La liberazione di Kobane segna il declino dello stato islamico e dà inizio alla liberazione della Siria del Nord e dell’Est. Nel giro di tre anni, al costo di più di 20mila caduti, le SDF libereranno un terzo del territorio siriano, fino ai confini con l’IRAQ.
Nei territori liberati dalle forze rivoluzionarie già dal 2011 è stata messa in atto una sperimentazione politica e sociale unica al Mondo. E’ stato costruito un nuovo modello sociale, chiamato Confederalismo Democratico, dove l’amministrazione della cosa pubblica è affidata alle assemblee popolari, dove la cooperazione è alla base dell’economia, dove il rapporto con la natura ha importanza centrale, dove le donne hanno acquistato un ruolo primario nella conduzione della società, dove la lotta al patriarcato viene praticata a livello culturale e pratico.
Ma ciò che accade in Siria del Nord e dell’Est subisce l’oscuramento mediatico. Gli eroi anti ISIS sono stati ben presto dimenticati e lasciati soli in un teatro bellico dove è permanente lo scontro fra vari interessi imperialisti.
Ancora più grave è l’assordante silenzio che ha coperto le criminali azioni della Turchia di Erdogan, che dal 2016 conduce una dura e sporca guerra contro l’Amministrazione Democratica e Autonoma della Siria del Nord e dell’Est.
L’esercito turco, spalleggiato dalle milizie jihadiste, a partire dal 2016, ha condotto ben quattro operazioni in territorio siriano. Nel 2016 con l’operazione “Scudo dell’Eufrate”, le truppe di Erdogan dividono il cantone di Afrin da quello di Kobane per evitare la continuità territoriale del Rojava rivoluzionario.
Nel 2018 con l’operazione “Ramoscello d’Ulivo”, le truppe di Ankara e le milizie jihadiste attaccano il distretto di Afrin (territorio a larga maggioranza curda) costringendo alla fuga più di 200mila residenti. Il cantone di Afrin era stato uno dei luoghi più sicuri di tutta la Siria ed in esso si erano rifugiati migliaia di profughi provenienti da Aleppo e altre zone della Siria sottoposte a intensi combattimenti, fino al 20 gennaio 2018, quando è iniziato l’intervento militare turco, accompagnato da bombardamenti aerei e di artiglieria.
Il 18 marzo 2018 Afrin viene conquistata dall’esercito turco e delle milizie jihadiste. L’occupazione turca genera l’esodo di decine di migliaia di civili che abbandonano le proprie case cercando di raggiungere altre regioni della Siria e gli altri cantoni della Confederazione della Siria del Nord, per sottrarsi ai tagliagole jihadisti.
Va sottolineato che l’occupazione turca di Afrin è avvenuta con il silenzio/assenso del governo di Damasco e del suo principale alleato la Russia. L’aviazione siriana e quella Russa non hanno mai tentato di riprendere il controllo dello spazio aereo sul cantone. I russi ad Afrin avevano anche un distaccamento di paracadutisti, che è stato prontamente evacuato prima dell’ingresso degli occupanti turchi. Gli stessi Stati Uniti, che avevano sostenuto le milizie dell’Ypg e Ypj nella guerra allo stato islamico, non hanno fatto nulla contro l’intervento turco.
Il disinteresse mediatico per le sorti del Rojava è evidente anche nell’ottobre del 2019 quando Erdogan dà il via alla terza operazione contro le Ypg nelle aree di Al Hasakah, con l’intento di creare una fascia di sicurezza di 10 km oltre il confine. Anche questa volta Statunitensi, Russi e regime di Damasco restano a guardare. Il tutto nel pieno disprezzo del diritto internazionale.
Ma il silenzio continua. Mentre i riflettori mediatici sono concentrati sul conflitto Israelo/palestinese ciò che accade in Rojava non trova adeguato spazio sui media. In Rojava è iniziata la quarta operazione militare orchestrata dal regime di Ankara.
Approfittando del caos creato dal rovinoso crollo del regime dispotico e sanguinario di Assad, dal ritiro delle milizie sciite e dei militari russi dalla Siria, la Turchia ha dato mano libera all’Esercito Nazionale Siriano (SNA, creatura di Ankara di chiara ispirazione jihadista) per scatenare l’offensiva militare contro la Siria del Nord e dell’Est.
L’offensiva delle milizie filoturche ha visto, oltre l’esodo forzato di più di duecentomila persone, il massacro di intere famiglie, la violenza sistematica contro le donne, e il macabro rito delle decapitazioni delle combattenti curde. Le bande del SNA hanno scatenato il terrore nei quartieri, nelle scuole e persino negli ospedali dei diversi centri abitati strappati alle forze rivoluzionarie. I jihadisti e l’esercito turco stanno prendendo di mira le infrastrutture nevralgiche per la sopravvivenza del Rojava in termini di depositi alimentari, silos, acqua, elettricità e collegamenti.
I danneggiamenti provocati dai bombardamenti turchi della diga sull’Eufrate rendono possibile una catastrofe ambientale. Migliaia di famiglie rischiano di rimanere senz’acqua, vasti territori possono venire inondati. Il rischio di vedere distrutte le conquiste raggiunte in questi anni dall’Amministrazione autonoma democratica del Nord e dell’Est (Daaes) è concreto.
Dopo la conquista di Tell Rifat e di Manbij l’SNA si è diretto verso la diga di Tishrin per aprirsi la strada verso Kobane, città simbolo della resistenza curda.
La resistenza delle SDF si sta concentrando sulla diga di Tishrin e al ponte di Qara Qozaq sull’Eufrate, per fermare l’attacco alla città di Kobane.
Le SDF stanno resistendo e le offensive jihadiste vengono per ora respinte. La controffensiva delle forze democratiche viene sostenuta da decine di migliaia di persone che sono scese in piazza per supportare la resistenza.
Come è già stato durante la battaglia di Kobane a difendere la diga di Tishrin, assieme a migliaia di siriani, inquadrati nelle YPG, ci sono anche tante e tanti combattenti internazionalisti, che testimoniano la portata strategica della difesa della rivoluzione del Confederalismo Democratico in Rojava.
Il piano di Erdogan di annientare l’esperienza della Siria del Nord si inserisce perfettamente nella partita strategica che si sta giocando in Siria: da un lato il progetto di una Siria Democratica Confederale e dall’altro il disegno accentratore, patriarcale e jihadista che vede nel nuovo padrone di Damasco Al-Jolani il suo massimo esecutore.
Da un lato l’Amministrazione Democratica Autonoma della Siria (DAAES) che sta cercando di costruire una società di libere e liberi e uguali, con il rispetto massimo per la natura e dove le donne, che hanno un ruolo centrale nella società, vengano liberate dai legacci della cultura e pratica patriarcale. Dall’altro uno Stato diretto dall’ex-terrorista jihadista Al-Jolani che sta imponendo il suo programma reazionario a suon di esecuzioni settarie, umiliazione delle minoranze religiose, svilimento dei programmi scolastici e marginalizzazione delle donne.