Si è conclusa una settimana storica per il popolo Ixil che dal 18 aprile scorso ha visto il trasferimento a Nebaj, dalla capitale, del Tribunal B de Mayor Riesgo responsabile della ripresa del processo per genocidio contro l’ex generale golpista Efrain Rios Montt.
Nebaj è il capoluogo della Regione Ixil, parte del Dipartimento del Quiché, in cui sono avvenuti la maggior parte dei massacri contro la popolazione civile resi noti dal rapporto REHMI, Proyecto Interdiocesano de Recuperación de la Memoria Histórica[1]. All’interno del documento sono stati ricostruiti – tra il 1981 e il 1983 – più di 90 massacri per mano dell’esericto nei soli tre municipi di Santa María Nebaj, San Gaspar Chajul, San Juan Cotzal che conformano la Regione Ixil.
Il motivo dello spostamento del tribunale nei territori che furono il cuore del conflitto armato interno del Guatemala è dettato dal proseguimento del processo che si era già concluso il 10 maggio 2013, quando fu dimostrato che Sì hubo genocidio, con una sentenza di condanna contro l’ex generale golpista Efrain Rios Montt a 80 anni di carcere. Dieci giorni dopo quella sentenza tre magistrati della Corte de Constitucionalidad annullarono una parte dello stesso processo attraverso una risoluzione di dubbia legittimità.
A partire da allora non si contano i tentativi per bloccare definitivamente il processo e garantire ancora una volta l’impunità per tutti gli alti comandi dell’esercito che negli anni ’80 pianificarono e misero in pratica le politiche genocide di stato contro la popolazione civile in diversi dipartimenti del paese.
Il 16 marzo 2016, a Città del Guatemala, sono riprese ufficialmente le udienze per il genocidio maya-ixil contro l’ex generale Efrain Rios Montt – dichiarato incapace da una perizia del INACIF (Instituto de Ciencias Forenses, un’istituzione pubblica) a causa di una demenza vascolare irreversibile – e contro l’ex capo dell’intelligence militare, José Mauricio Rodríguez Sánchez, che alla fine del primo processo risultò assolto. L’ex generale non può più presenziare alle udienze e il processo si sta svolgendo a porte chiuse escludendo pertanto sia la presenza della stampa che del pubblico durante i lavori. Le prime settimane di udienza sono state interamente dedicate alle perizie e alle dichiarazioni di oltre 60 antropologi forensi.
Pochi giorni fa il Tribunal B de Mayor Riesgo – presieduto dalla magistrata María Eugenia Castellanos – ha reso pubblica la decisione di spostarsi a Nebaj (nord-ovest del dipartimento del Quiché), nella settimana dal 18 al 22 aprile, per raccogliere le dichiarazioni dei primi quindici testimoni, maya-ixiles e maya-quichés, provenienti da diverse comunità, villaggi e frazioni della zona. Uomini e donne sopravvissuti ai piani genocidi messi in atto tra il 1982 e il 1983. In particolare si tratta di persone già molto anziane o in alcuni casi malate, per le quali sarebbe stato impossibile viaggiare fino alla capitale per testimoniare o il cui spostamente avrebbe comportato uno sforzo troppo pesante.
Il caso si concentra in particolare sull’assassinio di 1771 persone, tra loro uomini, donne, bambine e bambini, massacrati nel villaggio di Chel e in altre comunità vicine, oltre ad altri massacri compiuti in diverse comunità dei tre municipi di Nebaj, Chajul e Cotzal.
Come parte della Fiscalía Especial de Derechos Humanos del Ministerio Público –MP-, sono state prensenti i pubblici ministeri Paula Herrarte e Hilda Pineda. L’accusa è composta dall’ Asociación por la Justicia y la Reconciliación (AJR) e dal Centro por la Acción Legal de Derechos Humanos (CALDH) che coordineranno ancora le dichiarazioni dei 110 testimoni restanti e che avranno luogo nelle prossime settimane all’interno del tribunale della capitale.
La preparazione nei giorni precedenti al processo qui a Nebaj è stata molto intensa e ha visto il coinvolgimento di moltissime organizzazioni locali e altri gruppi e collettivi che hanno deciso di portare avanti la coordinazione di tutte le attività parallele alle sessioni del processo.
Per accompagnare i testimoni e i loro famigliari, per trasmettere forza e coraggio a coloro che ancora una volta hanno dovuto ricordare fatti estremamente tragici e dolorosi, è stato scelto un pezzo di strada principale del paese, a pochi metri dal tribunale, come spazio pubblico collettivo nel quale realizzare l’evento e riunire tutte quelle famiglie e singole persone che sono venute a manifestare il proprio appoggio durante i tre giorni del processo.
