In un rapporto diffuso l’11 marzo 2013, Amnesty International ha affermato che, 10 anni dopo l’invasione diretta dagli Usa che abbatté il brutale regime di Saddam Hussein, l’Iraq resta intrappolato in un orribile ciclo di abusi, tra i quali gli attacchi contro la popolazione civile, la tortura nei confronti dei detenuti e i processi irregolari.
Il rapporto di Amnesty International contiene una cronologia di torture e altri maltrattamenti ad opera delle forze di sicurezza irachene e di truppe straniere, all’indomani dell’invasione del 2003. Inoltre, mette in luce il costante venir meno delle autorità irachene all’obbligo di rispettare i diritti umani e lo stato di diritto nella risposta agli incessanti attacchi mortali dei gruppi armati, i quali mostrano un vergognoso disprezzo per la vita dei civili.
“Dieci anni dopo la fine del repressivo regime di Saddam Hussein, molti iracheni godono di maggiore libertà, ma i traguardi fondamentali che avrebbero dovuto essere conseguiti nel campo dei diritti umani devono ancora diventare realtà” – ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord. “Né il governo iracheno né le ex potenze occupanti hanno aderito agli standard richiesti dal diritto internazionale e per questo motivo la popolazione irachena sta ancora pagando un prezzo alto”.
La tortura è comune e praticata con impunità dalle forze di sicurezza, soprattutto nei confronti delle persone arrestate sulla base delle leggi antiterrorismo e interrogate in condizioni di isolamento.
Sottoposti a questo trattamento, detenuti hanno denunciato di aver “confessato” gravi crimini o di averli attribuiti ad altri. Una volta portati in aula per il processo, molti hanno ritrattato le confessioni rese durante gli interrogatori, ma i giudici le hanno ammesse come prova di colpevolezza, senza neanche indagare sulle denunce di tortura, emettendo lunghe condanne detentive o anche sentenze capitali.
Un’altra ingiustizia consiste nell’aver esibito i detenuti durante le conferenze stampa o aver trasmesso in televisione le loro “confessioni” prima dei processi o prima dei verdetti, in grave violazione del principio d’innocenza e del diritto di ogni persona a ricevere un processo equo.
La pena di morte, sospesa dopo l’invasione del 2003, è stata reintrodotta dal primo governo iracheno non appena entrato in carica e le esecuzioni sono riprese nel 2005. Da allora, sono stati messi a morte almeno 447 prigionieri, tra cui Saddam Hussein, alcuni dei suoi più stretti collaboratori e presunti membri di gruppi armati.
Centinaia di prigionieri sono in attesa dell’esecuzione. L’Iraq, con 129 prigionieri messi a morte nel 2012, è uno dei paesi in cui la pena capitale viene applicata con maggiore frequenza.
“Le condanne a morte e le esecuzioni in Iraq si susseguono in modo orribile. Desta particolare sconcerto il fatto che molti prigionieri siano stati condannati a morte al termine di processi iniqui, sulla base di confessioni a loro dire rese sotto tortura. È giunto il momento che l’Iraq ponga fine a questo terribile ciclo di abusi e dichiari una moratoria sulle esecuzioni, come primo passo verso l’abolizione della pena di morte per tutti i reati” – ha sottolineato Sahraoui.
Dal dicembre 2012, migliaia di persone sono scese in strada nelle aree a maggioranza sunnita, per protestare contro le detenzioni arbitrarie, gli abusi sui detenuti, l’uso delle leggi antiterrorismo e per chiedere la fine dell’atteggiamento discriminatorio del governo nei loro confronti. Nel frattempo, i gruppi armati sunniti hanno continuato ad attaccare non solo obiettivi governativi, ma anche la popolazione civile sciita, non risparmiando neanche gruppi di pellegrini.
Sebbene la semiautonoma Regione del Kurdistan, nel nordest del paese, sia rimasta largamente libera dalla violenza, i due partiti curdi al governo restano saldi al potere e non mancano denunce di abusi nei confronti dei detenuti.
“Alla caduta di Saddam Hussein nel 2003 sarebbe dovuto seguire un percorso di fondamentali riforme nel campo dei diritti umani, ma quasi dal primo giorno le forze di occupazione si sono rese responsabili di torture e altre gravi violazioni dei diritti umani ai danni dei prigionieri, come dimostrato dallo scandalo delle torture ad Abu Ghraib, che ha coinvolto le forze statunitensi e dal pestaggio a morte di Baha Mousa a Bassora, un uomo che era sotto custodia britannica” – ha commentato Sahraoui.
Sia in Gran Bretagna che negli Usa, a parte inchieste su casi specifici, non si è indagato a fondo sulle massicce violazioni dei diritti umani commesse dalle forze dei due paesi e non ne sono state accertate le responsabilità a ogni livello. I cittadini iracheni vittime di violazioni dei diritti umani da parte di funzionari Usa non hanno potuto rivolgersi alle corti statunitensi.
Le autorità irachene hanno di tanto in tanto ammesso l’esistenza di casi di torture e maltrattamenti, ma hanno cercato di descriverli come episodi isolati; nei casi di più alto profilo, hanno annunciato l’avvio di inchieste ufficiali i cui risultati, ammesso che quelle inchieste abbiano avuto luogo, non sono mai stati resi noti.
Come mostra il rapporto di Amnesty International, la tortura e altri abusi sui detenuti sono l’elemento più ricorrente e diffuso dello scenario iracheno. Il governo mostra scarsa intenzione di riconoscerne l’elevata diffusione o di prendere le misure necessarie per porvi fine.
I metodi di tortura denunciati dai detenuti comprendono scariche elettriche ai genitali e su altre parti del corpo, il semi-soffocamento con la testa stretta in una busta di plastica, pestaggi mentre sono sospesi in posizioni contorte, diniego del cibo, dell’acqua e del sonno, minacce di stupro nei loro confronti o nei confronti delle loro parenti. Il rapporto cita anche diversi casi di donne che hanno denunciato di aver subito violenza sessuale in carcere.
“L’Iraq resta intrappolato in un ciclo di tortura e impunità che avrebbe dovuto essere spezzato da tempo. È più che giunto il momento che le autorità irachene facciano passi concreti per creare una cultura della protezione dei diritti umani e che lo facciano senza ulteriori prevaricazioni né ritardi” – ha concluso Sahraoui.
Ulteriori informazioni
Il rapporto di Amnesty International è basato su informazioni raccolte da più fonti, tra cui prigionieri, familiari delle vittime, rifugiati, avvocati, attivisti per i diritti umani e sull’esame di atti giudiziari e di altra documentazione ufficiale. Alcune di queste informazioni sono state raccolte durante una missione di ricerca nella Regione del Kurdistan e una visita a Baghdad nel settembre 2012, nel corso della quale Amnesty International ha incontrato funzionari del ministero per i Diritti umani e del Consiglio supremo giudiziario. Nel dicembre 2012 Amnesty International ha trasmesso al governo le sue conclusioni e non ha ancora ricevuto alcuna risposta.
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