Idioti era la parola usata nella democrazia ateniese per descrivere coloro che si preoccupano solo dei loro interessi egoistici ed erano interessati quasi esclusivamente agli affari privati – in opposizione a quelli pubblici. Questi rifiutavano di prendere parte alla vita pubblica, come per esempio al governo democratico e al voto nell’assemblea dei cittadini. Erano anche visti, appunto per il loro individualismo, come persone dal giudizio e dall’educazione mediocri ed è questa l’accezione che ha viaggiato attraverso il tempo fino ai giorni nostri.
Paradossalmente lo scorso 2 ottobre, Giornata Internazionale della Nonviolenza, quando più di mille attivisti si incontravano a Berlino per fare rete, partecipare, costruire, mostrare in forma umana un segno di pace che si trasforma in uno di nonviolenza, creare un mondo di pace migliore per tutti, è stato anche il giorno in cui la Pace ha perso in Colombia. Forse perché il 63% degli aventi diritto al voto ha deciso di non votare. Del 37% che lo ha fatto, il 50,22% ha detto No e il 49,78% ha detto Si. Qual è la validità di questa decisione? Forse dovrebbe esserci un quorum del 50% di partecipazione per rendere valida una decisione, come in Ungheria, dove il boicottaggio del voto ha permesso agli “idioti” (in questo caso usando la strategia in modo attivo piuttosto che passivo) di invalidare la politica contro l’immigrazione?
A quanto pare la politica della paura è riuscita a convincere una piccola parte della popolazione colombiana che l’accordo di pace negoziato con tante difficoltà con le FARC non meritava di essere approvato, che la Riconciliazione non era una possibilità. C’erano ovviamente degli interessi legittimi nella posizione del No. La necessaria riforma agraria si proponeva di rendere disponibile una buona parte di terra per il nuovo insediamento di famiglie sfollate a causa del conflitto, buttando all’aria le occupazioni portate avanti dalle milizie paramilitari di estrema destra e dai proprietari terrieri durante gli anni del conflitto. Ma gli argomenti presentati al pubblico erano tutti basati sulla paura: paura che la Colombia sarebbe finita con un governo comunista di ex-guerriglieri, che se non fossero state puniti nel modo più draconiano avrebbero continuato ad essere una minaccia per la gente attraverso le loro presunte attività criminali.
Molti progetti di Pace si stanno sviluppando in Colombia, volti a creare una cultura di pace, parallelamente al disarmo e alla reintegrazione degli ex-combattenti nella vita civile e politica. Pressenza ha incontrato alcuni dei protagonisti di questo processo alla Conferenza dell’IPB a Berlino; malgrado la triste battuta d’arresto rappresentata dal referendum, siamo impegnati ad aiutare a continuare, accompagnare il cammino verso la pace, collaborare e fare rete per la creazione di una cultura della pace, perché questo è il solo modo per aprire la strada al futuro, per quelli che dicono si, per quelli che dicono no e per quelli che non volevano dire niente o che si sentivano troppo lontani dalla questione.
La Riconciliazione non è un lusso, né si tratta solo di due vecchi nemici che si stringono la mano, ma è piuttosto una necessità dello spirito. Lasciar andare il risentimento e il desiderio di vendetta libera l’individuo da una pesante palla al piede, da un’immagine fissa che contamina tutti gli aspetti della vita e impedisce di pianificare un futuro migliore. La liberazione d’energia e la luce sperimentate quando una profonda riconciliazione ha luogo all’interno di se stessi, indipendentemente dal cambiamento o dalla mancanza di questo nella relazione con il «nemico» o di reciprocità, è stata ben descritta da persone di diversa estrazione e in ben diverse circostanze. Offrire mezzi per la riconciliazione come parte dell’educazione per una cultura della pace e/o della nonviolenza è cruciale per preparare una popolazione ad un cambiamento come quello proposto dai negoziati dell’Avana.
Il risultato del referendum può essere preso come una sconfitta, ma può anche essere interpretato come il tipo di fallimento che ci incita a lavorare ancora più duramente per creare le condizioni necessarie per la pace e la riconciliazione. Chiaramente esse non esistono ancora, ma mettere insieme tutta l’energia disponibile per produrle, non è un piano B, ma il primo passo del nuovo processo.