La “Comunità Alloggio Maschile” si trova in un parco di proprietà dell’Asilo Mariuccia a Porto Valtravaglia sul Lago Maggiore, in provincia di Varese. Parliamo delle sue attività, della sua finalità e dei suoi metodi educativi con il coordinatore Bruno Campagnani.
Da quanto tempo esiste questa struttura?
Nel 1927 Bonaventura Ronchetti, docente di botanica dell’università di Pavia, che aveva realizzato il parco intorno a Villa Ersilia, ha lasciato la villa e il parco al Comune di Milano in cambio dell’impegno di occuparsi del figlio disabile. Il posto è stato a lungo dimenticato, finché il Comune di Milano lo ha ceduto a un prezzo simbolico alla Fondazione Asilo Mariuccia. Negli anni Sessanta sono cominciati i lavori per la costruzione di vari stabili (una scuola interna, un salone per i cineforum, un’infermeria).
Le comunità erano sia maschili che femminili e fino agli anni Novanta c’erano sia bambini che ragazzi, tutti con gravi problemi familiari. Poi l’età media è salita e negli anni Duemila i tagli ai servizi sociali hanno portato alla riduzione da 5 comunità a 2. E’ stata anche chiusa la comunità femminile. In questo caso le ragioni, più che economiche, erano legate soprattutto alle problematiche sorte con le ragazze. Mentre i maschi reagiscono spesso alle difficoltà adottando comportamenti violenti, le femmine tendono ad atteggiamenti auto-distruttivi, compresi anoressia e tentati suicidi.
Fino agli anni Novanta il 90% degli ospiti era costituito da italiani e il 10% da stranieri; ora la percentuale si è invertita. Sono arrivati prima albanesi, rumeni e marocchini e adesso la maggioranza è costituita da ragazzi egiziani.
Come avviene il percorso di inserimento nella Comunità?
I ragazzi tra i 14 e i 18 anni segnalati dal Tribunale dei Minori e dai servizi sociali arrivano al Centro di Pronto Intervento, che ha un funzione di accoglienza immediata. Vi restano in media per tre mesi per un periodo di osservazione e orientamento e poi passano alla Comunità Alloggio. Il principio di base è quello sancito dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, secondo cui un minore straniero non accompagnato ha diritto alla protezione, alla salute, all’istruzione e a una struttura che lo accolga. Le spese sono a carico del Comune nel cui territorio il minore viene trovato. Il 90% dei nostri ospiti viene da Milano e hinterland.
Quanti sono gli operatori e quanti i minori ospitati, tra italiani e stranieri?
Nelle nostre due comunità ospitiamo 20 ragazzi, di cui 18 stranieri e 2 italiani. Ogni comunità ha un responsabile e ci sono 4 educatori full time, a volte 5, tutti italiani. C’è sempre un operatore in servizio, che accompagna i vari momenti della giornata.
Come si svolge in concreto il vostro lavoro con i ragazzi?
Nel caso dei ragazzi stranieri c’è spesso un problema di alfabetizzazione. Sorge quindi la necessità di corsi di italiano, che vengono svolti con corsi serali EDA a Gavirate; quando viene raggiunto un livello sufficiente di conoscenza della lingua, si passa all’inserimento nelle scuole pubbliche.
Avviamo un percorso di pre-autonomia, in cui i ragazzi ricevono una mancetta settimanale per pagarsi per esempio i trasporti fino a scuola, le medicine, i vestiti ecc e una scheda telefonica per sentire le famiglie. Ogni comunità ha la sua cassaforte, dove vengono custoditi i soldi dei ragazzi. La chiave ce l’ha il responsabile.
Per i ragazzi più grandi (17-18 anni) c’è un gruppo-appartamento nella stessa struttura degli altri, con stanze con bagno e spazi comuni. Gli viene assegnato un budget e loro devono fare la spesa e organizzarsi. In pratica imparano a gestirsi da soli. I ragazzi che sono qui da un po’ di tempo fanno da “tutor” ai nuovi arrivati, li accolgono e spiegano come funzionano le cose.
