Sergio Conti Nibali, pediatra, direttore della rivista Un Pediatra Per Amico (UPPA) è uno dei firmatari della lettera indirizzata al Direttore di Quotidiano Sanità e che propone alcune soluzioni scientifiche al Decreto Lorenzin che si sta convertendo in legge (di ieri la prima approvazione al Senato). Abbiamo provato ad approfondire con lui le questioni poste.
Prima questione: il morbillo e la discussione sull’esistenza di un’epidemia in corso. Lo può spiegare in modo semplice? C’è una epidemia, un rischio di epidemia? Quali le soluzioni?
C’è un’epidemia in corso, ma non si può certo parlare di “emergenza”; i casi del 2017 non hanno superato di molto quelli del 2010 e sono tuttora meno di quelli del 2011, anni con copertura vaccinale antimorbillo all’età di 24 mesi superiore all’attuale. Ad oggi i casi sono anche molti meno di quelli notificati nel 2002 e nel 2003, per non risalire più indietro nel tempo. Il fatto che un gran numero di casi si sia verificato negli adulti, dipende dall’accumularsi negli anni di persone suscettibili (che non hanno avuto la malattia e non sono state vaccinate). Ciò significa che non è stata attuata in modo adeguato la strategia prevista dal Piano Nazionale (nel 2003!) per l’eliminazione del morbillo che prevedeva la vaccinazione dei suscettibili anche in età successive alla prima infanzia proprio per evitare future epidemie.
Bisogna anche sapere che l’Italia è uno dei 14 Paesi dove il morbillo è ancora endemico ed è anche tra quei paesi che hanno segnalato più casi a livello mondiale da novembre 2016 ad aprile 2017. Dall’inizio del 2017 sono stati notificati oltre 3.500 casi, con molte complicanze gravi inclusi casi di polmonite, 2 casi di encefalite e 2 decessi. Il 35% circa dei casi ha riportato almeno una complicanza.
Una possibile soluzione è di puntare a una copertura vaccinale del 95%, con introduzione temporanea dell’obbligo vaccinale in tutte le realtà locali che presentino dati di copertura inferiori.
La strategia dovrebbe includere un’offerta attiva anche verso soggetti suscettibili di altre classi di età, con possibilità di scelta di vaccino antimorbillo monovalente, da rendere disponibile per chi non intenda assumere altri vaccini in combinazione.
Nella lettera voi invitate a un dibattito scientifico: può spiegare quali sono le questioni scientifiche sul tappeto che Lei vede più importanti?
Io ritengo che non si possa accettare l’idea che si mettano sullo stesso piano tutti i vaccini disponibili in commercio e presenti nel Piano Nazionale Vaccini. Per alcuni di questi bisogna verificare se ci sono le evidenze scientifiche che ne giustifichino la loro somministrazione in Italia, ma soprattutto le modalità con le quali si debbano somministrare; mi riferisco in particolare all’odierna impossibilità pratica di potere accedere al singolo vaccino per ogni singola malattia; la mia esperienza che mi porta a confrontarmi tutti i giorni con i genitori mi porta a pensare che, almeno per alcune malattie, le coperture vaccinali sarebbero certamente superiori se ci fosse la possibilità di avere a disposizione anche vaccini per le singole malattie prevenibili. Per potere discutere serenamente il confronto andrebbe aperto anche a esperti indipendenti da Società professionali e produttori/industria, e non solo tra chi ha formulato il Piano Nazionale Prevenzione Vaccini/PNPV.
Voi invitate ad escludere dal dibattito scientifico quelle persone evidentemente connesse con interessi alieni allo stretto benessere delle persone. Quali sono, in questo momento, a suo avviso le influenze degli interessi farmaceutici in questa situazione?
