Dimenticatevi la signora Banks, che nel film musicale “Mary Poppins” torna a casa da una manifestazione inneggiando garrula al voto alle donne e cerca di coinvolgere nella sua battaglia cuoca, cameriera e bambinaia, proclamando, lei ricca signora: “Siamo le forze del lavoro!”
Come racconta il bel film “Suffragette”, della regista inglese Sarah Gavron, in realtà la lotta per ottenere il diritto di voto è stata lunga e durissima: picchiate durante le manifestazioni, arrestate di continuo, sbattute in prigione per settimane e mesi, sottoposte alla pratica brutale dell’alimentazione forzata quando facevano lo sciopero della fame, derise o ignorate dalla stampa e – salvo rare eccezioni – maltrattate e umiliate da mariti e familiari furiosi per la loro ribellione – le suffragette inglesi hanno dovuto superare enormi resistenze e affrontare prove terribili prima di arrivare, nel 1928, alla piena concessione del diritto di voto.
Anche perché la loro rivendicazione metteva in discussione un sistema di valori, una mentalità e una realtà sociale e politica basata sull’inferiorità “naturale” della donna e sulla disuguaglianza legalizzata: basti pensare che solo un secolo fa le donne potevano sposarsi a 12 anni e che dopo le nozze non avevano alcun diritto, nemmeno sui figli, o che per lavori estenuanti con orari lunghissimi venivano pagate meno degli uomini (pratica purtroppo vigente ancora oggi).
La regista descrive questa vicenda come “una storia mai raccontata”, che non viene insegnata a scuola, o al massimo è presentata in tono edulcorati (appunto alla Mary Poppins). Uno dei meriti del film è dunque quello di mostrare la violenza brutale di poliziotti e carcerieri e i metodi estremi di disubbidienza civile adottati dalle suffragette, stanche di essere ignorate e perseguitate, seguendo lo slogan “Fatti, non parole”, lanciato dalla leader del movimento Emmeline Pankhurst (fondatrice con le sue figlie della Women’s social and political union – Unione sociale e politica delle donne). Le attiviste fanno saltare in aria le cassette della posta e tagliano i fili del telegrafo, impedendo così le comunicazioni, spaccano a sassate le vetrine e arrivano a distruggere con l’esplosivo la casa – vuota – che il primo ministro Lloyd George si sta facendo costruire in campagna. Azioni estreme, appunto, ma pianificate sempre in modo da danneggiare solo cose e non persone.
Altro merito del film, ispirato a fatti reali avvenuti tra il 1912 e il 1918, è quello di mostrare il percorso umano dalla sottomissione alla ribellione attraverso il personaggio inventato ma realistico di Maud Watts, giovane lavandaia che lavora da quando ha sette anni, molestata dal padrone e considerata una proprietà dal marito. L’incontro con le suffragette cambia la sua vita, ma unendosi a loro Maud pagherà un prezzo altissimo. Altre figure presenti nel film riuniscono le caratteristiche di persone realmente esistite, mentre alcune sono personaggi storici veri e propri, come Emmeline Pankhurst ed Emily Davison. A quest’ultima è affidato il drammatico episodio finale, divenuto un caso mondiale dopo il quale la stampa non può più ignorare la battaglia per il diritto di voto.
Tornando al presente, suscita tristezza e rabbia l’idea che oggi votare significa spesso turarsi il naso e scegliere il candidato meno mostruoso. Allo stesso tempo però la coraggiosa determinazione delle suffragette alimenta la speranza nella possibilità di cambiare anche le situazioni più difficili e costituisce un esempio e uno stimolo per ridare senso e valore a un diritto conquistato a così caro prezzo.