Amnesty International ha denunciato l’imminente dissacrazione di una fossa comune situata ad Ahvaz, nel sud dell’Iran, contenente i resti di almeno 44 prigionieri vittime di esecuzioni extragiudiziali nel 1988. Verrebbero in questo modo distrutte prove importanti e si rinuncerebbe per sempre alla possibilità di avere giustizia per le uccisioni di massa di prigionieri avvenute in tutto il paese quasi 30 anni fa.
Le foto e i video forniti dall’organizzazione non governativa “Giustizia per l’Iran” e riesaminati da Amnesty International mostrano delle scavatrici al lavoro accanto alla fossa, circondata da spazzatura e detriti. Anche se le autorità iraniane non hanno fatto alcuna dichiarazione ufficiale, un operaio ha rivelato a un familiare delle vittime che il progetto prevede la distruzione del blocco di cemento che indica la fossa e una successiva costruzione nell’area interessata.
“Tentando di distruggere la fossa comune di Ahvaz, le autorità iraniane paiono intenzionate a portare avanti il progetto inquietante e deliberato di distruggere prove importanti relative ai loro crimini passati e di negare alle famiglie delle vittime del massacro delle carceri del 1988 il loro diritto alla verità, alla giustizia e alla riparazione. Si tratta di un agghiacciante attacco alla giustizia che dev’essere fermato immediatamente”, ha dichiarato Magdalena Mughrabi, vicedirettrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
“Da anni le autorità procurano una sofferenza indicibile alle famiglie delle vittime delle esecuzioni extragiudiziali del 1988. Negano loro il diritto di dare degna sepoltura ai loro parenti e le costringono a camminare tra cumuli di spazzatura quando visitano la fossa comune. Adesso le autorità intendono distruggere quel luogo di riposo eterno e cancellarne la memoria”, ha affermato Shadi Sadr, direttore generale di “Giustizia per l’Iran”.
Le fosse comuni sono considerate “scene del crimine” che richiedono esperienza professionale nel campo medico-legale per eseguire esumazioni e assicurare tanto la conservazione delle prove quanto un’accurata identificazione dei corpi. Dissacrando la fossa comune, le autorità iraniane distruggerebbero prove fondamentali che, un giorno, potrebbero essere usate per fare luce sul numero e sull’identità delle persone uccise mentre erano nelle mani dello stato.
La fossa comune di Ahvaz si trova in un terreno arido, tre chilometri a est del cimitero di Behesht Abad. Si ritiene contenga i resti di decine di persone che facevano parte delle diverse migliaia di prigionieri politici uccisi in un’ondata di esecuzioni extragiudiziali nell’estate del 1988.
Una delle fosse comuni scavate in tutta fretta per disfarsi dei corpi dei prigionieri uccisi è quella di Ahvaz. Le autorità l’hanno coperta di cemento per impedire alle famiglie di scavare la terra per recuperare i corpi dei loro parenti.
A maggio un operaio ha confidato a un familiare in visita ad Ahvaz che i lavori in corso riguardavano l’ampliamento della strada che passa accanto alla fossa comune, la successiva demolizione della struttura e la costruzione di uno “spazio verde” o di un centro commerciale.
“Invece di provare a cancellare la memoria dei prigionieri uccisi e a ostacolare la giustizia, le autorità iraniane dovrebbero assicurare la conservazione e la protezione delle fosse comuni del 1988 fino allo svolgimento di un’indagine adeguata e indipendente. Le famiglie hanno il diritto di sapere cosa è accaduto ai loro cari e di dar loro una degna sepoltura”, ha detto Mughrabi.
Quella di Ahvaz non è l’unica fossa comune del 1988 a rischio di distruzione. “Giustizia per l’Iran” ha avuto notizia del tentativo di danneggiare un’altra fossa comune, nella città di Mashhad, nel nord-est del paese, dove potrebbero essere stati sepolti fino a 170 prigionieri politici. La fossa si trova all’estremità del cimitero Behesht Reza.
Le famiglie che, nel marzo di quest’anno, erano venute in visita in occasione del Capodanno, hanno scoperto che l’area, precedentemente piatta, era stata ricoperta da cumuli di terra. Non è chiaro il motivo di questa variazione anche se vi è il timore che le autorità iraniane stiano tentando di eliminare ogni traccia delle esecuzioni extragiudiziali di massa del 1988.
Negli ultimi 30 anni, le autorità hanno mostrato completa mancanza di rispetto nei confronti di famiglie già provate dal dolore. I morti vengono pubblicamente insultati, le fosse comuni sono chiamate “terre maledette” e alle famiglie viene detto che i loro cari erano “gente fuorilegge” che non meritava una sepoltura adeguata né una tomba. Le famiglie non possono svolgere commemorazioni né abbellire le fosse comuni con messaggi e iscrizioni in ricordo dei loro parenti.
Ulteriori informazioni
Le esecuzioni extragiudiziali di massa dell’estate del 1988 iniziarono poco dopo una fallita incursione armata, a luglio, da parte dell’Organizzazione dei mojahedin del popolo, che aveva le sue basi in Iraq. In ogni parte dell’Iran prigionieri politici vennero radunati, posti in isolamento e poi uccisi a gruppi e sepolti in fosse comuni o prive di segni di riconoscimento.
Alle famiglie venne detto a voce che i loro parenti erano stati uccisi ma i corpi non sono stati restituiti e buona parte dei luoghi di sepoltura rimane sconosciuta.
Gran parte dei prigionieri uccisi aveva già trascorso diversi anni in carcere, spesso per nient’altro che aver esercitato pacificamente i diritti umani distribuendo volantini o quotidiani, prendendo parte a proteste pacifiche contro il governo o avendo affiliazione a uno dei tanti gruppi di opposizione. Alcuni avevano già completato il periodo di pena ma non erano tornati in libertà in quanto avevano rifiutato di dichiarare il loro “pentimento”.
Ad oggi, nessun rappresentante dello stato iraniano è stato posto sotto indagine o portato di fronte alla giustizia per quelle esecuzioni extragiudiziali. Alcuni dei presunti responsabili continuano ad avere cariche politiche o a mantenere incarichi importanti, come nella magistratura.