Piazza Taksim è ormai libera. Gli scontri, che hanno avuto una durata di tre giorni, hanno ottenuto alla fine un risultato. Tuttavia, in alcuni quartieri di Istanbul così come in diverse città della Turchia, la rivolta continua anche in modo molto violento.

La notte del 1° giugno si sono verificati duri scontri tra i manifestanti e la polizia. Le strade erano piene di capsule vuote di lacrimogeni e munizioni di plastica. I pronti soccorsi degli ospedali erano pieni di feriti di ogni tipo. La solidarietà della gente del quartiere ha fatto sì che i manifestanti subissero meno danni del previsto. I medici erano in giro a soccorrere i feriti, i negozi, gli alberghi, i bar e pure i bordelli illegali hanno accolto i manifestanti.  Nello stesso momento, bruciavano anche le strade di altre città turche come Ankara, Afyon, Smirne, Eskisehir, Antalya, Samsun, Adana e Hatay, ma non solo.

Sabato mattina, intorno alle tre c’è stata una tregua temporanea.  I poliziotti riposavano lungo il corso principale di Taksim , Istiklal Caddesi. I manifestanti restavano dove avevano trovato rifugio, oppure si erano ritirati a casa. Grazie anche alla temperatura mite, fin dalle prime ore del mattino Taksim ricominciava a riempirsi di gente. Contemporaneamente, medici e studenti di medicina curavano le ferite delle persone per strada e avvocati raccoglievano i dati per sporgere denuncia o difendere gli arrestati. Con maggiore veemenza, a partire dalle 10:00, la polizia ha tentato di respingere le persone usando lacrimogeni, idranti e manganelli, ma ormai era troppo tardi: a Taksim arrivavano fiumi e fiumi di persone, emarginate ed escluse dalle politiche sociali ed economiche del governo in questi dieci anni.  Medici, insegnanti, pensionati, studenti universitari, politici, avvocati, liceali, attivisti lgbtq, donne, operai… Dopo qualche ora di scontri violenti, intorno a mezzogiorno, Piazza Taksim ed il Parco di Gezi erano stati liberati e la polizia si stava ritirando. Ora era il momento di guardarsi attorno e vedere quelle centinaia,  migliaia di persone lottare insieme. Come afferma uno dei manifestanti: “Le persone che sono qui appartengono a classi sociali diverse e a diversi schieramenti politici, oppure finora non avevano una posizione politica, ma oggi sono qui per dire basta”.

In giornata alcuni canali televisivi internazionali hanno iniziato a trasmettere la diretta dalla piazza. Due gli slogan che riecheggiavano in continuazione: “Governo dimissioni” e “Media venduti”. (Ancora adesso i mass media  mainstream  continuano a non dare la giusta importanza a ciò che accade in Turchia).

La mania di controllo su ogni tipo di meccanismo politico e democratico è una delle linee principali di Erdoğan. Per la costruzione della caserma al posto del Parco di Gezi, quando i meccanismi della giustizia -teoricamente indipendente- avevano espresso un parere contrario, Erdoğan aveva affermato: “Presenteremo ricorso. Noi vogliamo ricostruire la vecchia caserma: una parte sarà un museo e l’altra  un centro commerciale come appendice di Istiklal Caddesi”.  Questa è la cultura di progettazione urbanistica di Erdoğan. Stiamo parlando di una città, Istanbul, che “vanta” una quantità di centri commerciali superiore a metropoli come Berlino, Parigi e Tokyo e detiene  il record mondiale di densità delle moschee, una ogni 350 abitanti. Durante l’inaugurazione del nuovo edificio dell’Archivio di Stato, Erdoğan ha dichiarato risoluto: “Il nostro progetto sarà realizzato. A Taksim oltre alla caserma e ad un nuovo teatro d’opera, che sostituirà il centro culturale AKM, costruiremo anche una moschea”.  Insomma: “S’ha da fare, perché così abbiamo deciso!”.

