“Quando Google ha incontrato WikiLeaks” è il curioso e ricco resoconto di Julian Assange riguardante lo storico incontro con Eric Schmidt (www.stampalternativa.it, 2015, 175 pagine, euro 16).
Assange ha pubblicato questo libro nel 2015 per narrare lo storico incontro con Eric Schmidt, il direttore esecutivo e poi presidente di Google. Il dialogo tra i due, poco pubblicizzato, si è svolto nel 2011, ai tempi degli arresti domiciliari di Assange a Norfolk, vicino a Londra. Julian si era messo nei guai per avere fatto sesso senza preservativo con due ammiratrici, una svedese e una femminista radicale. Una delle due accusatrici sembra non voler più discutere della cosa, ma in Svezia si può finire in galera anche per aver pagato una prostituta (in tutte le nazioni esistono alcune leggi molto arbitrarie e poco liberali). Infatti secondo il gruppo di lavoro dell’ONU sulla detenzione illegale Assange è detenuto illegalmente (4 febbraio 2016).
Comunque la ragione ufficiale dell’incontro riguardava la stesura di un libro: Schmidt stava scrivendo un saggio insieme a Jared Cohen, direttore di Google Ideas, il think tank della multinazionale (il laboratorio e il serbatoio del nuovo pensiero digitale). Prima del 2010 Cohen lavorava al Dipartimento di Stato e veniva “soprannominato lo stuzzichino delle feste di Condi”.
All’epoca il governo americano aveva attivato un blocco finanziario contro WikiLeaks e aveva arrestato Barrett Brown, un giovane coraggioso giornalista indipendente, che aveva indagato sui legami tra il governo federale e alcune agenzie di sicurezza private. Solo il collettivo Anonymus intervenne in aiuto di WikiLeaks. Quindi per Assange quel genere di incontro era stato organizzato allo scopo principale di acquisire in modo diretto alcune informazioni critiche e alcune conoscenze approfondite relative al modo di lavorare di WikiLeaks (Assange spazia molto e cita pure i Bitcoin).
In effetti bisogna considerare che “negli ultimi quarant’anni si è assistito a una proliferazione di think tank e Ong politiche il cui vero scopo, al di là delle chiacchiere, è sostenere certi programmi politici per conto terzi” (p. 26). Anche lo “Stockholm Internet Forum non potrebbe esistere senza i milioni di dollari di finanziamenti politici che riceve ogni anno”. E per una nazione di poco meno di dieci milioni di abitanti, vicino alla Russia, l’appoggio militare degli Stati Uniti è vitale.
Dal frizzante resoconto sembra che l’incontro sia servito di più ad Assange per conoscere meglio le direttive politiche di Google: “Schmidt era un osso duro… l’aspetto austero nascondeva la capacità analitica di una macchina. Spesso le sue domande puntavano dritto al nocciolo della questione… la sua specialità era costruire e mantenere in efficienza i sistemi: sia quelli informatici, sia quelli composti di esseri umani. Il mio era un mondo nuovo per lui, ma era pur sempre un mondo fatto di processi umani, effetti di scala e flussi d’informazione i continuo divenire” (p. 21). Le visioni politiche del fondatore di Google apparivano però troppo tradizionali e istituzionali.
Nel libro si parla anche della censura da eccesso di informazioni inutili o poco utili, che si ottiene producendo più rumore e meno segnale, e di quella basata sulla complessità estrema. Ad esempio le strutture finanziarie diventano estremamente complicate per evitare di essere regolamentate. Invece il modo migliore per evitare la censura tradizionale è questo: “Se si propagano le informazioni in modo veloce e sono in tanti a leggerle, l’incentivo a colpirti censurando quelle informazioni specifiche è pressoché inesistente. Potrebbero esistere invece motivazioni più serie per colpirti così da “educare” altri a non sfidare l’autorità costituita, oppure per minacciare la tua organizzazione a non riprovarci in futuro” (p. 65).
In definitiva Assange ci avverte del pericolo del monopolio informativo di Google, anche se per fortuna non si tratta di un monopolio del tutto mondiale (ha 70 uffici in 40 nazioni). Ad esempio i cinesi, che non sono nati il secolo scorso, non hanno permesso l’ingresso di Google nel loro paese. Ma forse i russi sono stati più intelligenti: probabilmente hanno fatto entrare i grandi esperti di algoritmi americani per studiarli meglio da vicino.
Per approfondimenti su questo libro, ricco di dettagli tecnici molto utili ai veri giornalisti: https://when.google.met.wikileaks.org, https://wikileaks.org/google-is-not-what-it-seems.
Per un altro approfondimento bibliografico: http://www.agoravox.it/Assange-e-l-agonia-della.html (Internet è il nemico, Feltrinelli, 2013, recensione del 25 giugno 2013).
Nota – All’interno del libro c’è anche l’intera recensione del libro di Schmidt e Cohen, The New Digital Age, apparsa il 2 giugno 2013 sul New York Times. La recensione “ha preceduto di poco la pubblicazione sul Guardian e sul Washington Post dei primi documenti segreti divulgati da Edward Snowden”. Il giudizio finale di Julian è questo: “La nuova era digitale è un seme sinistro destinato a germogliare… il male accentratore. Il libro resta tuttavia una lettura essenziale per chiunque sia coinvolto nella lotta per il futuro, in base a un semplice imperativo: conosci il tuo nemico” (p. 56).
Nota ottimista – “La maggior parte delle guerre del XX secolo sono scoppiate a seguito di qualche menzogna amplificata e diffusa dai media tradizionali… la gente non vuole la guerra e occorre propinare loro delle bugie per giustificarla. In altri termini, solo la verità può condurre alla pace” (p. 95).
Nota sul Frontline Club – WikiLeaks ha tenuto le conferenze stampa più importanti al www.frontlineclub.com, un famoso ritrovo londinese per giornalisti e corrispondenti di guerra.
Nota su Edward Snowden – I documenti divulgati da Snowden “rivelarono l’esistenza di Prism, un programma segreto che consentiva alla NSA di accedere ai server privati delle principali aziende internet, tra cui Microsoft, Skype, Facebook, Apple e Google” (p. 170). La National Security Agency è nata nel 1952 e insieme alla CIA e all’FBI si occupa della sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Nota americana – L’Associated Press ha valutato che “tra il 2004 e il 2009 i fondi spesi dall’industria bellica Usa, per “conquistare il cuore e le menti dei cittadini” sono cresciuti del 63 per cento, raggiungendo la cifra di 4,7 miliardi di dollari… Nel 2009, oltre 10.000 impiegati seguirono le attività di PR per un unico progetto, producendo 5.400 comunicati stampa, 3.000 servizi televisivi e 1.600 interviste” (nota a p. 153).
Nota finale – La missione principale di WikiLeaks è di ottenere informazioni importanti e decisive da cittadini, attivisti e giornalisti censurati e indipendenti, per “trasmetterle al pubblico e quindi difendersi dagli inevitabili attacchi legali e politici. Gli Stati e le organizzazioni più potenti cercano di impedire la circolazione delle informazioni diffuse da WikiLeaks, che a sua volta, come editore di ultima istanza, è stata progettata per resistere a questo genere di difficoltà” (p. 163).