Il veto della Vallonia e la sentenza della Corte Costituzionale tedesca stanno mettendo in difficoltà la Commissione Europea.
L’accordo con il Canada è sull’orlo del fallimento.
Ventotto stati membri allineati con l’agenda commerciale della Commissione Europea: liberalizzazioni, deregolamentazione, trasferimento di potere dal pubblico al privato. Ad opporsi, solo una regione della federazione belga: la Vallonia, 3,6 milioni di abitanti. Ma tanto può bastare a far fallire il CETA, l’accordo di libero scambio tra UE e Canada, fotocopia del TTIP. Senza l’unanimità dei capi di stato nel Consiglio Europeo di venerdì, non sarà possibile dare luce verde alla Commissione per firmare il trattato in un vertice bilaterale previsto a Bruxelles il 27 ottobre. Il Belgio, per poter dare il suo appoggio, ha bisogno del benestare dei parlamenti regionali. E qui entra in gioco Paul Magnette, governatore vallone di area socialista fermamente contrario a TTIP e CETA.
«Credo che vada detto chiaramente: non possiamo firmare venerdì. Non è ragionevole – è stato il commento di Magnette, affidato stamattina alla radio belga RTBF – Penso che sarebbe ragionevole concordare un rinvio sine die del vertice. Anche se i canadesi sono nostri amici non significa che dobbiamo accettare qualunque cosa».
Il governatore, che chiede di rinegoziare completamente il trattato, è preoccupato per i suoi potenziali impatti sociali, i rischi per l’agricoltura locale, i servizi e l’ambiente. Le stesse preoccupazioni manifestate da milioni di persone e organizzazioni della società civile in tutto il continente, ma rimaste spesso inascoltate dalle istituzioni comunitarie. La Commissione Europea propone, sostenuta dai 28 governi dell’Unione (l’Italia è in prima linea), di firmare il CETA il 27 ottobre, ottenere l’ok del Parlamento Europeo prima di Natale e applicare parte dell’accordo in via provvisoria, senza aspettare la ratifica di tutti gli stati membri, che hanno potere di veto. Ma questo tentativo di forzatura si è scontrato con il muro eretto dalla piccola Vallonia, oggetto in queste ore delle pressioni di governi e lobby dell’industria.
Contro Golia Davide non è solo
Non è questo, tuttavia, l’unico ostacolo che Bruxelles e i 28 stanno incontrando sulla loro strada. Come si legge in un verbale del COREPER – il comitato dei rappresentanti permanenti che prepara i lavori del Consiglio dell’UE – anche la Germania potrebbe avere dei problemi legali ad avallare l’applicazione provvisoria del CETA. Il 13 ottobre scorso, infatti, la Corte Costituzionale tedesca, interpellata da tre organizzazioni della società civile, ha posto alcune condizioni per il via libera da parte del governo (leggi la sentenza). Innanzitutto, possono entrare in vigore prima della ratifica nazionale solo quelle parti dell’accordo di competenza esclusiva dell’UE. Ciò significa che tutte quelle parti in cui i governi esprimono preoccupazioni circa il rispetto del principio di sussidiarietà, vanno stralciate finché non vi è chiarezza. Una chiarezza che arriverà soltanto con la sentenza della Corte di Giustizia Europea sul trattato tra UE e Singapore, attesa per i primi mesi del 2017. La Consulta ha anche chiarito che l’applicazione provvisoria non può essere una strada a senso unico. Ha chiesto al governo tedesco di garantire un accordo che permetta a qualsiasi stato membro di recedere. Infine, i giudici dichiarano che il CETA Joint Committee, il comitato di rappresentanti nominati dal governo canadese e dalla Commissione UE che sovrintenderà all’applicazione dell’accordo, con il potere di modificarlo dopo l’entrata in vigore, non può prendere decisioni che interferiscono con i diritti sovrani degli stati membri. Pertanto, a Consulta tedesca propone un accordo interistituzionale tra il Consiglio Europeo e la Commissione che garantisca il potere di veto per tutti i governi sui lavori del comitato.
Queste richieste, insieme alla resistenza della Vallonia, hanno messo in difficoltà la Commissione Europea, che considera «troppo ingombrante» lasciare l’ultima parola agli stati nel CETA Joint Committee. Il risultato è lo stallo che ieri si è registrato al Consiglio dei Ministri del Commercio europei, che hanno rinviato la decisione al vertice dei capi di governo del 20-21 ottobre. Questa situazione ha generato un grave imbarazzo in Europa: la Commissione Europea è considerata ormai un partner commerciale non affidabile dai governi stranieri, mentre tra i cittadini si consolida l’idea di una istituzione tanto distante dall’interesse pubblico quanto legata a una visione tecnocratica del processo politico.