tratti di un genitore, un uomo politico, un insegnante.
Non sarebbe forse più ragionevole ammettere che abbiamo fallito, che i finanziamenti agli armamenti, nonostante tutte le battaglie, siano aumentati invece che diminuiti? Beh, credo di si.
Penso invece che la prima cosa da fare all’interno di un cosi variegato movimento sia quello di partire da sé: un percorso personale mirante allo sviluppo di una cultura di pace e di giustizia a tutto campo e in ogni settore dell’esistenza.
Qualche esempio ? A parer mio non basta più lavorare solo sui temi “specifici” della nonviolenza vale a dire la gestione nonviolenta dei conflitti e la promozione e rispetto dei diritti umani: le tematiche vanno estese all’equa distribuzione delle risorse, al rispetto dell’ambiente, al consumo critico e allo sviluppo sostenibile, alla finanza etica e, soprattutto, a corollario di tutto, alla comunicazione intra e interpersonale . Personalmente credo che la stessa alimentazione possa avere una connotazione nonviolenta (da qualche mese ho scelto di passare al veganesimo…).
Molti sostengono che la scelta vegana sia estrema. Io penso che sia questa società a esserlo, fondata su estrema crudeltà e violenza. Essere vegano significa abbandonare convincimenti sbagliati, dire no al maltrattamento e all’uccisione degli animali. La violenza (per di più gratuita in quanto da tempo la caccia non rappresenta più l’unica fonte di sopravvivenza) verso esseri indifesi non è degna di una società civile, benché la scelta vegana significhi percorrere un cammino lungo e difficile alla ricerca di un raro equilibrio, una strada impegnativa in un mondo indifferente e sempre avvezzo ad una quotidianità più o meno violenta.
In quanto alla comunicazione, il filosofo Attalo era solito dire che farsi un amico dà più gioia che averlo. Le persone che influiscono sui pensieri, i sentimenti e le azioni della maggior parte di noi sono quelle che sanno come servirsi di questo strumento che è la comunicazione. Saper comunicare con efficacia “scuote” le masse (e lo dimostrano i risvolti terrificanti dei discorsi di Hitler e Mussolini che, al negativo, erano – purtroppo – anche dei grandi “comunicatori”)…
Dalla qualità della comunicazione col mondo esterno dipenderà, in buona parte, il successo del singolo con gli altri sul piano personale, emozionale, sociale e finanziario. Ma più importante ancora è arrivare al successo “interiore”: la felicità, la gioia, l’estasi, l’amore, e quant’altro si desideri sono il diretto risultato del nostro modo di comunicare con noi stessi.
E allora ecco cosa ci sarebbe da imparare, cari amici:
• Rifiutare il concetto di Nemico
• Cercare i Valori dell’Altro
• Cercare l’Umanità nell’Altro
• Non identificare Diversità con Avversità
• Cercare i punti di Convergenza anziché di Divergenza fra i Valori propri e quelli dell’Altro
• Sollecitare le Aspirazioni alla Pace in Sé e nell’Altro
• Intervenire come Mediatori fra gli Uni e gli Altri in conflitto
• Offrirsi quali Ambasciatori di Pace fra i Contendenti
Cercare di fugare le Paure dell’Altro, dopo avere fatto un percorso di auto-liberazione dalle cause della Paura.
Caro Presidente: cerca i valori anche in quello che Grillo – con buona pace delle sue recenti “cadute” comunicazionali (discutibili ma più che altro interne) – è comunque riuscito a fare: con le “armi” della trasgressione verbale, dell’ironia e del linguaggio del corpo ( tutte capacità estranee a molti nonviolenti) un “giullare” ha saputo mettere insieme un sacco di persone…facendosi portavoce del loro malessere e della loro indignazione.
E noi?
Ora tocca a te: qualche idea?
Teresa Barbagli
Portavoce della FUCINA per la NONVIOLENZA, sezione fiorentina del Movimento Nonviolento Italiano