1. Lo Stato di diritto è la base costitutiva della democrazia e si basa sul principio di separazione dei poteri e sul rispetto del principio di legalità, al quale devono piegarsi anche coloro che governano e le autorità amministrative, che devono agire sempre, nell’esercizio del potere, rispettando la legge, nell’ordine gerarchico delle fonti normative stabilito dalla Costituzione (art.117). L’ordinamento delle Nazioni Unite, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Costituzione italiana, si basano sul riconoscimento di diritti fondamentali e di garanzie individuali, oltre che sui diritti di partecipazione, riconducibili allo Stato di diritto.
Nel corso degli anni la materia dell’immigrazione e dell’asilo, prima nel linguaggio dominante, poi con una serie di decreti legge, ha costituito il campo privilegiato per sperimentare e poi realizzare un completo sovvertinento di questo concetto, in materia di detenzione amministrativa, con riguardo ai soccorsi in mare, quindi nei casi più recenti delle procedure in frontiera. Con un aumento esponenziale della discrezionalità politica ed amministrativa, in nome delle esigenze di sicurezza pubblica e di “difesa dei confini” che da slogan elettorali sono ormai diventati canoni interpretativi che arrivano ad orientare persino le scelte dei giudici. Come si sta cercando di fare, riuscendo a condizionare ambiti specifici della magistratura, in materia di “difesa dei confini , di soccorso in mare e di protezione internazionale. Anche quando vengono lesi diritti fondamentali della persona e si viola palesemente il principio di uguaglianza davanti la legge. Ma per qualcuno la natura politica dell’atto lo sottrae a qualsiasi controllo giurisdizionale.
Eppure, anche l’atto politico, ed ancora di più i provvedimenti amministrativi, dovrebbero rimanere nell’alveo del principio di legalità. Se dunque esiste una norma che disciplina il potere, che ne stabilisce limiti o regole di esercizio, per quella parte l’atto è suscettibile di sindacato giurisdizionale. Con la sentenza n. 81 del 2012, la Corte costituzionale ha stabilito che gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate.
2. Il disegno di legge contenente “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” (AC. 1660-A), che la maggioranza di governo si accinge ad approvare in via definitiva al Senato (AS.1236), contiene una serie di norme che violano lo Stato di diritto ed i principi fondanti della democrazia, a partire dalle garanzie della libertà personale (art.13). Con altri provvedimenti di legge in corso di approvazione, come quelli sulla separazione delle carriere dei magistrati e sulla revisione costituzionale della forma Stato, si accrescono i poteri dell’esecutivo e degli organi centrali e periferici di polizia, a scapito dell’equilibrio dei poteri e delle garanzie democratiche fissate dalla Costituzione repubblicana.
Sul disegno di legge “sicurezza” si sono recentemente espressi l’OSCE, il Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa e da ultimo sei Rapporteur delle Nazioni Unite per l’Alto Commissariato ai diritti umani con una lettera al governo italiano, resa pubblica il 16 gennaio scorso. Tra i diritti che verrebbero lesi dal provvedimento per effetto della introduzione di nuove fattispecie penali che fanno rinvio in sede di applicazione ad interpretazioni discrezionali, se non arbitrarie, il diritto alla libertà personale, la libertà di circolazione, il diritto di manifestare pubblicamente, fortemente compressi dai maggiori poteri attribuiti alle forze di polizia. Con previsioni che lasciano poco spazio ai controlli giurisdizionali.
La violazione di principi di rilievo costituzionale come il principio di proporzionalità della pena, o la sua finalità rieducativa, caratterizza l’intero provvedimento in corso di approvazione al Senato, e si manifesta in campi diversi, dal diritto ad un processo equo alla revoca della cittadinanza, dalla detenzione femminile, anche con minori, alla nuova formulazione della resistenza passiva, dalla ipotesi di occupazione di case al regime carcerario e persino alla disciplina dei soccorsi in mare. Si tratta di un disegno legislativo dirompente che segna il punto di non ritorno verso quello che si potrebbe definire democrazia illiberale, se non vero e proprio Stato di polizia. L’intervento del governo in materia di sicurezza è davvero a tutto campo, e va in ogni aspetto a limitare diritti di libertà, persino come la libertà scientifica e didattica, tradizionalmente riconosciuta nel principio di autonomia universitaria. L’articolo 31 del provvedimento, già approvato alla Camera, impone a università ed enti di ricerca l’obbligo di collaborare con i servizi segreti (DIS, AISE e AISI) derogando alle norme che tutelano la riservatezza, ed al principio di garanzia dell’autonomia della ricerca e della formazione universitaria.