Nella serata di lunedì 18 aprile, alla vigilia dell’apertura del processo, c’è stata una grande cerimonia maya nel Parque Central di Nebaj, coordinata da tre donne ixiles guide spirituali (nel giorno 9 I’x del calendario sacro maya) nel corso della quale sono state ricordate tutte le donne morte nel conflitto armato interno e in generale tutte le persone care massacrate dal terrore di stato. Durante questo importante passaggio rituale molti ragazzi e ragazze, donne di diverse generazioni, famiglie con bambini molto piccoli, hanno voluto partecipare e dimostrare il proprio coinvolgimento in un momento così forte per la storia di questi territori e per la vita del popolo Ixil. Ana Laynez, guida spirituale Ixil, ha spiegato le energie dei venti giorni del calendario sacro maya in relazione ai fatti passati, alla situazione presente e alla necessità di continuare a lottare per esigere giustizia.
La partecipazione a tutte le attività – dal lunedì fino al giovedì – è stata massiva.
Ogni giorno lo spazio pubblico creato nella strada principale del paese, dove è stato sospeso il transito a qualsiasi tipo di veicolo, si è riempito di famigliari dei testimoni, di persone sopravvissute alle pratiche genocide, di integranti delle organizzazioni storiche dell’area, di singoli o famiglie che si sono avvicinati per condividere questo momento così intenso a livello personale, famigliare, comunitario. Moltissime persone sono arrivate da villaggi e comunità molto distanti dal capoluogo, camminando o viaggiando diverse ore per raggiungere l’incontro.
Le tre giornate sono state aperte da una invocazione rituale grazie alla presenza di diverse guide spirituali e autorità ancestrali ixiles che sono state presenti per tutto il tempo in cui è durato il processo. Forte è stata la presenza di donne anziane che con fiori e croci hanno portato il ricordo e la presenza delle persone care, assassinate per la maggior parte tra il 1982 e il 1983.
Una presenza costante è stata quella dei giovani delle scuole superiori e di scuole di elementari e medie che si sono avvicintati per ascoltare le parole delle persone sopravvissute durante le tre giornate, così come le canzoni di lotta e resistenza sulle montagne, le parole di molte donne e lideresas che fanno parte delle organizzazioni dell’area e che hanno condiviso le loro esperienze di vita di lotta.
Ogni mattina è stata aperta da una sessione di percussioni della Batucada Ixil e si sono susseguite performance teatrali, dinamiche con il pubblico presente, dibattiti, è stata allestita una esposizione di foto itinerante sui processi di esumazione e inumazione delle vittime in differenti comunità: azioni e immagini che hanno attratto con la loro forza molte persone, giovani, bambini e bambine. Il lavoro di coordinazione tra organizzazioni locali e le iniziative di singole persone è stato imprescindibile per costruire insieme uno spazio caldo e accogliente di vita e di sentire comune di questi tre giorni.
Dall’altra parte del tribunale, dall’altro lato di questa ampia, tenera e fermissima presenza, si sono ritrovate persone mobilitate da AVEMILGUA (Asociación de Veteranos Militares de Guatemala) e da ex patrulleros (PAC – Patrullas de Autodefensa Civil)[2] che durante tre giorni hanno gridato e insultato le persone presenti, le parti dell’accusa, le associazioni e i testimoni all’interno del processo, i giudici, i pubblici ministeri, negando in continuazione il delitto di genocidio.
La presenza di ex colonnelli ed ex comandanti delle PAC si è fatto sentire già nei giorni precedenti, prima della ripresa del processo. La domenica precedente all’arrivo dei giudici è stato organizzato una specie di “ritrovo” di ex militari nella piazza centrale della cittadina e centinaia di volantini sono stati distribuiti in tutto il municipio nei quali veniva affermata nuovamente la negazione del genocidio e l’innocenza di tutti i militari.
Non sono mancati naturlamente accuse e insulti nei confronti degli osservatori stranieri – che sono stati presenti tutta la settimana al fianco delle organizzazioni di vittime e dei/delle testimoni del processo – responsabili secondo i militari di fomentare nuovamente conflitti e polarizzazioni nel paese.
Molto evidente è stata anche la presenza di oltre 200 agenti tra polizia nazionale, corpi anitsommossa e corpi speciali, inviati da diversi dipartimenti del paese per proteggere i funzionari pubblici nel corso degli spostamenti per le udienze. Presenza che non è passata inosservata da parte della popolazione locale in una zona e in un territorio già fortemente controllati e militarizzati al fine di proteggere gli interessi di molte imprese nazionali o straniere che utilizzano forze di sicurezza pubblica o privata per controllare la popolazione e continuare pratiche sistematiche di saccheggio e colonizzazione interna per lo sfruttamento di montagne, fiumi, alberi.
