Sarà inaugurata la prossima settimana, martedì 27 giugno, presso il Museo della Jugoslavia (già MIJ, Museo di Storia della Jugoslavia, a Belgrado, capitale della Serbia), la mostra fotografica dedicata a: «Tito in Africa – Picturing Solidarity», in italiano «Tito in Africa – Fotografando Solidarietà», sguardo inedito ed originale sui viaggi che il leader della Jugoslavia Socialista, Josip Broz Tito, ha compiuto in Africa, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Settanta e, insieme, sulla collocazione ed il ruolo della Jugoslavia nel mondo dell’epoca, i suoi rapporti con il “Terzo Mondo”, il suo internazionalismo.
La mostra presenta una selezione di numerose fotografie già facenti parte, in buon numero, degli archivi della Presidenza della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia, tali da coprire un arco temporale vasto, ampiamente rappresentativo della storia della «seconda Jugoslavia», appunto quella socialista e titina, che spazia dal 1947 al 1980, due date, peraltro, dal forte contenuto simbolico, dal momento che la prima si colloca alla vigilia della nota rottura tra Tito e Stalin (consumatasi dal 1948), evento peraltro assunto come fondativo della complessa e originale identità del socialismo jugoslavo, mentre la seconda coincide con la morte di Tito (4 maggio 1980) e l’inizio della fine di quella Jugoslavia.
La mostra è una testimonianza importante di uno dei caratteri precipui del socialismo jugoslavo: la vivacità della sua apertura al mondo e l’intensità del suo internazionalismo, soprattutto verso i Paesi del Sud e nel contesto delle relazioni caratterizzate dal “non allineamento”, quella politica di rapporti e alleanze esterne ai blocchi (il blocco occidentale e il blocco sovietico), che avrebbe portato a fondare, sin dall’inizio degli anni Sessanta, il Movimento dei Non Allineati. Anche in questo contesto, la Jugoslavia di Tito giocò un ruolo da protagonista e Belgrado fu il palcoscenico del vertice fondativo del movimento, che si tenne nella capitale jugoslava nel corso della prima settimana del settembre 1961.
Le fotografie rappresentano, tra gli altri, incontri con le principali personalità africane del tempo (dal presidente egiziano Nasser al presidente del Ghana, Kwame Nkrumah) e scene dei viaggi africani della coppia presidenziale, Tito e la moglie, Jovanka Broz, viaggi compiuti, peraltro, con una frequenza impressionante, a testimoniare la vitalità degli scambi e il rilievo della valenza politica, economica e culturale ad essi associata. Già nel dicembre 1955 Tito era in Egitto; quindi, nel 1958, in Etiopia, Sudan e RAU (la Repubblica Araba Unita della quale facevano parte, all’epoca, l’Egitto e la Siria); nella primavera di quello stesso 1961 fu il primo capo di stato socialista a recarsi nell’Africa sub-sahariana; tra i Sessanta e i Settanta, si recò una ventina di volte in Egitto e, a sua volta, Nasser fu ospite di Tito cinque volte tra il ’56 e il ’63. Il tutto limitandoci all’Africa, senza considerare l’Asia Orientale, il Medio Oriente, l’America Latina: tra «scambi di vedute» e «decisioni circa la lotta per difendere la pace nel mondo» (Alvin Z. Rubinstein, Yugoslavia and the Nonaligned World, Princeton University, 1970, p. 92).
Non solo foto, comunque, nella mostra: i doni ricevuti nel corso di questi viaggi; i report di queste visite, tratti dai quotidiani africani, altri documenti e video, utili a spiegare il contesto di sfondo. Un contesto segnato dalla decolonizzazione dell’Africa, da nuove e inedite utopie che attraversavano il continente, dalla lotta per la liberazione dei popoli e la pace nel mondo, dall’esperienza dei non-allineati e una nuova cooperazione internazionale, reciproca e paritaria. Come hanno scritto i curatori della mostra, essa intende mettere in luce due elementi cruciali: i valori della solidarietà e dell’anti-colonialismo; le rappresentazioni dei vertici intergovernativi al più alto livello istituzionale, con uno sguardo, in prospettiva, nel senso del ricco «potenziale di un patrimonio capace di contribuire al ri-conoscimento, alla ri-affermazione e ri-definizione di questi stessi valori» nel mondo in guerra di oggi.
Oggi, il Movimento dei Non Allineati continua, sebbene in forme diverse dal passato, a rappresentare un forum ampio e importante, rappresentativo di 120 Paesi, il cui scopo non è solo l’impegno per un mondo, come si dice, «multipolare», ma anche per un pianeta libero da «ogni forma di aggressione, occupazione, dominio, interferenza o egemonia, e, al tempo stesso, contro la politica di potenza e la politica dei blocchi», secondo la storica definizione che, in rappresentanza del movimento, Fidel Castro diede dell’organizzazione nel celebre discorso alle Nazioni Unite del 12 ottobre 1979. Ancora oggi, sebbene in veste di osservatore, il NAM ospita la Serbia (ma anche la Bosnia, il Montenegro e la Macedonia) tra i suoi membri; la Jugoslavia vi ha fatto ufficialmente parte sino al 1992 ed ancora oggi vi fanno parte tutti (tranne il Sud Sudan) gli stati africani; il Venezuela ne detiene oggi la presidenza.
Vale davvero una visita, questa mostra, in esposizione al Museo della Jugoslavia, fino al prossimo 3 settembre: una visita apparentemente un po’ retro, ma attualissima, se a parlare, attraverso le immagini, sono i valori dell’antimperialismo, dell’anticolonialismo, della libertà e dell’emancipazione dei popoli.