Southfront 31.03.2017
Edito da Pressenza Londra, 2.04.2017
Il Venezuela potrebbe essere uno dei Paesi più ricchi al mondo, mentre sta attraversando la sua peggiore crisi politica ed economica.
Nel corso degli ultimi diciannove anni, a detenere il potere nel Paese sono stati i cosiddetti chavisti: sostenitori di Hugo Chavez, ex Presidente e leader del Movimento Quinta Repubblica, il quale si è poi trasformato nel Partito Socialista Unito del Venezuela. Ora l’opposizione di destra per la prima volta in diciassette anni ha una possibilità di prendere il potere. La dimensione dei problemi del Venezuela è però enorme. E la vera domanda è se le opposizioni possano risolverli.
Alle elezioni presidenziali del 2013 vinse di poco Nicolas Maduro, ma si scatenarono le proteste. Lo sfidante, Henrique Capriles Radonski, candidato per il partito Prima la Giustizia, rifiutò di riconoscere la sconfitta, domandando il riconteggio dei voti. Il Consiglio Nazionale Elettorale confermò la vittoria di Maduro, mentre nel Paese infuriavano gli scontri tra polizia e manifestanti, nei quali persero la vita sette persone e oltre sessanta furono ferite.
Le proteste – contro la corruzione dilagante nel Paese, la situazione economica e la carenza di beni alimentari – sono continuate dal febbraio del 2014 sino ad oggi. Dal 2016, i dimostranti hanno anche un altro obiettivo: ottenere le dimissioni del Presidente.
A maggio 2016, le opposizioni sono quindi ricorse al Consiglio Nazionale Elettorale per iniziare i preparativi in vista di un referendum “revocatorio” della carica di Maduro.
Tre mesi più tardi, il CNE dichiarava che erano state ottenute le firme necessarie (1% dei votanti) per passare alla seconda fase della petizione. Ma ad ottobre ha annunciato che la seconda raccolta di firme – necessaria per convocare il referendum vero e proprio – che si sarebbe dovuta tenere dal 26 al 28 del mese, era stata rimandata a tempo indeterminato.
La reazione del Parlamento, nel quale le opposizioni hanno la maggioranza, è stata immediata: il 25 ottobre l’Assemblea Nazionale ha votato per iniziare il processo di impeachment. Tutto ciò ha aggravato la crisi politica e i negoziati tra il governo e Unità Nazionale – la coalizione che unisce i principali partiti di opposizione – sono iniziati soltanto alla fine del mese grazie all’intervento di mediatori internazionali.
Il 9 gennaio 2017, la Corte Suprema ha chiarito che la risoluzione di destituzione del Presidente non ha fondamenti legali: l’Assemblea Nazionale non avrebbe infatti i poteri costituzionali per rimuoverlo. Al termine dello stesso mese, la gruppo di discussione del partito di Unità Democratica ha accusato il governo di non adempiere gli accordi raggiunti in precedenza e ha dichiarato di avere definitivamente chiuso il dialogo con le autorità.
Quindi non c’è una reale e immediata minaccia di rimozione dalla carica di presidente a causa della risoluzione del Parlamento. Le elezioni presidenziali si terranno così regolarmente nel 2018, anche se le possibilità che Maduro venga rieletto sono scarse.
Il 30 marzo la Corte Suprema ha anche annunciato di aver assunto il potere legislativo, sostituendo così il Parlamento, controllato dall’opposizione. Il comunicato afferma che “finché continuerà la situazione di irriverenza [nei confronti della magistratura, ndr] e l’adozione di misure non valide da parte dell’Assemblea Nazionale, questo complesso di giudici garantirà che i lavori parlamentari siano svolti direttamente da esso stesso o da un altro corpo creato per la salvaguardia del Paese, governato dallo stato di diritto”.
