Nel 2012 Davide Falcioni ha raccontato l’occupazione pacifica di un’azienda in Val di Susa durante alcune proteste del movimento No Tav ritrovandosi infine accusato per violazione di domicilio
In queste settimane AgoraVox Italia ha lanciato una campagna di sostegno a Davide Falcioni, all’epoca collaboratore della testata, e per difendere il diritto di cronaca, specie quello di piccole realtà editoriali che con tanta passione e con tanti sforzi provano a informare il cittadino fornendo angolature giornalistiche differenti e assai spesso genuine.
Abbiamo avuto modo di parlare della vicenda Falcioni con Francesca Barca, coordinatrice editoriale di AgoraVox Italia che ci spiega in un’intervista come sono andate le cose.
AgoraVox ha lanciato un messaggio ai lettori e agli amici chiedendo sostegno per la vicenda di un suo ex-reporter rinviato a giudizio. Ci puoi raccontare questa vicenda?
Faccio due righe di premessa per spiegare a chi non ci conosce cos’è AgoraVox. Siamo un giornale partecipativo in due lingue (francese e italiano). I nostri reporter sono cittadini che ci inviano contributi e articoli e che raccontano, denunciano e commentano quello che succede intorno a loro. AgoraVox è un insieme di persone, di associazioni e di blogger i cui contenuti, tutt’insieme, formano un giornale e una community che prova a creare un’informazione diversa, alternativa, ma anche complementare a quella “ufficiale”.
Davide Falcioni, che oggi è un giornalista di Fanpage, all’epoca dei fatti in questione collaborava con AgoraVox Italia.
Siamo nel 2012, in un momento di grande tensione in Val di Susa (per le premesse e il contesto rimando alla lettura di questo articolo al quale abbiamo molto lavorato per essere il più chiari possibile) e Davide ha deciso di passare un periodo nella Valle per raccontare quello che succedeva; da quell’esperienza sono nati diversi articoli sulla Tav e sul movimento popolare di contestazione a questa grande opera.
(ecco altri link Tav. Intervista a Mauro Corona: “No allo stupro della Val di Susa e anche No Tav: il governo del pensiero unico contro 360 studiosi (noti black bloc)
Davide in particolare ha intervistato una maestra d’asilo (Patrizia Soldati, in “Movimento No Tav: strategia e storia di una lotta popolare”) che aveva partecipato al presidio in una sede della Geovalsusa S.r.l., una società coinvolta nella realizzazione della TAV. Davide era presente all’azione, che è stata poi presentata dalla stampa come violenta e ha portato alla denuncia di Patrizia e di altre 16 persone.
(La Stampa parla di “Blitz dei NoTav” o altrimenti i manifestanti vengono presentato con un generico “vicini ai centri sociali” per esempio).
Davide ne scrisse, (“Io ero con i No Tav arrestati, vi racconto come sono andate davvero le cose”) proprio per raccontare un’altra cosa, per dare un’altra versione, quello che aveva visto e testimoniato: un’azione pacifica, i manifestanti che citofonano e vengono fatti entrare, chiacchiere con i dipendenti e uno striscione srotolato. Nessun danno, nessuna violenza.
Per questo, successivamente, si è offerto di essere testimone della difesa al processo. Unica persona presente, oltre ai manifestanti e ai dipendenti.
Il 28 novembre del 2014 Davide era, a sue spese e di sua volontà, in aula a Torino. Ma non ha potuto testimoniare: alla frase “c’era un clima sereno”, il PM ha interrotto l’esame del teste informandolo che, dato il contenuto della sua deposizione, sarebbe stato indagato per gli stessi reati di cui sono accusati gli imputati. Da testimone (e cronista) Davide diventa un indagato. E naturalmente la testimonianza (che ribadisco, era la sola esistente) diventa nulla.
Poi, come sempre, il tempo è passato, fino a quando Davide, dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia è stato rinviato a giudizio . L’accusa è violazione di domicilio.
