Non è facile né gradevole scandagliare questo abisso di malvagità, eppure io penso che lo si debba fare, perché ciò che è stato possibile perpetrare ieri potrà essere nuovamente tentato domani, potrà coinvolgere noi stessi o i nostri figli

Primo Levi, da I sommersi e i salvati

Questo è il titolo dell’incontro a  cura di Maiindifferenti – Voci ebraiche per la pace tenutosi domenica 19 gennaio nel salone gremitissimo della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano. Malgrado, per quanto riguarda la stampa tradizionale e non, sia stato citato dalla sola Radio Popolare lunedì 13 nella trasmissione sui diritti condotta da Danilo De Biasio alle 7,05 del mattino e annunciato da Pressenza il 7 gennaio, il tam tam e passaparola sui social ha funzionato.

Dopo l’introduzione di Jardena Tedeschi, che ha presentato al pubblico i membri del comitato organizzatore, ha ricordato le ragioni della nascita di Maiindiffernti e l’obiettivo dell’incontro – non solo affermare l’esistenza di posizioni diverse all’interno dell’ebraismo italiano, ma anche proseguire la riflessione su temi scottanti e ineludibili – sono stati invitati sul palco prima di tutto gli esponenti delle associazioni ebraiche che hanno aderito all’iniziativa: Moshe Bassano di LƏa, Laboratorio ebraico antirazzista e Francesco Cataluccio di Gariwo.

LƏa, anch’essa di formazione recente, ha iniziato a operare con comunicati, documenti e azioni come raccolte firme, flashmob per distinguersi dalle posizioni ufficiali delle Comunità ebraiche. Il loro desiderio è scardinare alcuni stereotipi sia verso gli ebrei sia verso i palestinesi; combattere contro l’antisemitismo reale e non certo contro quello che annovera l’esibizione della bandiera palestinese fra le sue espressioni. Inoltre, affronta una questione che si riproporrà nel corso dell’incontro: l’accostamento fra il Giorno della Memoria, quindi memoria della Shoà, e i massacri a Gaza. Cita un libro tradotto di recente in italiano, Shoà e Nakba, dove si afferma che non sono le immagini speculari della stessa tragedia ma che, tuttavia, l’ebreo perseguitato e il palestinese scacciato dalla sua terra possono diventare le immagini speculari della sofferenza umana, a patto che non si abbandonino all’illusione di ideologie esclusiviste come il nazionalismo.

Il titolo dell’incontro è stato invece oggetto di critica da parte di un successivo intervento, quello di Gadi Shoenheit dell’Ucei (l’Unione delle Comunità ebraiche italiane). A parere del relatore, la seconda parte del titolo avrebbe dovuto essere “ricordare al tempo di Gaza, Ucraina, Kurdistan, Siria…” senza concentrarsi su Gaza, perché altrimenti l’accostamento porta logicamente alla parola “genocidio”. Shoenheit contesta che quanto avvenuto a Gaza lo sia… In ogni caso, Shoenheit era stato invitato per illustrare la pluralità delle posizioni all’interno delle comunità ebraiche – “Il dibattito all’interno delle comunità ebraiche”, questo il tema del suo intervento – che sono dovute soprattutto alle diverse appartenenze culturali, di rito religioso e origine geografica. Ricorda la folta presenza in Italia di ebrei provenienti dai Paesi di cultura arabo-musulmana, con un retroterra molto diverso da quelli di cultura europea. Secondo Shoenheit, avrebbero anche loro diritto al ritorno nelle loro terre di origine. Peccato però, che i loro Paesi d’origine siano o semidistrutti o governati da regimi di stampo dittatoriale.

In precedenza aveva parlato Francesco Cataluccio a nome di Gariwo (Gardens of the Righteous Worldwide), l‘associazione i Giardini dei Giusti[1], su “Le vie del dialogo oggi”. Cataluccio ha additato il nemico contro cui bisogna combattere in ogni tempo e luogo: l’ODIO. Lo si può affrontare solo con l’educazione e l’esempio, raccontando le storie dei giusti, del bene che si afferma sul male. Così Gariwo oggi appoggia chi, in Medio Oriente, è alla ricerca di una strada diversa da quella segnata dal tracciato guerra-distruzione-massacro reciproco come se fosse ineluttabile. E sostiene realtà come Nevè Shalom Wahat al-Salam, un villaggio in cui fra mille difficoltà convivono da molti anni israeliani ebrei e palestinesi con cittadinanza israeliana. Cataluccio conclude con l’invito a seguire l’esempio di chi ha combattuto e combatte l’odio senza voltarsi dall’altra parte, per trovare un percorso comune e la riconciliazione.

