Negli ultimi anni è stato insegnato tramite i racconti e le interviste pervenute dalle popolazioni sotto assedio la loro capacità di sapersi adattare al territorio ed alla povertà, utilizzando non solo il proprio istinto di sopravvivenza ma anche la genialità dell’intera comunità, condividendo tutto ciò che crei una possibilità di risorgere dal buio e dalla fame senza mai perdere il coraggio e la positività di vivere ogni giorno in maniera diversa.
Tra embarghi indetti dall’Egitto e dallo Stato d’Israele, l’enclave, in quest’ultimo periodo, ha visto la popolazione di Gaza trovarsi, ancora prima di Margine Protettivo che ebbe inizio nell’estate del 2014, in ginocchio, sia economicamente che psicologicamente. Si è trovata obbligata dalle forze politiche contendenti i territori e il silenzio delle nazioni occidentali a tornare alle origini, mettendo così da parte ciò che la comunità odierna reputa quotidianamente scontato. La pesca ad esempio è stata gravemente danneggiata dalle pompe a pressione dedite al pompaggio dell’acqua marina insediate dal governo egiziano per mettere in ginocchio il regime di Hamas, distruggendo i tunnel perché dichiarati passaggi illegali per attacchi terroristici e traffico di armi con il confine egiziano.
In Palestina, ma soprattutto nella Striscia di Gaza per molti definita terra di nessuno, la problematica sostanziale che incombe sulla popolazione resta la fornitura di energia elettrica, estremamente dispendiosa per il popolo a causa delle tariffe esorbitanti israeliane e del continuo boicottaggio delle centrali. Nelle famiglie spesso i componenti sono formati da anziani e minori impossibilitati quindi ad attingere ad un reddito, la condizione di un abitante dell’enclave è quella di trovarsi al buio nelle proprie abitazioni già nelle prime ore pomeridiane per settimane o mesi interi. Spesso le scuole e gli esercizi pubblici trovano improvvisamente l’oscurità all’interno di esse, le madri palestinesi raccontano dei propri bambini abituati da tempo a studiare al buio e nel periodo invernale in cui la luce del sole abbandona il cielo presto, non potendo così dare loro la possibilità di adempiere a semplici atti di natura quotidiana.
La centrale elettrica che fornisce energia alla Striscia di Gaza si trova nella zona di Jabalia a nord dell’enclave.
L’autorità che gestisce l’energia elettrica ha trovato più volte danni nelle linee di alimentazione, confermando che non sempre la mancanza è stata causata dalla mala gestione dello stato di Israele; nel marzo 2016 sono state aperte delle squadre di controllo per verifiche ed approfondimenti a causa dello scollegamento manuale delle maniglie di erogazione, della Striscia di Gaza, la linea 7, aveva anche fallito, le due linee forniscono circa 24 MW. Ad oggi dopo varie ricerche si è avuta la conferma pubblica che l’energia elettrica copra soltanto il 30% del fabbisogno della popolazione. Questo comporta problemi non indifferenti soprattutto in situazioni per la gestione della sicurezza all’interno di quei nuclei familiari in cui vi sono presenti minori, obbligando così l’accensione di fuochi al limite della sicurezza.
Più volte verifiche tecniche hanno appurato l’abbassamento degli interruttori per addirittura quattro giorni, la linea di alimentazione principale della rete elettrica gestita in parte dal governo egiziano, che fornisce un totale di 28 MW. Le centrali egiziane ed israeliane anche nel pieno della propria attività non sono in grado di soddisfare l’aiuto energetico richiesto quotidianamente, non potendo così assicurare alle scuole la possibilità di svolgere nel pieno la propria attività. Le linee infatti forniscono 230 MW, mentre la Striscia di Gaza per poter concedere ai propri abitanti una vita serena ed adeguata ad esigenze minime ne avrebbe bisogno di almeno 450 MW.
Sono all’ordine del giorno le controversie tra Hamas e le rappresentanze in Cisgiordania per il trasporto di carburanti per il quale l’autorità palestinese ha richiesto in diverse occasioni tassazioni eccessive, portando, solo nel 2015, in due diversi episodi, alla chiusura dell’intera centrale elettrica, obbligando così la popolazione a doversi arrangiare improvvisamente con candele e fuochi per il riscaldamento e il sostentamento. Poche le famiglie che possono permettersi economicamente un generatore autonomo mentre la maggior parte della popolazione si trova costretta ad indebitarsi per procacciarsi privatamente del carburante. Una bombola di cherosene costa mediamente 35 shekel; è bene comprendere che una famiglia di Gaza sopravvive usufruendo in media di un euro al giorno, il fornello adattato alla bombola di erogazione viene impiegato sia per scaldare la famiglia che per cucinare.
Durante l’operazione che durò 50 giorni, denominata in Occidente come Margine Protettivo mentre nei paesi arabi come Scogliera Solida, il bersaglio principale dell’aviazione israeliana fu proprio la centrale elettrica di Jabalia, mettendone fuori uso una parte e distruggendone un’ala importante e creando danni non solo alle strutture circostanti, privandole della luce, ma l’esplosione di svariati contenitori di combustibile crearono danni non indifferenti all’ambiente ed al territorio, costringendo le unità di soccorso ad accompagnare in ospedale soprattutto anziani e bambini a causa delle inalazioni altamente tossiche.
L’oro di Gaza, il giacimento naturale a 30 km dal porto
Sconvolgente è ancora oggi l’arenarsi della possibilità di usufruire dei giacimenti di gas naturale che Yasser Arafat, prima di morire, propose che venissero per diritto dati in dotazione alla popolazione palestinese, non dovendo così dipendere dallo stato d’Israele o dall’Egitto e tanto meno dall’autorità palestinese, trattasi di un giacimento di gas naturale sito solo poche decine di chilometri dalla zona portuale.
La maggior parte degli abitanti dichiara un errore la costruzione di questa centrale elettrica a causa delle richieste esorbitanti di denaro da parte dell’autorità palestinese, avvenute dopo la presa in carico del presidente Abu Mazen. L’autorità palestinese dichiara da anni che il danno sia in realtà causato dal governo di Hamas, accusato di trattenere il denaro del popolo palestinese e quindi di non consegnarlo per la chiusura dei debiti con le centrali di erogazione per l’energia elettrica; una realtà ancora più triste ci svela la situazione attuale, la popolazione si trova in realtà a vivere sotto la soglia di povertà impossibilitata così a far fronte alle richieste degli eccessivi pagamenti.
Lo stato d’Israele violò già nel 2003 il giacimento di gas naturale estraibile a 800 metri sotto il livello del mare, creando una piattaforma denominata Mari B, dando vita a due zone di estrazione, la Noa e la Noa Sud, il primo giacimento confina con la zona della West Bank, mentre la seconda e parte del primo giacimento di gas rientrano nel pieno territorio marittimo di proprietà della Striscia di Gaza.
Se venisse restituita la possibilità alla popolazione palestinese di ottenere energia da ciò che il sottosuolo ha loro donato, la loro possibilità di destreggiarsi nella quotidianità soprattutto nei periodi invernali renderebbe meno complesse le difficoltà di una popolazione costretta a vivere di stenti e continue violazioni da decenni.
Fotoreportage di Shadi AlQarra