Anna Pollio è insegnante in una scuola superiore di Genova; Lucio Basadonne, suo marito, è regista televisivo; Gaia, 7 anni, è la loro figlia. Insieme hanno girato uno splendido film documentario nel loro viaggio di 6 mesi durante il quale hanno percorso migliaia di chilometri in giro per l’Italia e in Europa. Tantissime ormai le proiezioni in Italia, il documentario sta riscuotendo e ha riscosso un successo che è andato oltre ogni aspettativa.
Anna, Lucio e Gaia hanno visitato realtà lontane dal loro modo di vivere, come ecovillaggi, famiglie itineranti, persone che hanno avuto il coraggio di cambiare radicalmente la loro vita e ricominciare daccapo a vivere secondo la loro natura e assecondando i loro veri bisogni. In 6 mesi hanno speso 600 euro in tutto, hanno usato il libero scambio di competenze, il baratto di casa, oggetti e tempo. Si sono arrangiati con il carpooling e l’autostop, hanno offerto il loro lavoro in cambio di vitto e alloggio. Hanno incontrato centinaia di uomini, donne e bambini che hanno fatto della loro stessa esistenza un esempio di cambiamento. Tutto è raccontato in Unlearning.
Per realizzare il vostro progetto di viaggio vi siete serviti dell’economia collaborativa. Che cos’è?
Il viaggio è una delle prime cose a cui rinunciare quando i soldi cominciano a scarseggiare. Noi però volevamo partire. Avevamo progettato un lungo viaggio e la nostra intenzione era di stare via sei mesi. Ma i soldi erano pochi. Così abbiamo pensato di barattare o “portare a reddito” tutto quello che possedevamo e scambiarlo con tutto quello che ci sarebbe servito. A partire dagli spostamenti. Abbiamo pensato a tutte le auto con una sola persona che viaggiano da una parte all’altra dell’Europa e siamo arrivati a Blablacar. Poi abbiamo usato Gnammo e il social eating, Reoose e il baratto, Timerepublik che è una sorta di banca del tempo,Wwoofing, Workaway e Helpx per il vitto e alloggio in cambio di lavoro.
Qual era il vostro obiettivo prima di partire?
Siamo partiti con una certa incoscienza ma se ci ragioni troppo un viaggio del genere non lo fai. Avevamo voglia di confrontare il nostro modello di vita, sentivamo il malessere della vita in città e l’urgenza di un maggiore contatto con la natura. Inoltre volevamo incontrare famiglie che erano riuscite a trovare delle strade alternative. Questo era il nostro vero obiettivo.
“Unlearning” significa “disimparare”. Che cosa avete disimparato durante la vostra esperienza di viaggio?
Abbiamo disimparato a tenere tutto sotto controllo e organizzare tutto perfettamente. Questo ci ha permesso di stare meglio e di dare spazio alle cose che possono succedere e non si possono prevedere. E’ stata per noi una bellissima scoperta. Come famiglia abbiamo disimparato a non prenderci tempo per noi, a mettere sempre prima di tutto il lavoro, a non ascoltarci.
Qual è la realtà che più vi ha impressionato in questo viaggio?
La nostra è stata un’esperienza molto forte e ci è rimasto qualcosa di tutti gli incontri. Una famiglia di Venezia ci ha molto colpito. Amanda, una psicologa, e Gibbo con i loro due figli ci sono rimasti dentro. Lavoravano nel sociale ma si sono resi conto a un certo punto che qualcosa non andava. Si sono licenziati e si sono trasferiti in Friuli, in campagna, mettendo su una fattoria. Lei ha messo in discussione tutta la sua esperienza e ha sentito la necessità a un certo punto di cambiare. Le loro considerazioni sono state simili alle nostre. L’esperienza di Amanda ci ha insegnato molto. Abbiamo incontrato moltissime persone che hanno intrapreso una vita che non era la loro ma quella che i loro genitori desideravano.
Se doveste usare un aggettivo per ogni gruppo di persone che avete incontrato: le donne, i bambini, gli uomini, gli animali…
Le donne… spiazzanti, i bambini liberi e a contatto con la natura, gli uomini tutti diversi l’uno dall’altro, gli animali che abbiamo incontrato in libertà e nel rispetto della loro natura.
