Come ormai avviene da diversi anni, ecco anche quest’anno il mio report dal festival del cinema di Locarno giunto ormai alla 70° edizione. Come ben sapete non sono un critico cinematografico, le mie non sono recensioni per cinefili, ma ragionamenti attorno a pellicole che a mio personale parere offrono spunti di riflessione sul mondo, sulla realtà e su noi stessi….ovviamente senza dimenticare qualche suggerimento per chi vuole divertirsi, per gli amanti delle commedie piuttosto che dei thriller.
L’annuale appuntamento di Locarno rimane un osservatorio molto particolare: inserito ormai da tempo nel circuito dei grandi festival del cinema, è in grado di parlare ad un ampio ed eterogeneo pubblico, di richiamare affermati attrici e attori da tutto il mondo, di dialogare con le grandi produzioni hollywoodiane come con i cineasti indipendenti e con i documentaristi freelance che spesso giungono dove il mainstream non arriva. “La Settimana della critica”, “I cineasti del presente”, “Open doors” sono tutte rassegne che, affiancando il “Concorso Internazionale”, permettono sguardi inediti sui temi della globalizzazione, del rapporto nord/sud, della finanza, sui conflitti nascosti ai nostri occhi ma presenti in angoli del mondo. Dalle rassegne al concorso internazionale forte è anche la presenza di temi sociali e di grande attualità politica e culturale, così come di interessanti sperimentazioni con modalità differenti ed innovative, anche discutibili, di produrre cinema.
Alcune delle pellicole che segnalo in questa rassegna arriveranno presto nelle sale italiane, altre gireranno nei circuiti alternativi, altre ancora sarà necessario andarle a cercare sul web o contattando direttamente il regista/produttore perché non troveranno mercato e talvolta sono le più interessanti, capaci di svelare aspetti della realtà a noi sconosciute. Alcune di queste pellicole, penso a documentari, ma anche a film, per i temi che trattano ben si prestano ad essere utilizzate in cineforum o con platee di giovani e/o studenti.
Queste i titoli delle puntate che da oggi seguiranno:
- Il cinema tra il web e la realtà: un film senza attori né cameraman.
- Il cinema tra il web e la realtà: vero e reale non sempre sono sinonimi.
- Uno sguardo sul mondo: dal Congo al Myamar
- Uno sguardo sul mondo: dalla Palestina ai curdi agli Emirati Arabi Uniti
- Uno sguardo sul mondo: dal Brasile ai presidenti a stelle e strisce
- Diritti in Occidente: la lunga strada dei diritti – l’incessante ricerca dell’identità
- Piazza Grande e il Concorso Internazionale: i film da non perdere
Festival di Locarno 1: il cinema tra il web e la realtà
Il rapporto tra cinema, web e realtà ha suscitato ampie e vivaci discussioni in particolare attorno a due pellicole, tra loro molto differenti sia per i temi affrontati che per le metodiche di produzione utilizzate, ma accomunate dall’essere ambedue film costruiti attraverso un ampio ricorso a materiale raccolto dal web.
Un film senza attori né cameraman
Qing Ting zhi yan (Dragonfly Eyes) secondo il suo regista, il cinese XU Bing, è il primo film interamente prodotto senza attori né cameraman e nel quale la stesura della trama non precede ma segue la scelta delle immagini. Parliamo di immagini scelte e non di scene girate, delle quali infatti non vi è traccia.
Il regista con la sua equipe ha visionato centinaia di filmati, raccogliendo materiale per oltre 10.000 ore, recuperato da internet, dalle registrazioni di videocamere collocate nei grandi magazzini, davanti alle banche, all’entrata delle case, sulle autostrade, nelle piazze e da materiale video raccolto dalla polizia; tra tutto questo materiale ha scelto diverse decine di video in modo del tutto soggettivo e li ha posti in successione casuale tra loro senza avere in mente alcuna trama, né sceneggiatura; almeno così ha spiegato nell’affollata conferenza stampa seguita alla proiezione. Ha quindi incaricato una sceneggiatrice di costruire una trama a partire dalle immagini assemblate.
