Vuoi tu o volete voi più autonomia regionale? Si potrebbe riassumere così la domanda che il 22 ottobre verrà rivolta agli elettori del Veneto e della Lombardia che si recheranno alle urne per il referendum consultivo voluto dai governatori regionali Zaia e Maroni, entrambi esponenti della Lega Nord, ma che ha ricevuto l’appoggio anche dei partiti di centrodestra, del Movimento 5 stelle e di alcuni esponenti del centrosinistra. Il quesito appare molto generico e la risposta palesemente retorica, quasi come chiedere ad un giovane se vuole più Giga per lo smartphone. In realtà la questione è più complessa, per gli aspetti politico-economici e soprattutto sotto il profilo costituzionale.
Ecco il testo che gli elettori veneti troveranno sulla scheda elettorale: “Vuoi che alla regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”. È evidente che si tratta di un’interrogazione troppo vaga. Non si individua chi potrebbe eventualmente attribuire l’autonomia ulteriore, non si indica un tempo previsto per tale modifica e soprattutto non si dice quali sarebbero le materie oggetto dell’autonomia. Un elettore potrebbe essere d’accordo a chiedere maggiore autonomia regionale per la tutela dell’ambiente, ma non per il commercio con l’estero (o viceversa). Senza specificare gli argomenti, la domanda pare davvero inutile.
In Lombardia, il quesito sarà diverso, sia perché non sarà stampato sulle schede cartacee ma l’elettore utilizzerà un tablet per sperimentare il voto elettronico, sia perché il testo è più complesso: “Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?”.
L’art. 116 della Costituzione disciplina, per linee essenziali, questo procedimento che parte con l’iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, e prosegue con il raggiungimento di un’intesa con lo Stato, sulla cui base è poi approvata dal Parlamento una legge a maggioranza assoluta. Come si vede, l’iter comporta il coinvolgimento necessario di una pluralità di livelli istituzionali (Enti locali, Regione e Stato) e la decisione non è nella disponibilità delle singole Regioni.
Interessante notare come all’elettore veneto ci si rivolga al singolare e dando del “tu”, mentre i lombardi vengano interpellati al plurale con il “voi”, ignorando che la Costituzione stabilisce che il voto è “personale” (art. 48). D’altra parte il quesito della Regione Lombardia è sicuramente più specifico, poiché indica le modalità e il contenuto (“ogni” materia costituzionalmente ammessa) della richiesta di autonomia. Infatti, il terzo comma dell’art. 116 della Costituzione indica quali possono essere le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”. Il che significa che gli elettori lombardi devono esprimersi sulla richiesta di maggiore autonomia per 23 materie, di cui attualmente 3 appartengono alla competenza esclusiva dello Stato e 20 sono considerate legislazione concorrente tra Stato e Regioni. Ma come si fa a decidere – con un unico sì o con un solo no – sull’autonomia relativa a 23 materie diverse? Tra l’altro nell’elenco ci sono argomenti o settori che è difficile immaginare completamente affidati all’autonomia regionale, come ad esempio i rapporti internazionali o la distribuzione nazionale dell’energia.
Da decenni si sta discutendo a livello politico e costituzionale sull’autonomia regionale: in particolare molti ritengono che le motivazioni storico-geografiche, che hanno portato nel 1947 alla scelta di disporre una maggiore autonomia per cinque regioni, siano ormai venute meno. Pertanto, la prospettiva dovrebbe essere quella di ridurre la differenza tra regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario. Le strade possono essere due: eliminare progressivamente la “specialità” o dare a tutte le regioni ordinarie maggiore autonomia. La palese intenzione di Veneto e Lombardia di diventare di fatto regioni simili a quelle a statuto speciale, qualora venisse realizzata, non risolverebbe il problema, aumentando soltanto il numero della regioni cosiddette “privilegiate” a scapito delle altre.
A tal proposito occorre anche richiamare il sesto comma dell’art. 119 della Costituzione: “Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”. In altre parole la Costituzione prevede una differenziazione, ma nella prospettiva della solidarietà più che dell’autonomia.
C’è un altro aspetto che va considerato. La possibilità di chiedere maggiore autonomia regionale vige dal 2001, quando la maggioranza di centrosinistra ha approvato la revisione del Titolo V della seconda parte della Costituzione. Perché le regioni Veneto e Lombardia finora non hanno avanzato alcuna richiesta in tal senso? E perché hanno deciso soltanto adesso di consultare preventivamente e in modo alquanto generico gli elettori, quando avrebbero potuto anzitutto ricercare un’intesa con lo Stato, come prevede la Costituzione, e di conseguenza sottoporre l’eventuale accordo raggiunto ad un referendum popolare?
Inoltre, dato che i governatori della due regioni militano nella Lega Nord, che – a seconda delle stagioni – è passata dalla strategia della secessione, alla devolution, poi al federalismo e forse oggi all’autonomia regionale (ma soltanto delle regioni attualmente governate dai loro esponenti), appare abbastanza illogico per un cittadino lombardo o veneto dare il 22 ottobre prossimo una cambiale in bianco a chi oscilla in modo così ampio e contraddittorio nel progetto di divisione dei poteri tra livello nazionale e regionale.
Ultima annotazione. Il referendum del Veneto sarà ritenuto valido soltanto se si raggiungerà il quorum, cioè se parteciperanno al voto almeno la metà degli aventi diritto. In Lombardia invece il referendum del 22 ottobre non necessita di quorum e perciò non è vincolante, nel senso che la Giunta regionale in carica non è obbligata a portare avanti la richiesta di maggiore autonomia – se venisse confermata dalle urne – poiché il referendum è consultivo, cioè di fatto poco più di un sondaggio. Di conseguenza è difficile eliminare il sospetto che il referendum sull’autonomia sia in realtà strumentale, soprattutto in Lombardia, in vista delle elezioni regionali che si terranno nella primavera del prossimo anno.