Quali sono state le cose in comune e quelle profondamente diverse con le persone che avete incontrato?
Abbiamo incontrato persone molto diverse ma forse la cosa che ci ha accomunato è stato l’essere genitori. Poi abbiamo capito che i problemi possono essere gli stessi ma le strategie per risolverli molto differenti. Abbiamo visto che dipende molto anche dal contesto in cui vivi, da quanto sei legato al modello di famiglia di origine, se per te è importante stare dentro un modello sociale che ti gratifica economicamente oppure no, da che aspettative hai, se il contatto con la natura è così importante da poter rinunciare ai comfort della città. Noi abbiamo deciso di continuare a vivere in città perché la città ci ha dato la possibilità di crescere dal punto di vista professionale. Dal momento in cui siamo diventati genitori, però, ci siamo resi conto che ti toglie molto dal punto di vista delle relazioni umane e in città si delega: alla baby sitter, al nido, alla scuola materna, ad altri, in sostanza, la nostra vita. Per lavorare, per le distanze da percorrere…
Dopo aver visto realtà diverse e alternative al modello di vita cui eravate abituati, come è stato tornare alla vita di prima?
Sapevamo che saremmo rientrati nel modello che avevamo messo in discussione e quindi eravamo preparati ma è stato, comunque, abbastanza duro. Abbiamo continuato in un certo senso l’esperienza del viaggio occupandoci del documentario su cui abbiamo iniziato a lavorare. Questo ci ha dato un certo respiro. Ho preso la decisione di prendere un anno di aspettativa e siamo ripartiti da nostra figlia. Abbiamo deciso di provare l’esperienza dell’homeschooling, lavorando sull’apprendimento libero e la pedagogia esperienziale. Lo stiamo facendo insieme ad altre famiglie e questo ci rende molto felici. Si tratta di un progetto educativo su base Montessoriana, e non è una delega in bianco alla scuola. Noi genitori decidiamo molte cose tra noi e con gli educatori, e poi facciamo i volontari, dall’organizzazione alle pulizie. Anna, per esempio, il mercoledì fa laborarorio di pittura, Lucio il martedì fa il laboratorio di cartoni animati per i bambini; un’altra mamma madrelingua insegna inglese… Il progetto si chiama Officina del Crescere, e per i bambini è un punto di riferimento fondamentale; così tutti lo chiamiamo “La scuolina”. Anna sta studiando questa parte della pedagogia che è molto interessante e una grande opportunità di confronto. Questa esperienza è molto interessante non solo per Gaia ma anche per noi genitori. E’ un altro modo di vivere il tempo.
Dal punto di vista delle relazioni sia di coppia che insieme a Gaia, quali differenze avete notato rispetto al periodo in cui vivevate in città? Molti problemi familiari sono dovuti alla nostra mancanza di tempo per le nostre relazioni. Qual è stata la vostra esperienza?
E’ stato il primo periodo della nostra vita in cui siamo stati sempre insieme. Abbiamo imparato a fare squadra e ad affrontare tutto insieme. Siamo usciti dalla nostra zona di comfort e abbiamo imparato ad avere a che fare con esperienze sempre nuove. Questo ci ha molto unito e ci ha fatto pensare che è davvero importante. Al rientro questo aspetto ci è mancato molto. Per il momento siamo sempre nella casa in cui eravamo ma siamo aperti a ogni possibilità. Prima di partire mi sono resa conto di essere una sorta di bancomat e che tutto il mio lavoro non serviva altro che a pagare le spese, stando continuamente dietro a bollette e pagamenti vari. Ma la vita non può essere solo questo.
C’è stato un momento in cui avete avuto paura o sentito particolarmente la fatica?
Non una vera e propria paura ma una sorta di timore che poi si è dissolto col tempo, durante il viaggio. C’è stata la fatica, quella sì, di fare un viaggio senza comodità e il doversi adattare ma sostanzialmente più che la paura e la fatica, la cosa che ha caratterizzato il nostro viaggio è stata la fiducia.
