Sala della Libreria Popolare di via Tadino a Milano strapiena ieri per l’incontro ”Illuminare l’oscurità. Impegno per profughi e migranti e giornalismo indipendente”.
Guido Duiella della libreria dà il benvenuto ai presenti e ricorda l’importanza di questo tema già toccato in passato e di cui la libreria continuerà a occuparsi con altre iniziative simili. Prova di questo interesse è l’enorme disponibilità dimostrata nell’organizzazione dell’incontro, dalla diffusione al fondamentale coinvolgimento di un gruppo di ragazzi della Scuola di Cinema di Milano, impegnati a risolvere tutte le questioni tecniche e a girare un video che verrà presto diffuso.
Introduce e modera Antonella Freggiaro dell’associazione Abarekà, attiva in progetti di sviluppo in Mali e in iniziative anti-razziste a Milano.
Inizia Anna Polo della redazione italiana di Pressenza, ricordando com’è nato questo incontro: a fine maggio, dopo aver intervistato Daniele Biella sul suo libro “L’isola dei Giusti – Lesbo, crocevia dell’umanità” e pochi giorni dopo un altro incontro sul tema di fare rete tra attivisti e giornalismo indipendente, è sorta l’idea di ripetere l’iniziativa, concentrandosi però sugli attivisti che si occupano di profughi e migranti. Già allora il tema era caldo, con la campagna denigratoria contro le Ong già in pieno svolgimento, ma in quel momento era difficile immaginare l’escalation di calunnie, disinformazione, brutalità e cinismo a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi da parte del governo, di molti media e della maggioranza delle forze politiche. Opporsi alla deriva razzista che sta purtroppo investendo l’opinione pubblica è diventato un impegno fondamentale e in questo senso l’immagine dell’incontro del 20 settembre è stata una luce che ha illuminato l’oscurità di questa estate difficile, aiutando a superare impotenza e scoraggiamento. Un compito che Pressenza svolge ogni giorno, pubblicando notizie che cercano sempre di trovare un equilibrio tra la denuncia e la speranza e dando spazio ai movimenti sociali, alle iniziative di solidarietà e auto-organizzazione e alle reti tra attivisti impegnate in tanti campi.
Daniele Biella, giornalista, scrittore ed educatore, racconta poi il suo viaggio sulla nave Aquarius dell’ong Sos Méditerranée, impegnata in operazioni di salvataggio dei migranti con l’aiuto di Medici senza frontiere. Tornato da pochi giorni, questa è la prima volta che parla di quella che definisce “un’esperienza che tocca nel profondo, tra le più importanti della mia vita.” Un’occasione preziosa dal punto di vista giornalistico ed umano, cercata a lungo e arrivata al momento giusto. Partendo sapeva che, visti i discussi accordi stretti con la Libia dal governo italiano, poteva anche succedere di non incontrare nessuno da salvare. Invece non è stato così e alla fine, nel corso di tre operazioni, sono state portate in salvo oltre trecento persone. Con l’aiuto di foto scattate durante il viaggio Daniele coinvolge il pubblico in un’esperienza intensa, a contatto con persone reduci da mesi di violenze e torture che finalmente si sentono al sicuro e sciolgono la tensione accumulata in canti, abbracci, risate e balli. Un’esperienza che mostra come l’essere umano sappia superare i momenti più difficili. Descrive il misto di professionalità e umanità con cui gli operatori delle ong riescono a gestire queste situazioni a volte drammatiche e insiste sul concetto che sta al centro del suo libro su Lesbo: quello dei Giusti, persone coraggiose che antepongono la giustizia alla legge – quando è iniqua – la cui opera va diffusa e valorizzata.
Francesco Di Donna, responsabile medico dei progetti di Medici senza Frontiere in Italia e nel Mediterraneo centrale, si aggancia al racconto di Daniele descrivendo la sua esperienza decennale di operatore umanitario nel Mediterraneo, ma anche in contesti di guerra come la Siria e l’Afghanistan o di catastrofi naturali come i terremoti ad Haiti e in Nepal.
L’esperienza sulle navi che salvano i migranti in mare rimane comunque la più forte: il racconto è così toccante e coinvolgente che sembra di stare accanto alle persone che passano da una situazione disperata alla sicurezza totale, alla protezione di un’assistenza a 360 gradi come quella fornita dalle Ong e ringraziano chi li ha soccorsi. Dopo mesi di violenze e abusi finalmente hanno l’occasione di parlare con qualcuno di cui possono fidarsi; è stato così che è venuto fuori il tema delle terribili violenze subite in Libia, al centro della denuncia portata da Medici senza Frontiere al Parlamento Europeo.
