Rare volte accade di dover rilevare prima del contenuto le traversie di un libro, ma per “Il segreto” è necessario: la sua lunga gestazione racchiude la paura che ha impedito di capire un’epoca dell’Italia, tuttora rimossa. Antonio Ferrari, il suo autore, è un giornalista del Corriere della Sera, collega e amico di quel Walter Tobagi che fu assassinato nel 1980 da un gruppo terroristico di estrema sinistra. Come lui Ferrari si occupava di Brigate Rosse e di Loggia P2, scandalo quest’ultimo nel quale fu coinvolto anche il suo giornale.
Non meno di altri, a quei tempi rischiava la pelle e viveva con la scorta. Contando sulla sua conoscenza di fatti riguardanti le Brigate Rosse e formazioni analoghe, per dare un segnale di pulizia dopo il fango P2 colato sulla Rizzoli, un responsabile del Corriere insistette affinché Ferrari firmasse con la casa editrice un contratto per un libro sul caso Moro. Non senza resistenze l’autore accettò, scegliendo la forma del romanzo per ovvia difesa. Vi scrisse tutto ciò di cui aveva saputo nei lunghi anni di giornalismo investigativo, trasfigurando luoghi e persone. Lo consegnò nel tempo richiesto, più di 35 anni fa. “Il segreto” non fu mai pubblicato, come avevano previsto gli amici ai quali lo aveva fatto leggere.
Che cosa raccontava di tanto sconvolgente da essere censurato? Che il delitto Moro fu una porcheria internazionale: il sequestro e la morte dell’esponente democristiano nacquero per decisione dei servizi segreti di paesi stranieri, che usarono le Brigate Rosse per deviare il corso della storia d’Italia, leggi compromesso storico. Era il 1978 e Aldo Moro mirava a inglobare nella maggioranza di governo i comunisti: inaccettabile per le grandi potenze occidentali, per i custodi degli accordi di Yalta e per i terroristi, pedine di uno scacchiere criminale. Oggi l’editore Chiarelettere ha voluto proporre “Il segreto” al grande pubblico.
Una storia che fa meno scandalo perché è vicina a quella che, tra mille difficoltà, sta cercando di ricostruire la Commissione Moro voluta da Matteo Renzi. Anche se c’è ancora chi, recensendolo, etichetta l’opera con la parola “dietrologia”. A questo punto, però, sorge spontanea la domanda: perché per 35 anni nessuno ha voluto pubblicarla?