“Manifestazioni, marce, dichiarazioni sono alcune delle armi – ormai spuntate – nel repertorio degli attivisti politici tradizionali; bisogna rinnovarle” ha sostenuto Patrick Boylan all’assemblea costitutiva del Coordinamento NoNATO tenutasi a Bologna lo scorso 8 dicembre ed ora visibile sulla piattaforma Odysee.
Cosa significa rinnovare? Significa far tesoro del concetto gramsciano di egemonia e puntare, oltre alla mobilitazione di massa, sulla conquista degli spazi occupati dagli “intellettuali organici al sistema”. Ciò vuol dire portare il pensiero antimilitarista e anti NATO nei mass media, nelle riunioni delle amministrazioni locali, nelle aule scolastiche e universitarie, nelle assemblee degli ordini professionali, nella produzione artistica e letteraria a tutti i livelli e via discorrendo. “In altre parole, bisogna fare meno comizi per i già convertiti e più interventi negli spazi che formano davvero l’opinione pubblica,” sostiene il co-fondatore delle associazioni Rete NoWar, Free Assange Italia e U.S. Citizens for Peace & Justice.
Rinnovare significa anche elaborare meno prese di posizione in documenti poderosi letti soltanto da un ristretto cerchio di attivisti e ricorrere di più a prese di posizione formulate in brevi messaggi veicolati dai social media e dal video giornalismo. “In altre parole,” conclude Boylan, “meno Word e PowerPoint e più TikToc, Instagram e canali YouTube.”
Segue il breve intervento di Boylan a Bologna, “La lotta No NATO contro la propaganda di guerra e per l’egemonia culturale.”
Antonio Gramsci si era chiesto perché non ci siano state, nei Paesi capitalistici evoluti, le rivoluzioni comuniste che Karl Marx aveva invece previsto. La sua risposta è che Marx aveva sottovalutato il potere antirivoluzionario degli strati intermedi di queste società – i cosiddetti “intellettuali organici al sistema”, ad esempio i funzionari statali e municipali, i giornalisti, i sacerdoti, gli insegnanti, i ricercatori, gli iscritti ai partiti politici, ecc.
Il loro peso complessivo, scriveva Gramsci, frenava ogni tentativo di rivolta. Questi intellettuali organici convincevano anche buona parte delle masse operaie che bisognava far funzionare meglio il sistema attuale, non rovesciarlo. Invece in Russia e in altri Paesi del cosiddetto Terzo Mondo, questi strati intermediari non erano altamente sviluppati, né ben radicati. Ecco perché lì le rivoluzioni comuniste hanno potuto prendere piede.
Credo che questo concetto gramsciano dell’egemonia culturale vada posto al centro della nostra lotta contro le guerre della NATO e contro la propaganda usata per venderle.
Se abbiamo difficoltà a far giungere il nostro messaggio alla gente comune, è proprio perché costoro vengono condizionati dagli intellettuali organici al sistema. Possiamo denunciare quanto vogliamo la mano della NATO dietro la guerra in Ucraina, dietro il conflitto in Siria e persino dietro il genocidio a Gaza – le persone comuni stentano a crederci; continuano a percepire la NATO come un’alleanza di cui hanno bisogno, un’alleanza che le protegge, oltre a proteggere, nel mondo, la democrazia.
Come togliere, strato dopo strato, l’indottrinamento a cui la gente comune è stata sottoposta, sin dall’infanzia – sì, proprio a partire dalle visite scolastiche alle caserme NATO e dai videogiochi per ragazzi, la cui creazione viene sovvenzionata dal Pentagono per glorificare la guerra? Cosa possiamo fare noi contro tutto ciò?
Se seguiamo Gramsci, ciò che NON dobbiamo fare in primo luogo è cercare di convincere le masse stesse. Dobbiamo invece cercare di convincere (o sostituire) soprattutto gli intellettuali organici al sistema, coloro che contribuiscono ad elaborare il senso comune che le masse poi fanno proprio. Ciò significa rivolgerci direttamente ai funzionari statali e municipali, ai giornalisti, ai sacerdoti, agli insegnanti, ai ricercatori, agli iscritti ai partiti e via discorrendo.
Ecco perché ritengo che non bastino le nostre manifestazioni No NATO, anche se grandiose. Certo, ci rincuorano e questo è sempre una buona cosa, ma servono solo marginalmente ad aprire gli occhi a chi non è già convinto. A gran parte dei passanti per strada, le nostre grida “No NATO” sembrano folklore di altri tempi e basta.
Meglio allora ricorrere a messaggi mirati agli interessi di specifiche categorie di intellettuali organici, con iniziative, anche pubbliche, rivolte a loro. In altre parole, mentre cerchiamo, sì, di informare le masse, cerchiamo soprattutto di persuadere gli intellettuali organici.
Ecco tre esempi.
– Primo, la categoria dei funzionari statali e municipali: cerchiamo di far votare mozioni antiguerra o NoNato dai nostri consigli comunali. Impatto nazionale, zero. Ma impatto sulle coscienze dei cittadini di quelle municipalità, tantissimo.
– Secondo, la categoria dei giornalisti: cerchiamo di pubblicare fact checking che smentiscono quelli dei redattori mainstream per chiamare in causa la loro professionalità; così informiamo il pubblico dei fatti mentre persuadiamo i redattori a rivedere le loro narrazioni, pena la gogna;
– Terzo, la scuola: sostenere le iniziative per smilitarizzare le scuole e, in piccole riunioni che teniamo plesso per plesso, persuadere gli insegnanti a smettere di osannare la pace genericamente (il che lascia il tempo che trova) e a svelare invece l’imperialismo e il patriarcato insiti in ogni guerra. Se ci riusciamo, le lezioni di storia di quegli insegnanti non saranno più le stesse.
Per lo stesso motivo, ritengo che non basti far circolare grossi documenti sapientemente articolati, come, ad esempio, la dichiarazione programmatica per il Coordinamento No NATO. Nella sua forma attuale, questo bel documento rischia però di venir letto solo dagli addetti ai lavori, cioè noi. Cerchiamo invece di suddividerlo, indirizzando ogni pezzo a un pubblico specifico di intellettuali organici al sistema.
Prendiamo, come esempio, le associazioni di giuristi e i gruppi di studenti che riusciamo a creare nelle Facoltà di Diritto. Potremmo fare un breve documento per loro riunendo i paragrafi della Dichiarazione Programmatica che riguardano l’illegalità della presenza NATO in Italia e farlo dibattere dagli stessi giuristi o studenti di legge.
Potremmo poi estrarre altri brani riguardanti i poligoni NATO e l’inquinamento ambientale, per fare un breve documento da far discutere dai gruppi ecologisti in Italia.
Infine, possiamo fare un maggior uso degli strumenti informatici e dei social media. Potremmo, ad esempio, estrarre le parti della Dichiarazione Programmatica che riguardano la “militarizzazione della società” per fare brevi video Tik Tok per i giovani, che ironizzano sui percorsi di alternanza scuola-lavoro in aziende del comparto militare-industriale, oppure grafiche Instagram dissacranti postate sui canali di influencer che esaltano “la NATO che ci difende”.
In conclusione, la lotta No NATO è anche e soprattutto una lotta per l’egemonia culturale. E’ una lotta che prende di mira soprattutto gli intellettuali organici al sistema e che cerca di sostituirli con intellettuali organici alle classi lavoratrici. E’ una lotta che mira a creare, nell’intera popolazione, un senso comune nuovo, davvero anti guerra e davvero antimperialista.