“Risultati o Retorica? Tutto quello che non sapevate sull’Aiuto Pubblico allo Sviluppo europeo per la Salute” . Questo il titolo del Rapporto di Azione per la salute globale presentato il 27 novembre a Roma. Il documento evidenza le gravi inadempienze da parte dei maggiori paesi europei.
Le principali economie dei paesi europei membri dell’OCSE non rispettano gli impegni assunti per la salute globale. Nel 1970 con una risoluzione delle Nazioni Unite tali paesi s’impegnarono a devolvere lo 0,7% del Prodotto Interno Lordo (PIL) in aiuto pubblico allo sviluppo per la salute. Nel 2001, la Commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomandò di finanziare la salute globale con lo 0,1% del PIL.
Il Rapporto di Azione per la salute globale (Action for Global Heath – AfGH) presentato a Roma il 27 Novembre evidenzia le gravi inadempienze da parte dei maggiori paesi europei.
Il Report dal titolo “Risultati o retorica? Tutto quello che non sapevate sull’Aiuto pubblico allo sviluppo europeo per la salute” divulga le analisi e i dati più recenti relativi all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) per la salute delle principali economie europee, come Germania, Francia, Paesi Bassi, Regno Unito, Italia, Spagna. La ricerca mostra che, eccezion fatta per il Regno Unito e i Paesi Bassi, gli altri paesi non hanno ancora raggiunto l’obiettivo dello 0,1% del PIL di aiuti per la salute globale con inevitabili conseguenze per milioni di persone del pianeta.
Per comprendere la portata delle argomentazioni è bene enfatizzare alcuni numeri: la spesa media pro-capite per la salute nei paesi a basso reddito è stimata in 20 dollari annui (per alcuni paesi l’ammontare è anche inferiore) mentre quella dei paesi occidentali si stima in 947 dollari. Il target da raggiungere per dare una mano non indifferente ai paesi più svantaggiati è quello di 44-60$ pro-capite, ciò che garantirebbe alle popolazioni dei paesi più poveri l’accesso ai servizi sanitari essenziali. Indirizzare agli aiuti per la salute globale lo 0,1% del PIL dei paesi sviluppati occidentali equivarrebbe a colmare il gap raggiungendo il target base dei 44-60$ che, per intenderci, salverebbe 8 milioni di vite all’anno.
Nonostante le buone intenzioni, tuttora esiste una forte disparità tra i livelli di spesa attuali per l’APS e gli impegni sottoscritti dai paesi sviluppati in un contesto in cui, tra l’altro, la percentuale di aiuti per la salute globale è in diminuzione per quasi tutti i paesi donatori. Ma non è tutto, approfondendo l’analisi, emerge che esiste un divario ancora più netto in merito alle risorse reale concesse ai paesi più poveri se dal conteggio si escludono le spese che non contribuiscono direttamente alla salute globale. Alcuni paesi, come Francia e Germania, ad esempio, fanno ricorso a prestiti ai paesi a basso e medio reddito piuttosto che alle sovvenzioni.
Per quanto riguarda l’Italia, il contributo si è notevolmente ridotto passando da 647 milioni di dollari nell’epoca dorata del 2008 a 338 nel 2010 mentre, secondo una stima di AfGH, nel 2011 gli aiuti si attesterebbero intorno ai 345 milioni di dollari. Si tratta di un contributo pari a circa lo 0,017% del PIL, ben lungi dall’obiettivo dello 0,1%.
Francia, Germania, Italia e Spagna insieme contribuiscono a creare un divario di oltre 6,2 miliardi di dollari. In altre parole, per il raggiungimento della quota dello 0,1% del PIL e per fornire un serio aiuto alla salute globale occorrerebbe che i paesi citati trasferissero ancora risorse reali pari a quell’importo.
Dal rapporto emerge che Le principali economie dei paesi europei membri dell’OCSE non rispettano gli impegni assunti per la salute globale
Chi viene promosso? Il Regno Unito ed i Paesi Bassi ma anche alcuni paesi nordici come Svezia, Norvegia, e poi il Lussemburgo e l’Irlanda.
Interessante il modello del Regno Unito che, in piena crisi economica, ha preferito blindare il budget destinato all’APS. Il governo britannico ha costruito la sua strategia su quattro assi: lo slogan “value for money” con l’idea veicolata alla popolazione che gli aiuti sono realmente benefici nelle realtà più povere e quindi sono soldi pubblici spesi per una giusta causa, il forte coinvolgimento di partner della società civile e delle ONG, una divulgazione ed un’informazione sistematica sullo sviluppo internazionale attraverso i canali mediatici ed infine, aspetto più utilitaristico, il considerare l’APS come un ulteriore leva per le relazioni e gli affari con l’estero.
Numeri, cifre, statistiche sulla base delle quali è giusto ragionare e pianificare per agire e ridurre il gap tra il nord e il sud del mondo, quanto meno in merito alla salute e alla mortalità. Ma spesso gli aiuti sono anche affari ed affarismo, interessi dei finanziatori privati e degli Stati.
È bene ricordare qualcosa che in molti sembrano avere dimenticato nei lustri trasformando anche la salute in merce: il diritto alla salute. C’è una bella sfida politico-culturale da raccogliere!