La storia ha per protagonista Ke Fan, che si innamora di Qing Ting, una giovane donna che frequenta un tempio buddista con l’intenzione di diventare monaca; l’uomo cerca in ogni modo di attirare le attenzioni di Qing Ting, per questi motivi incorre in varie disavventure e perde di vista la sua amata. Dopo varie ricerche Ke Fan scopre che la ragazza ha cambiato nome ed è diventata una celebrità del web; a quel punto per inseguire la propria passione non gli resta che modificare anch’egli la sua vita.
Ovviamente le decine di video che costituiscono il film hanno sempre personaggi differenti; per questo motivo i soggetti scelti come protagonisti compaiono con i loro volti in uno dei primi video e in seguito sono ripresi di spalle o comunque in modo da non mostrare il viso; o meglio, sarebbe più corretto affermare che le azioni da loro agite sullo schermo sono “interpretate” a loro insaputa da altri soggetti ripresi in un momento della propria vita più o meno recente e che i dialoghi ai quali degli attori (invisibili al pubblico) hanno prestato la propria voce sono anch’essi attribuiti agli ignari protagonisti dei filmati.
Per essere precisi nella seconda parte del film la protagonista femminile viene mostrata con il suo volto, ma ormai ha cambiato nome ed aspetto, si è trasformata in una star e non deve quindi più assomigliare alla Qing Ting che visitava il tempio buddista.
Nonostante abbia superato i 60 anni, XU Bing è alla sua prima esperienza come regista, ma ha alle spalle una lunga carriera come artista poliedrico, conosciuto per le sue installazioni, oltre che per l’uso artistico e creativo del linguaggio, delle parole e del testo; ha condotto ampie ricerche su come la scrittura e i segni hanno influenzato la nostra comprensione del mondo e nel suo percorso alla ricerca di un linguaggio che possa risultare universale ha scritto un romanzo utilizzando solo segni, simboli e faccine. Vive a Pechino ed è stato vicepresidente dell’Accademia delle Belle Arti. XU Bing ha spiegato come il suo film sia un tentativo di applicare al cinema percorsi di lavoro simili a quelli che utilizza quando crea le sue installazioni: parte dal materiale grezzo che ha a disposizione e su quello costruisce la sua opera, la sua narrazione.
Il risultato è un film nel quale tutte le immagini sono “vere”, rappresentano tutte momenti di vita vissuta, eventi accaduti nella realtà e verificabili; la narrazione invece è completamente inventata, sovrapposta ed estranea ai fatti mostrati, ma a loro aderente nello svolgersi della trama della pellicola. E’ d’altra parte evidente che su quelle immagini potevano essere costruite molte altre e differenti narrazioni compatibili con le immagini stesse; le immagini continuerebbero ad essere vere, reali, ma completamente false nella storia a loro attribuita.
Molto è già stato scritto attorno alla facilità con la quale possono essere manipolati i filmati, non solo nella loro parte tecnica – tagli e modifiche del girato – ma anche nella loro interpretazione e quindi nel loro significato, ma forse è veramente la prima volta che la “manipolazione” di immagini reali viene applicata a un intero film, la cui trama regge fino alla fine nonostante la scelta casuale dei video. Quasi a ricordarci che alle immagini si può veramente far dire qualunque cosa; un messaggio che offre molti spunti di riflessione in un mondo nel quale la comunicazione assume un ruolo sempre più importante sia nella vita personale che e nelle scelte sociali e politiche globali.
Nelle poche righe di presentazione la produzione del film sottolinea come “… ciascuno di noi viene seguito da telecamere di sicurezza in media 300 volte al giorno. Questi occhi vedono tutto e controllano tutto”; vi è anche il rischio, si potrebbe aggiungere, che le infinite telecamere forniscano alle menti che controllano questi occhi artificiali la possibilità di riscrivere a loro piacimento il senso di quanto registrato.
Dal pubblico è stato chiesto al regista come si sia comportato in relazione al diritto alla privacy dei protagonisti dei video utilizzati; XU Bing ha risposto che, considerando che ogni video ha incorporato il giorno, l’ora e il luogo della ripresa non è stato difficile recuperare i singoli cittadini e ottenere da loro l’autorizzazione a trasformarsi per qualche minuto in inconsapevoli attori di un film. Una risposta un po’ troppo semplicistica e difficile da accettare per un pubblico come quello di Locarno, molto attento ai diritti e quindi anche alla privacy.