Il mondo della medicina e quello dell’industria dei farmaci, dei vaccini e degli apparecchi medicali allo stato attuale vivono in un rapporto quasi simbiotico; è un groviglio inestricabile di conflitti di interesse. Mi spiego meglio: il mondo dell’industria “sanitaria” è inevitabilmente in rapporto con il mondo della medicina; è normale che sia così; tuttavia gli interessi economici altissimi che sono in gioco in questo settore hanno via via sottomesso sempre di più l’interesse della salute pubblica a quello dell’industria, per cui spesso non sono le esigenze di salute che dettano le azioni delle industrie, ma avviene il contrario.
I vaccini sono certamente da considerare come una illuminante scoperta e per fortuna le industrie hanno deciso di investire in questo settore; tuttavia io credo che non sia una buona ragione per accettare sempre e tout court tutte le proposte dell’industria senza fare un’attenta valutazione dei benefici attesi e delle priorità per la salute in ciascun Paese.
Un tema spinoso: la libertà di cura e l’esigenza di protezione della popolazione: secondo Lei come si possono equilibrare questi due fattori?
Questo punto lo abbiamo ribadito nella lettera: imporre un limite al diritto di accettare o meno una cura, garantito a ciascuno dalla Costituzione, può essere legittimo solo se il rifiuto di un trattamento mette concretamente a rischio altri. Nei casi in cui ciò non accade, la coercizione non è più legittimata, e ciò vale per alcune vaccinazioni incluse nel Decreto.
Io credo che, se il Decreto tenesse conto di questo basilare concetto e una proposta “scientificamente condivisa” (nel senso e nei modi che ho già espresso) fosse proposta ai genitori, riusciremmo a ottenere delle coperture vaccinali ottimali per le malattie per le quali esiste una reale preoccupazione.
Lei è un pediatra, in continuo contatto con bambini: c’è chi sostiene che le vecchie “malattie infettive” fossero una sorta di “allenamento” del sistema immunitario; lei cosa pensa di questa idea alla luce della sua esperienza clinica?
Penso che sia vero, ma che bisogna, anche in questo caso, non fare di tutta l’erba un fascio. Ci sono malattie infettive, che hanno delle potenziali complicazioni gravi, che andrebbero combattute e, se possibile, prevenute. La prevenzione significa principalmente la vaccinazione (in caso di malattia per la quale esista un vaccino), ma è anche l’implementazione sul territorio di interventi informativi, educativi e di promozione della salute di efficacia documentata nel ridurre specificamente le malattie infettive e le loro conseguenze.
Lei dirige una rivista che ha per scopo di avvicinare medici e pazienti: possiamo e dobbiamo fare di più nel campo dell’informazione medica? Lei si sente d’accordo con la richiesta dei movimenti dei genitori che chiedono maggiore informazione?
Io ho il piacere e l’onore di dirigere l’unica rivista per genitori in Italia che non accetta alcuna sovvenzione e nessuna pubblicità da chicchessia; tutti gli autori sono specialisti dei problemi dell’infanzia che devono dichiarare e dimostrare l’assenza di qualsiasi conflitto d’interesse. Lo dico perché credo che questo sia un pre-requisito indispensabile per potere scrivere una rivista che abbia come uno scopo quello di potenziare le conoscenze dei genitori in un ambito così delicato che è quello della cura e dell’educazione dei nostri figli. Lo sforzo che noi facciamo è di volgarizzare la letteratura scientifica e renderla disponibile e comprensibile ai genitori perché possano prendere decisioni consapevoli. I genitori hanno diritto a essere informati; l’informazione deve essere libera da condizionamenti esterni e deve essere accurata; ci preoccupiamo sempre di fornire messaggi che abbiano un fondamento scientifico solido. Abbiamo dimostrato che è possibile mettere in piedi una piattaforma digitale e cartacea di livello nazionale senza l’aiuto di nessuno, se non dei genitori che ci sostengono con il loro abbonamento.
Certamente si potrebbe fare molto di più nel campo dell’informazione medica; e mi riferisco questa volta alle riviste scientifiche rivolte ai medici: anche qui c’è bisogno di un maggiore rigore e di una maggiore trasparenza, come recentemente sottolineato in un numero speciale di Jama. Anche questo contribuirebbe a restituire fiducia ai cittadini e a rendere più credibile la scienza medica.