Sempre secondo il comunicato, l’irriverenza nei confronti della magistratura consisterebbe nel fatto che il Parlamento non si è attenuto ai requisiti della Corte Suprema per invalidare l’elezione dei deputati dello Stato di Amazonas, nel dicembre 2015. All’epoca, i giudici avevano preso una decisione in tal senso a causa di violazioni scoperte durante il processo elettorale.
L’opposizione ha vinto le elezioni nel 2015 per tre motivi. Innanzitutto a causa del crescente scontento nel Paese dovuto alla carenza di alcune categorie di beni per la popolazione, del livello di corruzione e di quello della criminalità. In secondo luogo, la già difficile situazione economica è peggiorata dopo il crollo a livello mondiale del prezzo del petrolio – che rappresenta circa il 95% dell’export venezuelano. Infine, la popolarità del Presidente in quanto politico indipendente era molto più bassa del suo predecessore Chavez. Quest’ultimo aveva infatti ottenuto tra il 6-10% di voti in più rispetto a Maduro alle presidenziali.
In Venezuela circola un aneddoto: “Quando dovrò andare in un negozio? Quando vi sarà una lunga fila davanti”. Infatti, gli scaffali dei negozi sono sempre vuoti: non appena pane, riso o caffè (venduti a prezzi “giusti”, secondo una delibera di Maduro) raggiungono gli esercenti, attorno a questi si crea immediatamente una folla. La calca per cibo economico, oppure i prezzi folli per i generi alimentari al mercato nero, sono tutto ciò che lo Stato oggi offre ai suoi cittadini.
Ma , grazie alla vicinanza con la Colombia, i venezuelani spesso si dirigono in massa lì per comprare riso e medicinali – e i confini sono letteralmente presi d’assalto.
Nei suoi discorsi infuocati, Maduro convince i suoi cittadini della natura artificiale della crisi di cibo e medicinali, e ha ragione quantomeno per il fatto che i grandi proprietari non hanno bisogno del regime socialista.
Per esempio, nel maggio 2016 la compagnia Polar – che produce quasi l’80 della birra locale – aveva annunciato uno stop all’attività. I proprietari avevano espresso la necessità di reperire malto d’orzo all’estero, affermando che potevano fare ciò soltanto con dollari. Nel 2016, il cambio ufficiale tra il cosiddetto “bolivar forte” e il dollaro era 10 a 1, ma era impossibile ottenere dollari a quel prezzo. Il reale tasso di cambio era infatti 400 bolivar per dollaro: questo il prezzo sul mercato nero. Ma quando la compagnia cercò di comprare dollari, Maduro li accusò di stare accumulando moneta straniera per un uso futuro e di indebolire il bolivar. A loro volta, i grandi proprietari hanno chiesto una libera fluttuazione della valuta; e cercando di aumentare la pressione sul Presidente, hanno creato artificialmente una carenza di alcuni beni e prodotti.
Nel luglio 2016, persino McDonald ha sospeso le vendite di Big Mac in Venezuela a causa della mancanza di ingredienti base quali il pane; mentre la vendita di patatine fritte era discontinua anche in precedenza – tanto da rendere necessaria una sostituzione con le radici di Yucca.
Allo stesso tempo, la compagnia americana Kimberley-Clark, prima nella produzione di pannolini, ha annunciato la chiusura. Maduro ha reagito dichiarando che questa era coinvolta nella guerra commerciale statunitense contro il Venezuela, e promettendo aiuti economici per quei 971 lavoratori connazionali della Kimberley-Clark. Ciò non ha comunque influenzato la situazione politica. Il Presidente non è nemmeno riuscito a convincere il gruppo American Citibank, il quale ha promesso di bloccare tutti i conti della Banca Centrale Venezuelana. Allo stesso tempo, il Fondo Monetario Internazionale ha previsto un’inflazione del 1640% per il 2017.
I mercati di tutto il mondo consigliano ormai alle autorità venezuelane di abbandonare il “bolivar forte” e l’intervento statale per regolamentare l’economia. Ma se Maduro lo facesse, affamerebbe ancor più la popolazione; e la battaglia contro la povertà, principale conquista dei socialisti, sarebbe perduta.