Salvare le persone che compiono la pericolosa traversata del Mediterraneo però è solo un primo passo, a cui si sono via via affiancate attività concrete a sostegno dei più deboli e vulnerabili, come le vittime di tortura, i migranti bloccati a Ventimiglia e a Como alla frontiera con la Francia e la Svizzera, o i rifugiati sgomberati e attaccati con cariche e idranti in piazza Indipendenza a Roma.
Pietro Massarotto, presidente del Naga, associazione impegnata da decenni nella tutela e nell’assistenza sanitaria e legale dei migranti, senza alcuna distinzione, parte dal finale dei racconti che lo hanno preceduto, dalla felicità delle persone che si sentono finalmente in salvo e avverte che quello che succede dopo è assai meno felice. Il punto centrale è semplice: non esiste un modo legale per entrare in Italia (e in Europa) e chiunque arrivi, salvo una risicata minoranza che avrebbe diritto all’asilo politico e allo status di rifugiato, di fatto non ha diritto di restare. Inoltre l’Italia, come molti altri paesi europei, interpreta la normativa sui rifugiati in modo restrittivo, non facilita la domanda d’asilo e addirittura non la cita nei moduli che le persone appena arrivate vengono inviate a firmare, moduli spesso scritti in una lingua per loro sconosciuta. La “burocrazia del male”, la definisce.
L’argomentazione del “ci vanno bene tutti quelli che hanno diritto di restare”, in apparenza più aperta del razzismo brutale, viene così smascherata per quello che è: una forma ipocrita di razzismo bianco, che invoca la legalità, ma in realtà veicola lo stesso messaggio. Ossia che non vogliamo nessuno.
Un po’ di luce in questo panorama fosco arriva dalle proposte elaborate dalla rete milanese “Nessuna persona è illegale” e rivolte all’amministrazione comunale, al governo italiano e all’Unione Europea. Sono più di venti e per brevità ne viene citata solo qualcuna: un permesso di soggiorno europeo, valido in Italia come in Danimarca o Lettonia, l’eliminazione della distinzione tra richiedenti d’asilo e migranti economici e la rinuncia a stipulare trattati per l’esternalizzazione delle frontiere con paesi notoriamente poco democratici come la Turchia, il Ciad, il Niger e la Libia (che in realtà non ha nemmeno un governo vero).
Alla fine si tratta di fare una scelta di campo, etica, a favore dell’immigrazione, di ragionare sul lungo periodo e non solo in base al breve orizzonte della politica e di riunire tutti i soggetti che hanno a cuore questo tema. Superando anche la divisione in settori, per cui chi si occupa di ambiente, pace e disarmo rimane scollegato dalle Ong e dagli attivisti impegnati per i migranti o per i diritti delle donne.
L’incontro si allarga a una visione più internazionale con i racconti di impegno e speranza contenuti nei video inviati da due attiviste di Barcellona e Atene. Mercé Duch, membro del Movimento Umanista e della campagna per la chiusura dei Centri di detenzione per stranieri, parla di alcuni indicatori positivi, come i gruppi auto-organizzati formatisi di recente a Barcellona: il sindacato dei venditori ambulanti, lo Spazio del Migrante, i Rifugiati Indignati e le Puttane Indignate. Sono gruppi composti da persone in condizioni molto precarie, che però lavorano in rete con altri movimenti e risultano scomodi perché mettono in discussione l’atteggiamento colonialista e paternalista ancora presente tra i benpensanti (e non solo tra loro). Così come i tanti femminismi di zingare, africane, musulmane, lesbiche e transgender, che superano l’immagine di un femminismo unico, occidentale e di classe media, denunciano tutti gli aspetti del patriarcato e rompono schemi. Cita poi i giovani che rifiutano le forme dogmatiche e autoritarie e cercano nuove forme di relazione, di lavoro e di convivenza e il numero crescente di mezzi di informazione indipendenti e alternativi, legati ai movimenti sociali e sempre più seguiti, man mano che i media tradizionali perdono credibilità.
Marianella Kloka di Atene descrive l’atteggiamento aperto e solidale di tante persone comuni nei confronti dei profughi arrivati in Grecia negli ultimi anni, la gente che offre case, cibo e vestiti, i sindaci che trovano spazi per ospitarli, le occupazioni come quelle del City Plaza ad Atene, un albergo chiuso da anni diventato un ostello auto-gestito e gli sforzi degli insegnanti per integrare bambini e adolescenti di diverse nazionalità. E tutto questo nonostante le devastanti conseguenze delle politiche di austerity e la crisi economica che perdura.
Un breve spazio per le domande del pubblico e l’incontro, durato oltre due ore nell’attenzione generale, si conclude in un’atmosfera calorosa, con i tanti attivisti presenti che si salutano, si incontrano magari per la prima volta e condividono nuove iniziative.
Foto di Rita Cuna e Andrea Pettinicchio
Qui di seguito una video-sintesi di alcuni momenti significativi dell’incontro realizzata dai ragazzi della scuola di cinema di Milano