“In questo momento il Paese ha bisogno di essere guidato da un Uomo Forte”: un recente sondaggio di Demos & Pi ha rilevato che questa affermazione è pienamente condivisa (“moltissimo o molto d’accordo”) dal 79% degli elettori interpellati.
Non solo: confrontando questo dato con analoghi sondaggi realizzati negli ultimi 12 anni, è emerso chiaramente che il consenso a questa visione “leaderistica” della politica italiana è in continuo aumento. Nel 2004 erano d’accordo il 49% degli intervistati, nel 2006 il 55%, nel 2010 il 60%, nel 2014 il 68%, per arrivare all’ultima rilevazione con il 79% dei consensi.
Molto probabilmente questa voglia di delegare la soluzione dei problemi ad un capo carismatico non è soltanto una tendenza italiana: basterebbe citare Trump negli USA o Erdogan in Turchia.
Occorre però considerare che il 4 dicembre scorso in Italia si è votato per il referendum costituzionale, nel quale il 60% dei voti di fatto sono stati espressi contro l’Uomo Forte del momento, cioè Matteo Renzi. Senza contare che è stata confermata la Costituzione vigente, che sicuramente ha un’impostazione anti-leaderistica.
A quanto pare l’Italia è un Paese alquanto contraddittorio. Da una parte anela ad un leader politico forte: che si chiami Berlusconi, Renzi o Grillo la prospettiva non cambia. D’altra parte, quando un capo carismatico sale effettivamente i gradini del potere, gli elettori nel medio periodo tendono a penalizzarlo.
In altre parole, i cittadini desiderano una guida sicura che sappia interpretare la volontà popolare, ma in realtà presto iniziano a diffidare di ogni condottiero.
Tutto ciò ha molto a che fare con il populismo. Non è casuale che l’Uomo Forte è sempre un populista, da un lato capace di costruire o trasformare un partito in una forza politica “personale” e dall’altro di rivolgersi direttamente alla gente. Non ci sono intermediazioni: il leader parla al popolo, attraverso la tv o i social media. Ma il continuo riferimento al popolo, esaltato come fonte unica di legittimazione del potere, è in realtà un’illusione, perché si richiama a un popolo che non esiste, semplificato ad arte, ridotto a un volere unico, quello di cui si autoproclama interprete quasi infallibile il leader.
La comunità è infatti considerata come omogenea e identitaria: il che è possibile soltanto al prezzo di esclusioni. La prima vittima della semplificazione è dunque il popolo stesso, di cui si perde il pluralismo delle articolazioni sociali, amputate e massificate.
“La leadership populista – ha recentemente scritto il costituzionalista Filippo Pizzolato – non ha bisogno di dimostrare competenze particolari, né di accreditarsi per una storia credibile. Una buona presenza scenica e una spregiudicata abilità comunicativa bastano”.
La spinta alla personalizzazione del potere, enfatizzata dai moderni media, porta con sé l’orizzonte temporale che caratterizza il populismo: l’immediatezza. Il leader carismatico è necessariamente costretto a fornire risposte rapide a problemi complessi. Non solo: deve continuamente rinnovare il proprio “carisma”, attraverso la “rottamazione” di qualcosa, che si possa identificare con il passato. L’oggetto della rottamazione è del tutto secondario: i partiti tradizionali, le province italiane o l’indennità dei senatori sono ugualmente da superare o da abolire.
Poiché però le soluzioni semplici, alla prova dei fatti, tendono inesorabilmente a mostrare i propri limiti, difficilmente un populista riesce a insediarsi al potere in modo stabile. L’immediatezza è una promessa impossibile da mantenere. Per questo il populismo si muove rapidamente su piedi d’argilla e periodicamente mostra la propria debolezza.
Inoltre, “in nome di una democrazia semplificata e immediata – osserva acutamente Filippo Pizzolato – il populismo è destinato a entrare in collisione con il costituzionalismo, nel quale vede un ostacolo al potere dei cittadini, cui le Costituzioni pongono limiti a tutela delle minoranze e, in ultima istanza, a garanzia della composizione irriducibilmente aperta e plurale del popolo sovrano”.
Di conseguenza, nell’opinione pubblica italiana resta aperta una preoccupante dicotomia: da una parte la propensione per una democrazia elitaria e delegata, dall’altra un’impostazione costituzionale e una struttura sociale fondate sulla partecipazione attiva dei cittadini.
Beato il Paese che non ha bisogno di leader carismatici, verrebbe da dire. Ma per realizzare questo ideale sarebbe necessario promuovere una solida cultura della cittadinanza e una seria educazione alla politica. Proprio quello che manca, purtroppo.