Oltre alla frequenza scolastica negli istituti pubblici dei paesi vicini, nel 2001 abbiamo creato un laboratorio di educazione al lavoro basato sulla manutenzione del verde – preceduto da un corso sulla sicurezza – per i ragazzi che hanno terminato la scuola dell’obbligo. Il laboratorio si è rivelato di grande utilità per varie ragioni: aiuta i ragazzi a “immergersi” in una realtà fatta di orari, gerarchie, continuità nell’impegno, norme di sicurezza, obiettivi e scadenze, tutte cose che troveranno nel mondo del lavoro, dà loro un guadagno (una “borsa mensile”) e attraverso convenzioni con vari Comuni circostanti permette una relazione con il territorio. L’impegno dei ragazzi ha spesso cambiato l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti degli stranieri e portato a una maggiore apertura. Grazie a uno dei nostri educatori, laureato in agraria, abbiamo anche potuto potenziare gli orti e le serre all’interno del parco. In questi 15 anni circa 350 ragazzi hanno fatto l’esperienza del laboratorio.
Sono previsti anche dei tirocini di un anno in diversi settori (non solo quello florovivaistico legato alla manutenzione del verde, ma anche nel campo dell’edilizia, della ristorazione e degli agriturismo). Questo aspetto è di grande importanza perché l’obbligo di tutela legale finisce al compimento del diciottesimo anno. A quel punto scade il permesso per minore età e per restare in Italia i ragazzi stranieri devono dimostrare di avere un contratto di affitto (o una dichiarazione di ospitalità) e di lavoro. Nella provincia di Varese ci sono circa 300 aziende florovivaistiche (uno dei motivi che ci ha spinto a scegliere la manutenzione del verde per il laboratorio) e molte dopo il periodo di tirocinio hanno offerto un contratto ai nostri ragazzi. Parecchi di loro rimangono nei dintorni e mantengono un rapporto con noi.
Quali sono i principi educativi a cui vi ispirate?
Nel nostro sito http://www.asilomariuccia.org si dedica un ampio spazio a questo tema. Sintetizzando, potrei dire che il nostro scopo è quello di seguire i ragazzi attraverso un percorso di crescita che li porti a raggiungere una sufficiente autonomia. E non parlo solo di autonomia a livello pratico, ma anche di capacità di instaurare relazioni positive, di saper chiedere aiuto quando ci si trova in difficoltà, di sentirsi esseri umani degni di ricevere attenzione, aiuto, affetto, ecc.
Per noi è fondamentale il pieno rispetto delle potenzialità già presenti in ognuno dei ragazzi. Il fondamento dell’educazione è insito nel significato della parola EDUCARE = TRARRE FUORI. Per la metodologia educativa ci basiamo sulla teoria sistemica: l’adolescente è al centro di un complesso sistema che influisce su di lui, dalla famiglia, alla scuola, alla società, ecc e di cui bisogna tenere conto.
L’Asilo Mariuccia ha sempre avuto una tradizione laica: non siamo buonisti a tutti i costi, perché sappiamo che tra i ragazzi c’è di tutto, ma non li respingiamo certo per un pregiudizio razzista. Questo tipo di strutture ha un’importante funzione sociale, visto che siamo riusciti a occuparci anche di ragazzi arrivati da ambienti criminali.
In questo momento state ospitando anche dei profughi
Sì, 20 uomini e 9 donne mandati qui dalla Prefettura di Varese. Teniamo dei corsi di italiano e li aiutiamo nelle procedure per la richiesta dell’asilo. E’ stata una grande soddisfazione quando una di loro ha risposto all’ispettore venuto a controllare il trattamento ricevuto qui, che poneva le domande in inglese: “Per favore, potrebbe parlare in italiano?”
Come può sintetizzare l’esperienza fatta in oltre trent’anni di questa attività?
Gli adolescenti ti tengono sveglio. Il clima emotivo cambia ogni giorno e dunque c’è bisogno di una grande prontezza di risposta. Sotto la corazza da duri, molti nascondono una grande fragilità. Per loro noi siamo delle figure adulte stabili che all’occorrenza devono sapere dire di no e porre dei limiti, senza cadere nella tentazione di fare gli amiconi. E’ un lavoro che ognuno di noi deve fare su di sé e per questo è utilissima la supervisione offerta dall’Asilo Mariuccia, con incontri ogni due settimane.