A rinforzare queste parole, segue il collegamento con le due codirettrici dell’associazione israelopalestinese Combatants for Peace (Combattenti per la pace), Rana Salman ed Eszter Koranyi, il cui intervento è stato preceduto dalla proiezione del video in cui alcuni membri del gruppo raccontano il loro incontro, quando decisero di deporre le armi per raggiungere pacificamente una soluzione equa del conflitto. Rana ed Eszter poi ci parlano delle attività al presente, dei loro membri che non sono più necessariamente ex combattenti, delle relazioni con altri gruppi pacifisti in Israele come Standing Together, Breaking the Silence e diversi altri con cui si uniscono in varie manifestazioni. Soprattutto importante ci è sembrata l’osservazione di Eszter secondo la quale essendoci due donne alla direzione del gruppo, nell’ultimo anno si sono sviluppate serenamente le attività senza fermarsi e senza conflitti al loro interno: essere donne, un valore aggiunto.

Seguono gli interventi di David Calef (ha lavorato con ONG e agenzie ONU nell’Africa subsahariana, in Medioriente e in Ucraina. Scrive di temi ebraici e rapporti della diaspora con Israele) e Stefano Levi Della Torre (pittore, saggista e autore di numerosi libri, è stato docente alla Scuola di architettura del Politecnico di Milano).

Il discorso di Calef – “I dilemmi dell’ebraismo nel XXI secolo” – si concentra intorno a una premessa che conduce a una domanda. Se è molto probabile che a Gaza i crimini contro civili inermi siano stati commessi dall’apparato politico-militare per spirito di vendetta, la domanda che ne consegue è: in che stato di salute versa la variante di ebraismo in ascesa in questa fase storica?

Per rispondervi, il relatore compie un salto storico all’indietro. Quando gli ebrei si trovavano dispersi nei vari Paesi del mondo, l’oppressione di altre popolazioni non rientrava né nelle loro possibilità né nelle loro vocazioni, rivolte invece a dare importanti contributi alle culture nel cui seno, nel bene e nel male, erano immersi. Una volta però creato lo Stato e nel giro di una ventina d’anni, le posizioni si sono ribaltate: da una condizione di estrema fragilità, a rischio addirittura di estinzione, gli ebrei sono diventati dal ’67 in particolare, in Israele ma anche simbolicamente nella diaspora, oppressori di popolazioni. Tale nuova collocazione è stata ed è tuttora giustificata dall’assunzione dello statuto di “vittime per eccellenza” a causa della Shoà: vittime innocenti allora e vittime innocenti per sempre anche quando commettono crimini, in nome di una difesa sempre considerata dal pericolo di estinzione. È un paradigma che l’ebraismo dovrà affrontare nel prossimo futuro ed è per contrastare questa sua versione che è stata organizzata l’iniziativa del 19 gennaio.

L’intervento di Stefano Levi Della Torre, dal titolo “Dall’aggressione di Hamas ai massacri di Israele nella guerra contro i palestinesi”, è estremamente politico. Propone un ragionamento a partire da alcune parole/concetti chiave: riconoscimento reciproco, antagonismo collusivo, cogliere/offrire l’occasione.

Riconoscimento reciproco. Durante la Prima intifada i soldati israeliani, di fronte ai ragazzi palestinesi che lanciavano pietre, si erano resi conto che dietro di loro non c’erano delle organizzazioni terroristiche ma un popolo e viceversa, i ragazzi palestinesi si erano resi conto che dietro i soldati non c’era solo un apparato militare, ma c’era un popolo. Questo riconoscimento reciproco aveva determinato la svolta di Oslo. Ora invece assistiamo alla sua completa distruzione.

Antagonismo collusivo, che porta al terzo concetto chiave: cogliere/offrire l’occasione. Hamas e destra israeliana sono antagonisti, ma nello stesso tempo complici nel negare il riconoscimento reciproco. Perciò Hamas ha offerto alla destra israeliana la spaccatura dei palestinesi e, con l’attacco del 7 ottobre, l’occasione per liquidare una volta per tutte la questione palestinese. Lasciandola marcire, la destra israeliana ne ha reso Hamas il portabandiera; spaccando e distraendo la società israeliana con la paventata riforma della giustizia, ha offerto al nemico l’occasione per sferrare l’attacco del 7 ottobre.

Non volendo essere considerato solo il massacratore di palestinesi inermi e cercando di recuperare un po’ di prestigio politico, il governo israeliano ha sferrato l’aggressione allargata contro gli sciiti (Iran, Libano, Siria) in nome di mezzo mondo, modificando gli assetti in Medio Oriente. Ma gli è rimasto addosso l’orrore dei crimini contro l’umanità, travolgendo tutto l’ebraismo e provocando la crescita dell’antisemitismo, la cui tradizione è secolare. Ora, al pregiudizio si unisce il postgiudizio: le azioni di Israele suonano come una conferma del pregiudizio antisemita. Se la degenerazione del senso comune nel mondo ebraico è uno dei fronti di molti fronti, il fronte principale tuttavia è la forma odierna di fascismo che attraversa l’Occidente sostenendo la lotta di classe dei ricchi contro i poveri, la democrazia, l’ambiente, la pace e la giustizia.

Video dell’incontro: https://www.youtube.com/watch?v=Bz35-X2LSGo
Sito: https://www.maiindifferenti.it/

[1]Per conoscere le ragioni d’essere e l‘attività di Gariwo, vedi https://it.gariwo.net/giardini/