L’8 aprile 2016 l’allora Ministro degli Esteri Gentiloni twittava: “Ho richiamato a Roma per consultazioni il nostro ambasciatore in Egitto. Vogliamo una sola cosa: la verità su Giulio #Regeni”.
Oggi, 4 settembre 2017, il Ministro degli Esteri del Presidente del Consiglio Gentiloni ha detto, nel corso dell’informativa alle commissioni Esteri del Senato e della Camera: “Abbiamo rimandato il nostro ambasciatore in Egitto. Vogliamo una sola cosa: la verità su Giulio Regeni”.
La seconda frase fa piazza pulita della prima. Anche perché quella odierna è stata preceduta e seguita da espressioni quali “terrorismo, flussi migratori, crisi regionali”, che poi – insieme ai rapporti economici – sono le vere ragioni per cui il 14 agosto il governo italiano ha deciso di rimandare l’ambasciatore al Cairo. “Mica siamo gli scemi del Mediterraneo”, ha poi delicatamente chiosato nel dibattito l’onorevole Cicchitto, presidente della Commissione esteri della Camera.
La ricostruzione fatta dal ministro Alfano sui motivi per cui nell’aprile 2016 il precedente governo decise di richiamare temporaneamente l’ambasciatore è inesatta. In sintesi, il Ministro degli Esteri ha detto che il ritiro dell’ambasciatore era volto a favorire l’aumento della cooperazione giudiziaria tra le due procure.
Il ritiro dell’ambasciatore era in realtà stato reso necessario dall’esigenza di avere la verità, tutta la verità. Non è che siccome le procure si sono viste qualche volta di più e da quella del Cairo qualche scartoffia in arabo è arrivata, il risultato è stato ottenuto e allora si è potuto rimandato l’ambasciatore.
L’informativa del ministro e si è conclusa con un crescendo di affermazioni, promesse, affettuosità verso Giulio (chiamato spesso per nome, come un parente stretto).
Infine, quella d’intitolare a Giulio Regeni sedi e istituti italiani nel paese in cui è stato fatto sparire, torturato e ucciso barbaramente è veramente una proposta beffarda. Per non dire vergognosa.