Sarà difficile dare torto a Barbara Randazzo e a Valerio Onida, due autorevoli costituzionalisti, per i ricorsi recentemente presentati contro il decreto di indizione del referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo.
In sostanza i due ricorrenti sostengono una tesi ovvia: non si può chiedere agli elettori di decidere, con un unico sì o no, la modifica di 47 articoli della Costituzione che riguardano argomenti molto diversi tra loro.
Questa argomentazione in realtà era già stata espressa autorevolmente nell’aprile scorso da Onida in un documento sottoscritto insieme ad altri 55 costituzionalisti, nel quale si affermava: «Se il referendum fosse indetto – come oggi si prevede – su un unico quesito, di approvazione o no dell’intera riforma, l’elettore sarebbe costretto ad un voto unico, su un testo non omogeneo, facendo prevalere, in un senso o nell’altro, ragioni “politiche” estranee al merito della legge».
Ad avvalorare la posizione di Onida e di una decina di Presidenti emeriti della Corte Costituzionale, si può ricordare la dichiarazione di Luigi Einaudi (futuro Presidente della Repubblica) , che durante i lavori dell’Assemblea Costituente intervenne proprio su questo aspetto: «Le Camere propongano una sola riforma alla volta e in maniera chiara, in modo che gli elettori si rendano conto di quello che sono chiamati a votare».
Il paradosso è che a dare ragione a Onida è stata anzitutto la coalizione del centrosinistra, che nel programma elettorale del 2006 ha dichiarato: «Prevedremo espressamente che il referendum si svolga con distinte votazioni se la legge concerne diverse parti della Costituzione o istituti tra loro distinti». L’attuale maggioranza di centrosinistra ha cambiato completamente idea?
Al di là di queste considerazioni politiche, c’è anche un evidente problema in punta di diritto. Infatti l’art. 16 delle legge n. 352 del 1970 stabilisce che nel testo della scheda referendaria siano espressamente indicati gli articoli che la legge di revisione intende modificare. Il decreto che stabilisce la data di svolgimento del referendum tralascia di elencarli. In questo modo l’elettore non viene informato correttamente su quali modifiche della Costituzione è chiamato ad approvare o a respingere.
Non è dato sapere come andrà a finire il ricorso di Randazzo e Onida, ma una cosa è certa: la procedura seguita per arrivare a questo referendum è lastricata di strappi, forzature, incongruenze e contraddizioni. Dato che in palio c’è la Carta fondamentale, forse sarebbe saggio sospendere la partita, poiché il terreno di gioco risulta sempre più impraticabile.