Il triste paradosso è che il Venezuela potrebbe essere uno dei Paesi più ricchi al mondo. Le sue riserve di petrolio sono le più grandi del pianeta e sono stimate, a seconda dei calcoli, tra i 70 e i 170 miliardi di tonnellate: il 17,5% delle riserve globali. La vendita di petrolio rappresenta il 95% del PIL nazionale: sono stati proprio decenni di prezzi elevati di questo ad aver gettato le basi per il socialismo venezuelano.
Così come il crollo del prezzo del petrolio ha messo in ginocchio il Paese: se prima la maggioranza della popolazione meno abbiente sosteneva il governo socialista – dal momento che le aveva concesso una migliore qualità della vita – ora questa è molto critica nei confronti di Maduro, così come inizialmente faceva il ceto medio. L’eredità politica di Chavez ha rapidamente perso il suo sostegno popolare: tanto i ricchi quanto i poveri si sono uniti nella contrarietà al Presidente. Sui social-network appaiono sempre più spesso foto di frigoriferi corredate da frasi come “Ecco ciò che ha portato il socialismo”. Mentre giustificazioni del governo del tipo “Tutto questo è un piano della CIA” hanno annoiato chiunque.
A causa della crescente inflazione, dei negozi di alimentari vuoti e gli ormai regolar black-out, non è stato difficile per l’opposizione di destra raccogliere le 400 mila firme necessarie a iniziare le procedure per la convocazione del referendum contro Maduro.
Henrique Capriles, rappresentante del partito Prima la Giustizia e candidato alle ultime presidenziali, sperava di vincere le elezioni anticipate che avrebbero dovuto seguire il referendum. Ha insistito per una veloce decisione sulla data del referendum ed era sostenuto anche dagli Stati Uniti – l’allora Segretario di Stato John Kerry avvertiva che non avrebbe permesso al governo di “giocare a rimandare il referendum”. Allo stesso tempo, i media anglosassoni pubblicavano articoli riguardo la scioccante situazione del Venezuela, e i principali attivisti per i diritti umani accusavano Maduro di provocare una catastrofe umanitaria. L’Organizzazione degli Stati Americani ha anche proposto di sospendere l’appartenenza del Venezuela da questo, a causa delle reiterate violazioni dei diritti umani all’interno del Paese. In questo modo, oltre alle pressione economica, Caracas è finita anche all’attenzione dei media.
Cina e Russia, i suoi maggiori partner, hanno cercato di aiutare il Paese: la prima ha ristrutturato il debito venezuelano a 65 miliardi di dollari; mentre Igor Sechin, amministratore delegato della compagnia Rosneft, ha visitato il Paese per “allargare la cooperazione tra la Rosneft e la PDVSA (la compagnia petrolifera statale venezulana)”. In ogni caso, ciò non ha cambiato le condizioni di vita dei venezuelani, e lo scontento nei confronti del Presidente continua a crescere.
Capriles, il principale avversario di Maduro, è un rappresentante del ceto medio ed erede di una ricca famiglia. Il suo programma prevede un miglioramento nei rapporti con gli Stati Uniti e la “democratizzazione dei beni pubblici”. Così facendo, si suppone che approderebbero in Venezuela società americane, la proprietà statale verrebbe privatizzata e il Paese tornerebbe ad un capitalismo selvaggio, tradizione di questi luoghi. È difficile dire quanto ciò possa aiutare i semplici cittadini. Infatti, i liberali non hanno alcuna esperienza pratica di guida dello Stato venezuelano.
All’opposizione piace criticare il governo socialista per il fatto che esso ha divorato le entrate derivanti dal petrolio per settant’anni invece di cambiare l’economia del Paese. Ma sono gli stessi che in questi anni hanno vissuto in una situazione economica florida, unicamente rimproverando i socialisti e dipingendo caricature di Chavez. Non è del tutto chiaro invece come risolverebbero i tanti problemi economici.
Traduzione dall’inglese di Giovanni Succhielli