Il Burkina Faso ha deciso di smettere di utilizzare il cotone geneticamente modificato di Monsanto.
Ma il niébé transgenico, legume largamente utilizzato dalla popolazione, è già in provetta. Blandine Sankara propone l’autonomia per rompere i legami con le colture transgeniche.
C’è stato un grande raduno a Ploemeur, nelle vicinanze di Lorient nel Morbihan, dove un centinaio di attivisti provenienti da tutto il mondo si sono radunati per tre giorni per discutere della loro campagna, in occasione dell’incontro internazionale per la resistenza contro gli OGM.
Tra loro, era presente un’importante rappresentanza del Burkina per raccontare la vittoria contro Monsanto avvenuta sei mesi fa. Ciò nonostante la strada per espellere l’industria da questo paese dell’Africa occidentale sia ancora lunga.
Il Burkina Faso è tra i paesi più poveri del mondo pur avendo il primato nella produzione del cotone in Africa Sub-Sahariana. Il suo oro bianco, che invece viene ampiamente esportato, rappresenta solo il 4% del PIL.
Negli anni 2000, Monsanto ha permesso, grazie ad un crollo degli OGM, un raccolto più redditizio del cotone BT, senza insetticidi supplementari e con un miglior rendimento.
Commercializzato nel 2009, il cotone è stato redditizio per i primi tre anni, ma molto velocemente, i coltivatori hanno dovuto riutilizzare gli insetticidi in quanto la produzione non era sufficiente, facendo calare la qualità del prodotto.
<<Nell’ottobre 2014, il popolo ha espulso Blaise Compaore’ dal potere dopo 27 anni di governo, racconta Aline Zongo, della Copagen (Coalizione a salvaguardia del patrimonio genetico africano). Attualmente la libertà di parola è stata riconquistata e si può parlare infine anche del cotone Bt. >>
Nel 2015, i produttori e le industrie cotoniere, hanno deciso di rompere gradualmente i rapporti con Monsanto per l’acquisto di sementi OGM, giudicati troppo cari e non abbastanza redditizi.
Sandrine Zongo : « La coltura del cotone transgenico nuoce anche alle colture alimentari confinanti.»
In una dichiarazione congiunta con il CCDF-Terre Soildaire (ndt: Comitato Cattolico Contro la Fame e per lo Sviluppo, associazione ONG francese nata nel 1961) pubblicata lunedì 1 Maggio, il Copagen definisce il bilancio degli anni del cotone transgenico come “un fiasco nazionale” ed elenca le promesse non mantenute dalla multinazionale.
Il prezzo delle semenze è passato tra il 2009 e il 2016, da 2300 a 27000 franchi CFA (da 3,51 a 41,16 euro) all’ettaro; a cui poi si aggiungono i costi degli insetticidi, resi necessari a partire dalla terza raccolta. Contemporaneamente, la lunghezza della fibra del cotone si accorcia, incidendo negativamente sulla qualità; il seme si restringe, riducendone il prezzo, e la raccolta viene pagata a peso.
<<E come se non bastasse, anche le colture confinanti sono state danneggiate, sottolinea Aline Zongo, dato che gli insetti presenti nei campi di cotone si sono rifugiati nei campi vicini. Ed è così che le colture di sesamo sono state completamente distrutte.>>. Zongo si sta preoccupando anche per la salute umana e animale <<ma non abbiamo prove a riguardo, dato che nessuno studio è stato condotto.>>
La rottura del contratto con Monsanto ha entusiasmato gli attivisti, senza scatenare però troppa euforia. <<Non sono soddisfatta, afferma Aline Zongo; se fermiamo la coltura del cotone BT, è perché non è redditizio. Ma se lo fosse stato, avremmo dovuto continuare a produrlo anche se questo cotone ha delle conseguenze sulle colture vicine, è molto caro ed indebita gli agricoltori.>>
Gli studi continuano sul niébé o fagiolo transgenico
Consapevole che questa vittoria sul Cotone Bt non è che una tregua, Zongo si preoccupa della coltura del niebé, un fagiolo ricco di proteine, ampiamente consumato dalla popolazione burkinabe. Una varietà transgenica è al momento elaborata e testata nei laboratori per una probabile commercializzazione futura. <<Le conseguenze rischiano di essere più gravi, dal momento che finiranno per divenire parte della dieta alimentare. Una volta che questi sementi saranno utilizzati, sarà molto difficile arrestare il processo di un prodotto diventato di uso quotidiano.>>
Blandine Sankara: <<Dobbiamo essere autonomi sul piano economico ed alimentare.>>
E’ per questa ragione che Blandine Sankara, sorella dell’anziano presidente Thomas Sankara, assassinato nel 1987, icona della lotta contro gli OGM e coordinatrice dell’associazione Yelemani (ndt: Associazione per la Promozione della Sovranità Alimentare) propone un approccio globale basato sulla pedagogia. <<È importante stabilire un collegamento tra il cotone Bt e la nostra dipendenza economica nei confronti delle industrie, ma anche e soprattutto verso il mercato mondiale. Nel 2008, durante i disordini per la fame, il prezzo del grano è aumentato in maniera vertiginosa di conseguenza il nostro pane importato è diventato molto caro. Dobbiamo essere autonomi a livello alimentare ed economico.>>
Per riuscirci, bisogna passare attraverso la popolazione, <<la nostra forza, è il nostro numero>>, come ripete incessantemente Blandine Sankara, riferendosi all’impatto del movimento Balai Citoyen, con conseguente caduta del Blaise Compaore’ nel 2014, che fu poi processato il 4 maggio. Cita inoltre la marcia contro Monsanto nel 2015, per arrivare poi ai primi incontri internazionali contro gli OGM a Ouagadougou che si sono tenuti l’anno precedente e infine al Tribunale contro Monsanto. Tutti questi elementi costituiscono un movimento di base che mette in luce il nome della multinazionale e unisce i militanti.
Ma per quanto riguarda il Burkina Faso, bisogna andare più lontano, in particolare verso l’ambito rurale: <<Molta gente non sa cosa siano gli OGM, i rischi che rappresentano. Dobbiamo sensibilizzare sulle questioni economiche, sulla salute e soprattutto sull’indipendenza. Penso che uscire dalla dominazione delle industrie a livello mondiale sia essenziale. Dobbiamo ritrovare la fiducia e la nostra fierezza.>> spiega Blandine Sankara.
Articolo originale http://journal.alternatives.ca/spip.php?article8289#
Traduzione dal francese di fabioted1992 via Trommons