Il 22 maggio, alla vigilia del suo incontro con Donald Trump a Betlemme, il Presidente Abu Mazen aveva spiegato che è suo dovere “lavorare per la nostra causa e cercare di risolverla”. Forse perché non sono in pochi coloro che hanno difficoltà a scorgere nel nuovo Presidente USA un interlocutore credibile. Tuttavia, ha spiegato il Presidente  della  Palestina, “questi  incontri, siano essi a Washington, Riad o Betlemme, sono tutti utili e necessari per riportare l’attenzione di Trump alle nostre questioni politiche”.

Una speranza, quella di Abu Mazen, rimasta intatta anche in seguito all’incontro, quando il Presidente palestinese ha ringraziato l’ospite che “con la sua visita ha dato speranze e ottimismo per raggiungere una pace giusta, affinché i bambini di Palestina e Israele possano godere di un futuro stabile e prospero”.

In particolare, il Presidente della Palestina ha voluto sottolineare che, come il suo ospite aveva avuto modo di  vedere il giorno prima nella sua visita nei luoghi sacri nella Gerusalemme occupata e poi a Betlemme, “il conflitto non è fra  religioni. Noi siamo aperti al dialogo con i vicini israeliani per una pace genuina. Il nostro problema sono l’occupazione, le colonie, e il rifiuto di Israele di riconoscere lo Stato di Palestina così come noi abbiamo invece riconosciuto il loro. Il problema non è fra noi e l’ebraismo, ma fra noi e l’occupazione”.

Il leader palestinese ha poi sollevato la questione dello sciopero della fame ancora in corso, chiedendo al governo israeliano di trattare i detenuti “con umanità” e consegnando a Donald Trump una lettera in cui i “familiari dei prigionieri nelle carceri dell’occupazione israeliana” gli dicevano, tra le altre cose, che “Noi palestinesi abbiamo molto da offrire al mondo. Abbiamo offerto vite esemplari in ogni campo, dentro e fuori le prigioni, e inseguiamo il sogno del giorno in cui il nostro popolo, che ha tanto sofferto per ottenere la libertà, potrà crescere i suoi figli in un paese libero, sicuro e pacificato. Crediamo che lei abbia la capacità e la necessaria influenza sul governo della potenza occupante per porre fine alla sofferenza dei nostri figli che sono nelle prigioni israeliane. Lei ha detto che vuole la pace e la pace comincia con la fine della guerra che Israele porta avanti contro i nostri figli, le nostre case, la nostra terra, le nostre esistenze e i nostri diritti”.

Abu Mazen si è quindi rivolto al suo interlocutore con l’auspicio che sia ricordato nella storia come “il Presidente che ha ottenuto la pace tra gli israeliani e i palestinesi”.

Ambasciata dello Stato di Palestina in Italia