Giornali e canali televisivi nazionali continuano attualmente a lavorare sotto una censura non-ufficiale, tacendo ciò che accade. La sera del 31 maggio parecchi canali televisivi hanno trasmesso l’ordinario discorso al popolo del primo ministro, anziché dare il meritato spazio alla rivolta di piazza.

La posizione drastica ed antidemocratica del governo di Recep Tayyip Erdoğan viene confermata dall’influenza esercitata sui media, ai quali il premier ha cercato di imporre senza riserve la propria linea:  durante un programma televisivo diretto dal “giornalista” Fatih Altayli, il premier ha attaccato i social media senza mezzi termini: “Esiste un problema che si chiama Twitter. Qui si trovano falsità ed esagerazioni. Secondo me i social media sono uno dei problemi più importanti della società e delle società di oggi. Le foto vengono truccate usando Photoshop per mostrare cadaveri!”.

Durante l’intervista con Altayli Erdoğan ha cercato di stordire l’opinione pubblica con menzogne e minacce: “In Piazza Taksim ci sono 20 o 30.000 persone. Se lo volessimo, potremmo far scendere in piazza 250.000 o anche 500.000 persone. Sì, possiamo farlo. La nostra base ci chiede cosa stia succedendo e noi la stiamo tenendo a bada” ha dichiarato. Erdoğan non ha mai smesso di specificare, in ogni discorso, che si tratta esclusivamente di un parco e che in piazza c’erano solo dei gruppi illegali, collaboratori del partito all’opposizione, il CHP. Manipolando in questo modo la realtà, si permette di ignorare la richiesta di dimissioni che arriva da tutte le città della Turchia e la presenza di migliaia di persone non legate a nessun tipo di organizzazione politica.

La piazza a Istanbul era ormai libera, ma nei quartieri confinanti come Beşiktaş e Dolmabahçe gli scontri continuavano. I manifestanti alzavano barricate, sequestravano ruspe per lanciarsi contro la polizia e bruciavano le macchine dei poliziotti. Alcuni camionisti, disposti in fila con i propri mezzi dietro alle barricate, difendevano i ribelli. La rete ha iniziato a traboccare di immagini di poliziotti che sparano dalle finestre o dritto al petto dei manifestanti, usando lacrimogeni come pallottole. In alcune fotografie si distinguono pallottole vere o di plastica raccolte da terra. A Beşiktaş e a Dolmabahçe la polizia ha iniziato a ricevere bus coi rinforzi e gli scontri sono andati avanti sino a lunedì mattina.

Anche in altre città della Turchia la reazione violenta della polizia è stata documentata chiaramente. Passanti picchiati a Smirne, una ragazza pestata da più di 20 poliziotti ad Ankara, persone colpite alla testa e ferite gravemente, riverse per terra ad Adana e ad Hatay. Ad Ankara per via della presenza di edifici statali, la reazione della polizia è stata molto dura. I manifestanti hanno continuato a chiedere le dimissioni del governo. A Samsun e ad Afyon, ma non solo, le sedi centrali del partito al governo, l’AKP , sono state circondate e in alcuni casi prese a sassate. Le proteste continuano in diverse forme a Sinop, Hopa, Mersin, Adiyaman, Corum, Trabzon, Antalya, Ordu, Eskişehir, Gaziantep e Mudanya.

Nel frattempo, ad Istanbul, centinaia di persone si sono riunite davanti alla sede del canale televisivo NTV per manifestare contro il “silenzio” mediatico da esso messo in atto. Secondo il quotidiano SoL, alcuni dipendenti dell’NTV si sono uniti ai manifestanti per protestare e sempre secondo la stessa fonte il produttore del telegiornale notturno, Ömer Faruk Aykar, ha presentato le dimissioni, rifiutandosi di seguire la linea politica ufficiale. Il fotografo Mehmet Turgut, che conduce un programma nel palinsesto dello stesso canale, ha reso pubbliche le dimissioni sul suo profilo. Un altro sostegno significativo è giunto da un enorme centro commerciale, il Kanyon: in giornata, centinaia di dipendenti hanno lasciato il lavoro e dai piani del centro commerciale hanno scandito lo slogan: “Taksim ovunque, resistenza ovunque”.