All’interno della sala del tribunale sono entrati a dichiarare nel corso dei tre giorni i testimoni. Donne per la maggior parte. È stato nuovamente ricordato ciò che si è vissuto. Sono state descritte ancora una volta le azioni dell’esercito in quello stesso luogo in cui migliaia di persone hanno perso la vita, sono state desaparecidas, struprate, torturate, bombardate, costrette alla fuga o catturate e concentrate in aldeas modelos, villaggi occupati e controllati dai militari. Nuovamente sono stati raccontati i meccanismi del terrore che colpirono in modo particolare migliaia di donne di ogni età, utilizzando la violenza sessuale, la tortura e la schiavitù sessuale come strategia militare, stuprando e massacrando in modo sistematico donne incinta, adolescenti, bambine e anziane.
Alla fine delle tre giornate di udienza hanno testimoniato solo 13 dei 15 testimoni previsti – due non hanno dichiarato perché gravemente malati – e quasi tutti hanno sofferto dei malori alla fine delle dichiarazioni. Ritornare a nominare i meccanismi della violenza nella stessa terra in cui si è nati, dove devono essere ancora ritrovate tante persone care, dove devono essere identificate ancora tante fosse clandestine, ha lasciato conseguenze gravi tra i presenti al giudizio. Allo stesso tempo questa grande mobilitazione Ixil ha fatto sentire alle persone sopravvissute e ai testimoni una forte accoglienza all’interno di uno spazio collettivo e trasversale alle tante organizzazioni che da anni lavorano per la giustizia e per la memoria storica nel paese.
Uno spazio capace di restituire dignità ai morti, di celebrare la vita, e di ricordare che anche se il cammino potrebbe risultare ancora lungo, il popolo ixil è disposto a camminare per ottenere verità e giustizia.
I tre gioni di processo in queste terre sono terminati. E il processo proseguirà nella capitale.
Tre notti quasi senza dormire. Tre giorni di sole, di calore, di occhi spalancati, di visi tesi, di incontri, di reincontri, di abbracci e di ricordi. Tre giorni di lotta, tre giorni di lutto. Tre giorni, tra migliaia di giorni, nominando la verità, cercando la nostra giustizia che forse non riuscirà mai a trovare abbastanza spazio nelle aule di un tribumale. Tre giorni di dignità, tre giorni di ritmo e di musica, tre giorni di coraggio, inquietudine, lacrime e allegria. Tre giorni di memoria. Tre giorni di verità per il mondo.
Continua a battere il nostro cuore Ixil. Da molto tempo la verità e le lotte continuano a sbocciare tra queste montagne.
Manu Cencetti, Nebaj, 24 aprile 2016
[1] Proprio il 24 aprile 2016 l’incredibile lavoro di ricostruzione della memoria storica del REMHI ha compiuto 18 anni. I 4 volumi vennero presentati il 24 aprile del 1998 con il titolo “Guatemala: Nunca Más” Proyecto Interdiocesano de la Recuperación de la Memoria Histórica de Guatemala. All’interno del documento furono per la prima volta tracciate le dimensioni della morte e della distruzione che comportò il conflitto armato interno: 250 000 morti, 50 000 desaparecidos, 1 000 000 di esiliati e rifugiati, 200 000 orfani, 40 000 vedove, decine di migliaia di casi di violenza sessuale e tortura. Nove vittime su dieci erano civili disarmati, per la maggior parte popolazione indigena. Più del 90 % dei crimini furono commessi dall’esercito o da gruppi paramilitari sotto la responsabilità dell’esercito. Due giorni dopo la presentazione del documento Monsignor Gerardi, vescovo di Città del Guatemala e coordinatore del lavoro di ricerca e della pubblicazione viene brutalmente assassinato. Ancora oggi non sono stati identificati i mandanti politici della sua esecuzione e il caso resta aperto.
[2] Persone reclutate a forza tra la popolazione civile come strategia contrainsurgente durante la dittatura di Rios Montt, utilizzare inizialmente come arma di guerra per disarticolare e distruggere la guerriglia, in particolare l’EGP – Ejercito Guerrillero de los Pobres – attiva in diverse zone della regione e, successivamente, come veri e propri gruppi paramilitari armati autorizzati a compiere perquisizioni, rappresaglie, torture, esecuzioni, massacri, violenze sessuali, così come le truppe militari regolari. (Fonte: RICARDO FALLA, Masacres de la selva, Guatemala 1975-1982, Editorial Universitaria, Guatemala, 1993).