Il sistema sembra non volere che si racconti la Val di Susa in modo differente da quello conforme al sistema stesso?
In Val di Susa quello che pare essere sotto accusa (oltre alle persone naturalmente, non voglio sminuire nulla né stabilire una regola) è il racconto, un’altra narrazione della Valle e dei Movimenti e, in fondo, un’altra “parola”. Quello che è successo con Erri De Luca (che oggi si è concluso a suo favore) ne è un primo esempio. Una “parola contraria”, fatta di cultura e informazione.
Il caso di Davide, in quest’ottica, è un altro racconto della Valle e chiama in causa direttamente la cronaca (e il diritto di cronaca) di cui ogni cittadino, al di là di un tesserino, è portatore. Anche in questo caso non sto a ripetere cose che sono state dette molto bene in un articolo di Valigia Blu che vi invito a leggere.
Cito anche il caso di Flavia Goretta di Radio Popolare: nel 2011 venne accusata di non aver rispettato le disposizioni di polizia e di danneggiamento. Aveva documentato, ancora una volta, una manifestazione NoTav. La Goretta fu condannata.
Come si può difendere il diritto alla cronaca e all’informazione specie se si fa informazione dal basso o se si fuoriesce dal circuito dell’informazione mainstream?
Eh, facendola, spero. Sostenendo chi si trova in queste situazioni. È chiaro che le spese legali (e il timore stesso di doverle eventualmente sostenere per chi ha pochi mezzi) possono bloccare la voglia di raccontare una cosa, a volte più della paura di una denuncia.
Ma queste cose sole non bastano. Quello che è veramente importante è creare una cultura, un sottofondo di dubbio critico che renda comune il sentimento che di un’altra informazione c’è bisogno. Non perché quella che esiste non vada bene (anche se a volte è certamente il caso). Ma perché quella che esiste ha bisogno di essere criticata per essere migliore: c’è bisogno della partecipazione di tutti alla creazione e alla fruizione, che sia una fruizione attiva, critica e ariosa, dell’informazione. E tenendo presente che ciascuno di noi ha la possibilità di partecipare alla notizia, raccontando e scrivendo. Questo fa AgoraVox, questo difendiamo.
Informazione dal basso, contro-informazione, informazione libera, sulla base della vostra esperienza a che punto siamo? E che futuro attende più in generale al mondo dell’informazione?
Sul futuro dell’informazione non credo di poter rispondere. Sul “a che punto siamo” forse nemmeno. Sono domande troppo grandi e vaste e non so darti una risposta sensata. Penso che in Italia ci siano diversi spazi d’informazione partecipata e di controinformazione. E penso anche che esista un equilibrio fecondo, precario e difficile ma di dialogo effettivo: questi spazi non eliminano e non sostituiscono l’informazione dei grandi gruppi o quella “ufficiale” delle Agenzie, così come l’informazione che possiamo per semplicità definire “main stream” non basta a raccontare i cittadini, la realtà e le esperienze di organizzazione e di politica “altre”.
E va bene così, è in questo modo, attraverso questo equilibrio, che ci s’informa; la voce di chi è fuori dai “circuiti ufficiali” qualunque essi siano, esiste e si fa sentire, in ogni caso. E’ bene che quest’ultima venga presa sul serio, rispettata, verificata, contraddetta o sostenuta.
Il passo successivo, se un passo va fatto, è quello facilitare la comprensione di chi fruisce dell’informazione: dare alle persone gli strumenti per distinguere, criticare, e capire come e perché una notizia viene costruita, pensata e divulgata. E questo vale certamente sia per l’informazione cosiddetta dal basso, ma anche, e non meno, per quella cosiddetta “mainstream”.
Anche Pressenza Italia solidarizza con AgoraVox, suo partner e esempio di giornalismo partecipativo attivo e di giornalismo dell’informare.
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