Nel mentre, il sindacato degli operatori scolastici ha indetto uno sciopero nazionale di tre giorni (3-4-5 giugno) in segno di solidarietà con la rivolta. Il sindacato dei giudici ha denunciato ufficialmente il prefetto, il capo della polizia e il sindaco di Ankara, ritenendoli responsabili del terrore che si vive durante le manifestazioni. L’unione dei medici si è appellata a  tutti i medici chiedendo loro di prestare soccorso ai feriti in piazza il prima possibile.  Il DISK (Sindacato Confederale dei Lavoratori Rivoluzionari) ha emesso una dichiarazione chiedendo al governo di smettere di usare la violenza, “altrimenti presto la Turchia potrebbe assistere ad uno sciopero generale e nazionale”. In diverse città del paese e in centinaia di campus, gli studenti universitari hanno organizzato manifestazioni e presidi.

Anonymous ha comunicato in un video di aver lanciato la campagna #OpTurkey prendendo in mira tutti i siti web del governo e del partito al potere, l’AKP. In pochi minuti, questi siti web hanno iniziato a ”cadere”, uno dopo l’altro. In un video messaggio di protesta il gruppo Femen si è schierato contro la violenza della polizia e ha inviato un appello alle donne, chiedendo loro di raggiungere le forze ribelli, di lottare per i loro diritti e per la libertà in Turchia.

Questa settimana sono previste varie manifestazioni in diversi quartieri di Istanbul. In molte città, i duri scontri con la polizia continuano. Per le strade la rivolta è violenta, soprattutto a due passi da Taksim, a Beşiktaş e Dolmabahçe. Per le strade, persone in borghese con in mano i bastoni marciano  insieme alla polizia. Questo fatto è stato denunciato pubblicamente dalla Camera degli avvocati di Smirne. In piazza Taksim, per il momento, sembra che la gente si stia ancora medicando le ferite. Nel resto del paese, il caos e la violenza sono grandi. Gli arresti dei quali si ha notizia sono più di 2.000, ci sono più di mille feriti, diversi dei quali molto gravi, con possibili conseguenze invalidanti. Il governo è diviso tra “no comment” e false informazioni fatte di numeri molto più irrisori. Amnesty International ha invitato l’AKP a dichiarare immediatamente  e in modo trasparente i dati corretti. Secondo l’unione dei medici c’è già un morto a Istanbul e secondo alcuni media indipendenti ce n’è, purtroppo, un secondo nella città di Antakya. Pare che questa persona sia stata uccisa da una vera pallottola alla testa.

Dopo Madonna, anche Roger Waters ha espresso la propria solidarietà alla rivolta. Senza curarsi di ciò che sta accadendo, Erdoğan è partito per una serie di visite nei paesi nord-africani.

In questo momento mi risuona nelle orecchie uno slogan che continuo a leggere in rete: “È morto un albero, è sorta una nazione”.

#occupytaksim

#occupygezi

#occupyTurkey

#tayipistifa

Informazione in italiano: http://turchia.over-blog.com/

Protesta NTV: http://video.ntvmsnbc.com/medyaya-gezi-parki-protestosu-3.html

Prove video e foto della violenza della polizia: http://delilimvar.tumblr.com/

Messaggio video Anonymous: http://youtu.be/zj0JV4WdnW4

Messaggio video Femen: http://youtu.be/P86tnmgoAac

Messaggio Instagram Madonna:

https://twitter.com/burkayadalig/status/341139708715356160/photo/1

Foto e video racconto della rivolta: http://showdiscontent.com/

Una delle tante dichiarazioni da Taksim (anche in Italiano): http://mustereklerimiz.org/

Lista dei mezzi di comunicazione professionali e amatoriali: http://hah-tv.com/direngeziparki-haber-kaynaklari/