Can Dundar arriva sul palco del Cinema Apollo di Ferrara carico di emozione. Non solo perché sta per ricevere il Premio Anna Politkovskaja, conferito ogni anno nell’ambito del festival del settimanale Internazionale, ma soprattutto perché in sole ventiquattro ore alcune svolte significative l’hanno colpito.
Da oltre un anno, l’ex direttore del quotidiano turco Cumhuriyet ha scelto di espatriare in Germania dopo il tentato omicidio subito nel maggio del 2016 sulla scalinata dell’Adalet sarayi di Istanbul, in seguito alla condanna a cinque anni e dieci mesi di carcere con l’accusa di terrorismo, spionaggio e divulgazione di segreti di stato, per cui aveva già scontato tre mesi e quaranta giorni di isolamento nelle celle del penitenziario per oppositori politici di Silviri, alle porte della città. L’accusa si riferisce alla pubblicazione di riprese ed articoli realizzati con il collega Erdem Gul (anche lui incarcerato a metà del 2016 e processato, come molti altri giornalisti della testata, ormai decimata) che documentano la fornitura di armi da parte dell’intelligence turca verso alcuni gruppi jihadisti a confine con la Siria.
Ebbene, come spiega Dundar con voce rotta, mentre regge la placca che riporta il nome della giornalista russa barbaramente uccisa per la stessa tenacia ed affezione alla verità, solo ieri notte è stata annunciata la sua candidatura al premio Nobel per la pace 2017. Quasi contemporaneamente, il governo turco ha emesso un mandato di cattura internazionale che richiede l’estradizione dello stesso Dundar.
“La mia è una vita di premi e punizioni che si susseguono continuamente, ma questo è parte della lotta per la democrazia” commenta Dundar. Averlo in Italia è un’occasione per interrogarsi sulla situazione attuale nel paese che si è lasciato alle spalle solo fisicamente, come dimostra la creazione della piattaforma Ozguruz, “siamo liberi”, che gestisce dalla Germania verso cui si è spostato poco prima del tentato colpo di stato del 15 Luglio 2016. “Quello è stato il colpo di grazia”, spiega Dundar, perché nessun partito di destra né di sinistra ha mai considerato possibile l’ingerenza dell’esercito nella politica, ma neppure auspicato l’annullamento del suo ruolo di contenimento verso la supremazia dei leader, a difesa dell’esercizio della democrazia, come accade invece adesso a seguito delle cosiddette “purghe” e di una vera e propria caccia alle streghe verso chiunque abbia a che fare con l’acerrimo nemico Fetullah Gulen, l’ex imam e politologo, esiliato negli USA, sospettato di aver architettato il golpe.
Mettendo in discussione proprio il concetto di democrazia, viene ormai spontaneo chiedersi se la Turchia stia volgendo, piuttosto, verso la dittatura che Dundar, tuttavia, esclude in virtù di quella metà della popolazione (come si evince dai risultati dell’ultimo referendum costituzionale dello scorso aprile) che è contro il pugno duro, l’islamizzazione dilagante, l’allontanamento dall’Europa. In questa Turchia spaccata esattamente per metà, le ragioni della frattura stanno nell’assenza di un’alternativa valida al potere di Recep Tayyip Erdogan e del suo partito, l’AKP, fattore che si ripercuote specie a livello economico e sociale, dove i business circles accettano di buon grado il sacrificio di libertà a diritti se questo coincide con maggiore stabilità, a detta di Dundar. Siamo davanti ad un paese complesso continuamente minacciato da cani sciolti e latenti conflitti interni ai suoi confini, primo fra tutti quello con la minoranza curda la cui situazione, secondo Dundar, è tornata ad essere quella degli anni Ottanta, proprio dopo un lungo periodo di distensione che aveva fatto ben sperare. “Non ci sarà democrazia in Russia se non si risolverà la questione cecena”, aveva dichiarato Anna Politkovskaja. Plausibilmente, anche in Turchia non ci sarà democrazia finché non si sarà risolta la questione curda, a cui ora si legano anche i risvolti della guerra in Siria.
Pur nella sua condizione di estrema difficoltà – Dundar ammette infatti di rimpiangere i tempi della prigione in cui era libero dalla schiavitù della paura di essere nuovamente arrestato – l’ex direttore di Cumhuriyet crede che ci sia luce in fondo al tunnel del periodo più oscuro della storia turca.
Il paese, infatti, si avvia verso la recessione economica dopo un periodo di crescita: le perdite nel settore turistico sono incalcolabili (-30% di visitatori stranieri nel’anno in corso), la middle class arricchita dai progetti nell’edilizia e nelle infrastrutture andrà progressivamente impoverendosi e in quel modo Erdogan comincerà a perdere consenso. “Appena ci sarà un’alternativa seria a tutto questo, sono certo che i turchi la sceglieranno. Se non c’è, significa che dobbiamo impegnarci a costruirla.”