Il 23 maggio non rappresenta soltanto un anniversario nefasto, perché ci riporta alla strage di Capaci del 1992. Il 23 maggio è anche il giorno in cui – 70 anni fa – l’Assemblea Costituente ha approvato l’art. 53 della Costituzione. Si tratta di un articolo fondamentale, poiché stabilisce il modo in cui lo Stato dovrebbe raccogliere le risorse per le spese comuni. In precedenza era in vigore lo Statuto Albertino, che all’art. 25 recitava: «Essi (cioè i cittadini) contribuiscono indistintamente, nella proporzione dei loro averi, ai carichi dello Stato».
La scelta dei Costituenti – scrivendo il testo dell’art. 53 della Costituzione – si potrebbe definire “rivoluzionaria”: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». L’innovazione è duplice: da un lato si stabilisce che l’imposizione fiscale deve essere commisurata alla capacità contributiva (e non più “indistintamente”) e dall’altro si passa da un tassazione proporzionale (oggi si direbbe “flat tax”) ad un sistema tributario basato sulla progressività.
Leggendo il dibattito nella Commissione per la Costituzione, presieduta da Meuccio Ruini, si trovano le motivazioni che hanno spinto i Costituenti ad approvare la nuova formulazione del rapporto tra cittadino e fisco. Anzitutto l’art. 53 prevede implicitamente che non possa contribuire alle spese pubbliche chi non abbia sufficiente capacità contributiva, poiché occorre considerare «le esenzioni per lasciare ai cittadini un minimo necessario al soddisfacimento delle esigenze inderogabili della vita» (oggi viene chiamata “no tax area”).
Per quanto riguarda il criterio di progressività, è Salvatore Scoca, relatore dell’art. 53, a spiegarne il senso: «Ho sempre pensato che chi ha dieci mila lire di reddito e ne paga mille allo Stato, con l’aliquota del 10 per cento, si troverà con 9 mila lire da impiegare per i suoi bisogni privati; mentre chi ne ha centomila, dopo aver pagato l’imposta del 10 per cento in base alla stessa aliquota, si troverà con una disponibilità di 90 mila lire. È ovvio che per pagare l’imposta il primo contribuente sopporta un sacrificio di gran lunga maggiore del secondo, e che sarebbe equo alleggerire l’aggravio del primo e rendere un po’ meno leggero quello del secondo. Si può discutere sulla misura e sui limiti della progressione; non sul principi».
A distanza di 70 anni la discussione in Assemblea Costituente è ancora attualissima. Negli ultimi anni nel confronto politico hanno trovato sempre più spazio proposte di “forfait tax” o di “flat tax”. Non solo: mentre le imposte proporzionali sono in continuo aumento (ad esempio, l’IVA), le aliquote delle imposte sui redditi si sono fortemente avvicinate, attenuando la curva della progressività. Addirittura sono state eliminate alcune tasse progressive come l’IMU sulla prima casa. Pochi giorni fa persino l’Unione Europea, nel valutare l’ultima correzione dei conti pubblici dell’Italia, ha auspicato la reintroduzione dell’imposta sulla casa almeno per i redditi dei cittadini più ricchi.
In questo scenario non va dimenticata l’evasione fiscale. Il problema era ben chiaro molto prima dell’Assemblea Costituente. Ecco che cosa osservava Filippo Meda (già Ministro delle Finanze) in un suo scritto del 1920: «i contribuenti titolari di redditi fissi sono tassati fino all’ultimo centesimo con aliquote non indifferenti; mentre, invece, il reddito dei professionisti e degli industriali e commercianti privati sfugge sempre, talvolta in notevole parte e talvolta interamente al dovere tributario». È evidente che il valore dell’equità e della giustizia che guidava i costituenti oggi si è fortemente affievolito. «L’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art. 2 Cost.) non è sentito come un vero compito di responsabilità, affinché si possano «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3 Cost.).
Proprio per questa ragione oggi si sente il bisogno di una proposta di politica fiscale che ritorni a considerare le fonti, per ricollocare il sistema tributario nell’alveo costituzionale. Un segnale positivo arriva da Oxfam Italia che sta promuovendo una “raccolta di firme per la lotta alle disuguaglianze”, indicando ai primi due punti: «1) Un sistema di tassazione più progressivo in cui ciascuno paghi la giusta quota di tasse su redditi e ricchezza; 2) Contrasto ai paradisi fiscali e alla dannosa corsa al ribasso tra i paesi in materia fiscale».
C’è da augurarsi che anche altri ripropongano la questione fiscale come il vero tema di una politica pubblica al servizio dei cittadini, soprattutto di quelli che fanno più fatica.