Al momento quali sono i vostri progetti a breve termine? Avete in programma un altro viaggio?
Sì, al momento Lucio e Gaia vogliono andare al Polo Nord ma non abbiamo ancora deciso cosa fare. Stiamo cercando di provare a fare un’altra esperienza di viaggio sempre attraverso lo scambio di lavoro.
Dalla vostra esperienza è nato un bellissimo film documentario:“Unlearning”. Anche la distribuzione nelle sale di questo film è avvenuta in modo alternativo. Cos’è esattamente Movieday?
Unlearning è un progetto totalmente indipendente. Siamo partiti senza sponsor. Abbiamo solo fatto un crowdfunding all’inizio per il noleggio delle attrezzature. E in modo indipendente è stato portato in giro tutta l’estate e l’autunno. Ci siamo alternati io e Lucio proiettando molto nelle associazioni. Poi Antonello Centomani di Movieday ha visto il nostro film a Milano, gli è piaciuto e abbiamo iniziato a collaborare. Movieday è una piattaforma americana che è stata portata in Italia da Antonello e il suo staff e che stravolge il modo di concepire il cinema. Non è più lo spettatore che subisce la programmazione ma è lui stesso che chiede al cinema il film che vuole vedere. I cinema che sono nel circuito di Movieday danno la possibilità alle persone di creare degli eventi e di scegliere il film che vogliono vedere. Succede soprattutto per i documentari che non vengono distribuiti o per film d’autore ma che non interessano alle sale. Abbiamo fatto, in questo modo, moltissime proiezioni e ci ha dato la possibilità di avere visibilità. Lo stesso vale per molti autori che altrimenti non potrebbero far conoscere le loro opere.
Che effetto vi fa vedere che ci sono persone di tutte le età e di ogni estrazione alle vostre proiezioni?
E’ un’emozione grandissima ogni volta. Unlearning insinua dei dubbi, non pretende di dare soluzioni o medicine. E’ un invito alla fiducia e a rimboccarsi le maniche.
Gaia, tu che cosa hai imparato durante il tuo viaggio?
Ho imparato a mungere le mucche, le pecore e le capre: devi schiacciare un po’ con il pollice e l’indice la mammella della pecora ed esce il latte. E’ molto divertente.
Racconta un’esperienza speciale che hai fatto con gli animali a parte mungere le pecore?
Sì, una volta ho salvato un rospo.
Sei in contatto con i bambini che hai conosciuto durante il viaggio?
Con alcuni sì. Una volta ci sono venuti a trovare Cosimo e Arturo con la loro mamma dalla Sicilia e sono stata molto contenta di rivederli. Poi quando siamo andati a proiettare il film abbiamo rivisto altre famiglie. Altri sono venuti a trovarci a casa ma ho conosciuto così tanti bambini che adesso non mi ricordo.
La cosa più divertente che ti è successa?
La cosa più divertente è stata fare il bagno nel fiume gelato e per poterlo fare mi aggrappavo al mutandone di papà.
Qual è la cosa che ti è piaciuta di più e quella che ti è piaciuta di meno?
Quella che mi è piaciuta di meno è stata la nostalgia dell’altalena e della mia cameretta. Poi una volta mi è scappato il cavallo e questo non mi è piaciuto.
Tu hai fatto la prima elementare in una scuola tradizionale e adesso, invece, fai homeschooling. Quale esperienza ti piace di più e perché?
Mi piace di più questa perché a scuola dovevo stare sempre seduta e le maestre mi dicevano cosa dovevo fare, se potevo andare a fare la pipì, quando potevo fare una pausa, mi davano i compiti. Invece adesso sono più libera. Ci sono bambini più grandi di me e più piccoli e facciamo tutto: studiare, aiutare gli altri bambini, fare le gite. E poi non ci sono i banchi!
Anna, che cosa significa per voi adesso la parola “Cambiamento”?
Il Cambiamento per me arriva da un ascolto profondo di se stessi e da un’attenta riflessione personale. Cambiamento significa agire in modo conseguente a ciò che sentiamo in modo importante e autentico.