Quello che è successo a Gaza è una Hiroshima al rallentatore. Le immagini restituiscono la stessa distruzione totale di Hiroshima e Nagasaki. Il numero di vittime e paragonabile.
In Giappone ad opera degli USA come in Palestina per mano di Israele si è trattato di un atto terroristico che ha fatto enormi vittime fra i civili senza distinzione alcuna, anche se in contesti storici molto diversi. A Gaza invece che in pochi secondi tutto è avvenuto nel corso di 15 mesi e se non c’è stato lo strascico di radiazioni che ha continuato a uccidere per anni in Giappone, là c’è comunque uno strascico di odio che rischia di ripercuotersi per generazioni.
Netanyahu con la sua azione criminale ha indubbiamente rafforzato Hamas. Non possiamo però nemmeno dimenticare che la scintilla il 7 ottobre è stata l’impresa altrettanto criminale e sciagurata di Hamas. Intervenire contro i civili, sparando all’impazzata contro i ragazzi che partecipavano a una festa, fare strage nei kibbutz contro uomini, donne e bambini, molti dei quali probabilmente erano pacifisti, lasciare sul terreno più di 1.000 vittime in un solo giorno, portare via centinaia di ostaggi tra cui vari bambini piccoli, è stato il modo peggiore per cercare di affermare i diritti dei palestinesi.
Naturalmente è vero che l’orrore insopportabile di Gaza di questi 15 mesi non parte dal 7 ottobre 2023 ma ha una genesi che va indietro a ripetizione nel tempo ed è scandita da guerre (1948, 1967, 1973), intifada, occupazione illegale della Cisgiordania da parte dei coloni ebrei, provocazioni ebraiche sulla spianata delle moschee, attentati palestinesi, ecc. ma il dato di fatto che rende questo conflitto particolarmente difficile da risolvere è che non si confrontano una parte che ha tutte le ragioni e un’altra che ha tutti i torti, a meno che si prenda parte in modo non obiettivo, ma due ragioni contrapposte.
Ci sono ragioni dei palestinesi e ragioni degli israeliani, diritti legittimi degli uni e degli altri, che non potranno mai essere affermati con le armi e l’odio. Se abbiamo la capacità di cogliere quello stretto spiraglio di luce che penetra nella cappa di tenebre in cui è precipitato quel territorio martoriato, per usare l’aggettivo con cui il Papa definisce l’Ucraina, vediamo la luce dei “combattenti per la pace”.
Pochi ma in aumento, non piegati nemmeno dai fatti del 7 ottobre e dalla strage di Gaza. La via non può essere che quella della riconciliazione, della nonviolenza, del riconoscimento empatico dell’umanità degli “altri”. Come il palestinese Bassam Aramin finito nelle carceri israeliane, picchiato a ripetizione, che a un certo punto si ricorda di un film sull’Olocausto che aveva visto “Era la prima volta che provavo empatia (…) Ho capito lentamente che l’oppressione israeliana era la conseguenza dell’orrore subito con l’Olocausto e ho cercato di capire qualcosa di più sugli ebrei.”
Inizia il dialogo con una guardia carceraria, nasce un’amicizia con la guardia che diventa sostenitore della causa palestinese. Un poliziotto nel 2007 gli uccide a sangue freddo e senza motivo la figlia di 10 anni che era fuori dalla scuola. Bassam sta ancora lottando per far condannare il poliziotto ma afferma anche “La morte di Abir avrebbe potuto portarmi sulla facile strada dell’odio e della vendetta ma per me non c’è stato ritorno dalla dimensione del dialogo e della nonviolenza . E’ stato un soldato israeliano a sparare a mia figlia. Ma cento ex soldati israeliani hanno costruito un giardino a suo nome dinanzi alla scuola in cui è stata uccisa”.
Tante testimonianze come questa sono racchiuse nel libro curato da Daniela Bezzi “Combattenti per la Pace” presentato recentemente anche a Biella a cura del Coordinamento per la Palestina e dal circolo Tavo Burat di Pro Natura di cui faccio parte.
Testimonianze che dovrebbero illuminare la strada da percorrere. L’unica che può condurre alla pace e al riconoscimento dei diritti reciproci. Una strada certo in salita e piena di curve ma che reca alcune indicazioni: “Empatia” “ Una terra su cui c’è posto per tutti” “Basta con le armi”.
Sono convinto che per la conformazione che ha assunto nel tempo la distribuzione ad arcipelago delle comunità palestinesi la soluzione non sia nei due Stati (slogan ripetuto anche da chi agisce in modo opposto e alimenta il fuoco) ma in un solo Stato, una sorta di Confederazione Israelo-Palestinese o Palestino-Israeliana in cui siano riconosciuti i diritti di tutti.
Uno Stato con una Costituzione da costruire (Israele non ha una costituzione e questo potrebbe facilitare l’operazione) per nuovi orizzonti di pace e convivenza tra culture e religioni come su piccola scala è stato realizzato a Neve Shalom. Naturalmente oltre a piangere per le decine di migliaia e di civili palestinesi massacrati e per gli oltre 1000 israeliani vittime del 7 ottobre non possiamo infine dimenticare gli ostaggi in mano ad Hamas. Sono ancora alcune decine. Esercitare l’empatia significa anche non dimenticarsi anche di loro, dell’ingiustizia che stanno subendo da più di un anno e del dolore che provano i loro cari. Che anche loro, una volta liberati, possano diventare messaggeri di pace.