In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, “Farmaci. Luci e ombre”, il professor Silvio Garattini si è soffermato su un tema scottante, oggetto della medicina di genere: “Le donne ricevono farmaci che sono stati studiati solo nel maschio”. Maggiori quindi gli effetti avversi.
Intervistato nei giorni scorsi da TgCom 24 e da Roberto Palladino per il podcast Science, please, il noto farmacologo, fondatore e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, ha sottolineato una delle problematiche più importanti, “cioè che le donne ricevono farmaci che sono essenzialmente studiati nel maschio. Non si fanno studi nella femmina, quindi la femmina riceve il risultato e la dose e la durata che è stata studiata per il maschio”. Ma gli organismi di uomini e donne non sono uguali, e nemmeno le malattie. “Questo deve cambiare, giova al mercato ma non giova evidentemente alle donne, le quali a causa di questa situazione hanno il 40% in più di effetti tossici da farmaci rispetto ai maschi”. Non è dunque un caso che sia nata la medicina di genere.
È noto che uomini e donne differiscano per molti aspetti dal punto di vista genetico, epigenetico e ormonale e ciò causi notevoli differenze nella fisiologia e nello sviluppo e manifestazione delle malattie. Le donne hanno un cromosoma diverso dall’uomo, hanno una situazione ormonale completamente differente, un sistema immunitario più efficace di quello degli uomini.
Se misuriamo nel sangue di donne e uomini 130 parametri ben 102 sono differenti. Dal punto di vista metabolico le donne sono più sensibili degli uomini all’insulina, le donne accumulano i grassi, mentre gli uomini li utilizzano di più per scopi energetici. Si potrebbe continuare nella descrizione delle differenze legate al sesso (le donne hanno le coronarie più piccoli rispetto agli uomini), alle quali si dovrebbero aggiungere le differenze di genere, ancora poco conosciute in medicina, cioè quelle legate alle caratteristiche sociali in cui si costruiscono l’identità, le relazioni, i comportamenti caratteristici degli uomini e delle donne alle varie età dell’infanzia, della maturità e della vecchiaia.
Eppure queste differenze non sembrano essere la preoccupazione di chi deve sperimentare farmaci sicuri ed efficacie per entrambi i sessi.
L’approvazione di nuovi farmaci viene attualmente realizzata a livello dell’EMA (European Medicines Agency) sulla base delle regole dettate dalla legislazione europea. In pratica, i nuovi farmaci, per essere autorizzati, devono garantire tre importanti caratteristiche: “qualità, efficacia e sicurezza”. Questi elementi sono adeguati per farmaci che agiscono sui sintomi o malattie per i quali non siano autorizzati altri trattamenti, ma non sono sufficienti quando siano già disponibili altri farmaci per la stessa indicazione terapeutica. Infatti, spesso non sappiamo se il nuovo farmaco sia meglio o peggio rispetto a quelli già esistenti, perché mancano studi di confronto oppure perché come controllo si usa il placebo invece del migliore trattamento in uso nella pratica clinica. Questa è una situazione inaccettabile da un punto di vista etico, soprattutto quando si tratta di malattie gravi e croniche, e che va chiaramente a vantaggio delle industrie che commercializzano i farmaci e non della salute pubblica.
Lo scenario cambierebbe completamente se la legislazione stabilisse l’approvazione dei nuovi farmaci sulla base di “qualità, efficacia, sicurezza e valore terapeutico aggiunto”. In questo caso sarebbe necessario fare studi comparativi e dimostrare che il nuovo farmaco migliora esiti importanti di efficacia e/o sicurezza rispetto alle alternative disponibili. Di conseguenza se il nuovo farmaco fosse uguale o inferiore a ciò che abbiamo già non verrebbe approvato; se dimostrasse di essere superiore, gli altri farmaci non avrebbero più ragione di essere utilizzati.
Come è noto, il percorso di ricerca necessario per arrivare all’autorizzazione di un nuovo farmaco è molto lungo e complesso. In linea generale inizia con studi preclinici in vitro e poi in vivo su varie specie animali. Questi modelli nella stragrande maggioranza sono maschi, a meno che non si tratti di una malattia che colpisce solo le donne, e giovani.
Peggio ancora è la situazione delle donne perché negli studi clinici controllati vengono incluse solo quando già la maggior parte delle caratteristiche del farmaco sono state acquisite nell’uomo. Non solo, ma vengono inserite in una percentuale insufficiente e ciò avviene per varie ragioni incluso il rischio di una possibile gravidanza. Si stima che per circa il 75% degli studi di fase 3 non sia possibile stabilire il livello di efficacia per l’uomo e per la donna e quindi anche i dati relativi alla femmina vengono accorpati a quelli dei maschi.
Inoltre, il fatto che non sappiamo quale sia la reale efficacia del farmaco nella donna non ci permette di calcolare con precisione il cosiddetto NNT (Number Need to Treat), cioè quante persone dobbiamo trattare perché una abbia un vantaggio.
Come scrissero Rita Banzi e Silvio Garattini qualche anno fa: “Non è etico continuare con le attuali modalità cioè, utilizzare farmaci studiati prevalentemente negli uomini nelle donne. Probabilmente è addirittura illecito. Occorre quindi un grande sforzo e un cambio di prospettiva in cui prevalga il buon senso, per rendere obbligatori i due protocolli per i farmaci di futura approvazione. Non bisogna però dimenticarsi che dovremmo studiare approfonditamente anche l’efficacia e la tossicità per la donna dei farmaci attualmente utilizzati. L’Europa con i suoi Paesi deve rispondere con urgenza e sanare questa ingiustizia nei confronti delle donne.”
https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/01/25/donne-uomini-silvio-garattini-medicinali-incriminati/7851430/
Silvio Garattini e Rita Banzi, La Medicina penalizza le Donne
https://www.saluteinternazionale.info/2023/12/la-medicina-penalizza-le-donne/
Laura Corradi su servizio sociale e differenze di genere: https://www.youtube.com/watch?v=FcmGjRY4bMQ
https://www.istisss.it/2018/01/25/servizio-sociale-differenze-genere/