«Lorsque ces massacres passent ds l’indifférence générale, c’est que nous avons atteint le paroxysme de l’horreur», “Quando questi massacri passano nell’indifferenza generale, noi abbiamo raggiunto il culmine dell’orrore“. Nessuno meglio di chi scrive sotto lo pseudonimo Joseph Lordure può definire quello che oggi, come da anni o da sempre verosimilmente, sta avvenendo in Congo.
Il paese africano, ex colonia belga, è scosso da una “strisciante” guerra civile. I messaggi di massacri, rapimenti, violenze, arresti ingiustificati si susseguono su Twitter; si tratta tanto di rilanci di agenzie d’informazione, quanto di operatori umanitari e semplici cittadini. «22 civili massacrati sabato e domenica da assalitori armati a Nord-Kivu, nell’est del paese», scrive RFI Afrique riferendosi alle giornate di Natale e della vigilia.
La ventisettenne giornalista di Goma (cittadina proprio a nord del lago Kivu) Esther Nsapu precisa che «le vittime sono in maggior parte donne e bambini, altre vittime erano in una chiesa per la messa di Natale». Gli assassinii sarebbero avvenuti, nel corso di uno scontro fra le forze regolari e delle milizie, «all’arma bianca». La stessa giornalista denuncia l’arresto, dopo una pacifica manifestazione contro il presidente Kabila, dell’attivista Rebecca Kavugho. Anche Jacques Djoli, professore di diritto e senatore, denuncia l’arresto arbitrario del suo assistente Chris. Il prof. Djoli, nonostante il momento drammatico che attraversa il suo Paese, non esita a twittare con una battuta: «Come Renzi, il primo ministro Matata deve presentare il suo bilancio e dimettersi»!
Le denunce di arresti arbitrari, tuttavia, non si contano più. Basta manifestare con dei fischi contro Kabila per finire in prigione. L’agenzia giornalistica “Reuters” parla di 275 arresti nella sola giornata del 21 dicembre scorso. E’ facile, poi, non avere più notizie degli arrestati o che gli stessi subiscano torture.
Contro il presidente Joseph Kabila che pretenderebbe un terzo mandato, ed a favore dei giovani congolesi che si oppongono a questa decisione, si schiera anche l’arcivescovo di Kinshasa Laurent Monsengwo: «sono finiti i tempi in cui si cerca di mantenere il potere con la forza delle armi, uccidendo il proprio popolo», avrebbe dichiarato durante l’omelia di Natale secondo l’Agenzia giornalistica “Politico”. «Questi giovani non reclamano che il proprio diritto a vivere un poco più dignitosamente», ha aggiunto l’arcivescovo Monsengwo.
Che la situazione politica sia, comunque, un “tutti contro tutti” lo fa intendere sempre su Twitter chi scrive sotto lo pseudonimo “ByeByeKabila”: «Natale, 13 “Hutu” uccisi da una milizia “Nande”; Una settimana fa, 17 “Nande” erano stati uccisi da una milizia “Hutu”». Se “ByeByeKabila” si domanda «dov’è lo Stato?», «a caccia degli oppositori», risponde qualcuno.
Certuni probabilmente provano a soffiare sul fuoco, come Kamanda Kela che denuncerebbe, sempre su Twitter, un macabro episodio: tre bambini e le loro madri arse in una maternità che lui imputerebbe ai seguaci dell’ex governatore del Katanga, Moise Katumbi uomo politico n. 2 in Congo.
L’emergenza umanitaria in Congo va – senza violenza, naturalmente – immediatamente risolta. Non è possibile altrimenti chiedere agli africani di restare a casa loro.