Roma, 23 agosto 2017 – Nonostante in Yemen la crescita del numero di nuovi casi di colera sembra essere rallentata nel corso degli ultimi 30 giorni, a quattro mesi dallo scoppio dell’epidemia molte persone muoiono ancora inutilmente nelle zone remote del paese. Senza un aumento immediato degli aiuti e un approccio preventivo a livello comunitario, la gente continuerà a morire di questa malattia evitabile, avverte l’organizzazione medico-umanitaria Medici Senza Frontiere.
Dalla dichiarazione dello stato di epidemia, il 27 aprile scorso, sono state colpite più di 500.000 persone.
“Alcune settimane fa, uno dei miei vicini ha iniziato ad avere diarrea grave e vomito”, racconta Zayed Al Goidi di Beit Al Ghwadi, un villaggio nella valle dell’Osman, una delle zone più remote del governatorato di Amran. “È morto lo stesso giorno, ma nessuno ne sapeva il motivo. Non abbiamo televisori o telefoni e pochi di noi hanno una radio…abbiamo impiegato molto tempo prima di capire che si trattava di colera”.
Tuttavia, identificare la malattia non è sufficiente a salvare gli abitanti dei villaggi, perché la maggior parte di loro non può permettersi di viaggiare per ricevere assistenza medica. “La struttura sanitaria più vicina dista diverse ore e il viaggio può costare fino a 60 dollari”, prosegue Al Goidi. “Siamo poveri e non abbiamo quasi mezzi per vivere, come possiamo pagare così tanto? Per salvarci la vita dobbiamo impegnare le nostre proprietà: la terra e i gioielli delle nostre mogli”.
“I nostri dati epidemiologici mostrano che la valle dell’Osman è una delle zone più colpite dal colera”, spiega Ghassan Abou Chaar, capo missione di MSF in Yemen. “La sua posizione remota, la povertà e la mancanza di conoscenza in merito al colera hanno contribuito ad aumentare la diffusione della malattia e il numero di morti. Non possiamo semplicemente aspettare e curare solo i pazienti che riescono a raggiungere i nostri centri di trattamento. Se non raggiungiamo luoghi come la valle dell’Osman, la gente continuerà a morire”.
Il dottor Mohamed Musoke, coordinatore dell’emergenza di MSF per il colera, ha raggiunto Beit Al Ghwadi dall’ospedale di MSF a Khamir, dopo un viaggio di due ore e mezza. “La strada è molto impervia e questo posto è quasi completamente isolato”, dice il dottor Musoke. “Durante il tragitto abbiamo attraversato un fiume, principale fonte d’acqua della comunità. Abbiamo visto animali abbeverarsi, gente che lavava i propri indumenti e madri che davano l’acqua da bere ai figli”.
A metà luglio, le équipe di MSF hanno distribuito kit igienici a centinaia di famiglie nella valle dell’Osman, organizzando anche incontri di sensibilizzazione sul colera.
Dall’inizio dell’epidemia, MSF ha fornito trattamenti per il colera a più di 82.000 pazienti, un quinto dei casi identificati nel paese. MSF chiede ad altre organizzazioni di avviare una risposta coordinata per controllare l’epidemia, incluse attività di potabilizzazione dell’acqua e promozione alla salute.
“Fonti d’acqua e pozzi devono essere purificati e bisogna spiegare alle persone come proteggersi dal colera, soprattutto in vista della prossima stagione delle piogge”, conclude Abou Chaar.