3. L’articolo 8 del disegno di legge introduce modifiche al Codice Penale, per contrastare l’occupazione arbitraria di immobili adibiti a domicilio altrui. In particolare, il nuovo articolo 634-bis del codice penale punisce con la reclusione fino a sette anni chiunque, con violenza o minaccia, occupi o detenga senza titolo un immobile adibito a domicilio altrui, ovvero impedisca il rientro nello stesso immobile del proprietario o di chi lo detenga legittimamente. Come rileva l’OSCE, Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, la nuova normativa non offre garanzie di un giusto processo, soprattutto perché un potenziale sfratto sembra possibile anche senza l’ordine preventivo di un tribunale, e non tiene conto delle circostanze personali dell’occupante e delle possibili ripercussioni sui legami sociali e familiari, inclusa la potenziale condizione di senzatetto.
L’articolo 10 del disegno di legge, introduce nuove misure amministrative preventive, concedendo all’autorità di polizia il potere di limitare l’accesso alle infrastrutture di trasporto pubblico e alle relative strutture per le persone che sono state denunciate o condannate – nei cinque anni precedenti – per specifici reati minori contro la persona o la proprietà (come accattonaggio, ubriachezza, oltraggio al pudore e prostituzione). Come rileva l’OSCE, “Non c’è alcun riferimento alla supervisione giudiziaria. Inoltre, la sospensione della pena per questi reati è subordinata all’imposizione da parte del tribunale di un divieto di accesso alle aree in questione”.
L’articolo 11 del disegno di legge aumenta la pena amministrativa comminata a coloro che ostruiscono con il proprio corpo la libera circolazione del traffico su strada ordinaria, trasformando il già esistente illecito amministrativo in delitto penale, esteso anche ai casi di ostruzione di strada ferrata. Anche in questo caso si prevede una ampia discrezionalità da parte delle forze di polizia nella valutazione dei fatti concreti, e delle relative responsabilità, in contrasto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo che in diversi casi ha sottoposto a scrutinio la legittimità delle scelte restrittive della polizia. Secondo l’OSCE, “inasprire la severità della punizione non solo appare
sproporzionato, ma anche potrebbe avere un effetto paralizzante sull’esercizio del diritto di libertà di riunione, e dovrebbe essere riconsiderato completamente”. La disobbedienza civile pacifica, non violenta, non può essere mai considerata come un reato.
L’articolo 14 del disegno di legge propone degli emendamenti agli articoli 336 e 337 del
codice penale in materia di violenza o minaccia a pubblici ufficiali. Viene introdotta una circostanza aggravante per quei casi in cui la condotta prevista nell’articolo 336 (Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale) e nell’articolo 337 (Resistenza a un pubblico ufficiale) del codice penale sia posta in essere proprio nei confronti di ufficiali e agenti di polizia o delle forze dell’ordine. Al riguardo l’OSCE richiama il principio dello Stato di diritto, e la “Rule of Law Checklist” della Commissione di Venezia, secondo cui “la Rule of Law richiede l’assoggettamento universale di tutti alla legge. Ciò implica che la legge deve essere applicata in modo uguale e attuata in modo coerente. L’uguaglianza, però, non è un mero criterio formale, ma deve concretizzarsi in un trattamento sostanzialmente uguale. Per raggiungere questo risultato, delle differenziazioni potrebbero dover essere tollerate, se non addirittura necessarie”. l’OSCE rileva tuttavia come “si dovrebbero prendere in considerazione sia tutte le circostanze attenuanti, che operano a favore dell’accusato, sia le circostanze aggravanti a sostegno di una pena più severa. Al momento, il disegno di legge manca di un meccanismo di bilanciamento delle circostanze del reato.” E in questa grave carenza si potrebbe riscontrare, in una prospettiva costituzionale, anche la violazione del principio della personalità della responsabilità penale (art. 27, primo comma, Cost.).
4. L’articolo 21 del disegno di legge propone di estendere l’applicazione di misure detentive nei confronti dei comandanti delle navi qualora non obbediscano agli ordini della Guardia di finanza impegnata in attività di prevenzione e contrasto al traffico di migranti via mare e all’’immigrazione illegale. Come osserva l’OSCE, “Le nuove sanzioni detentive proposte, applicabili al capitano di navi nazionali in caso di disobbedienza agli ordini di fermo della Guardia di Finanza o in caso di atti di resistenza, ed estensione delle sanzioni penali ai capitani di navi straniere per disobbedienza agli ordini di navi da guerra nazionali, rischiano anche di impattare ulteriormente e indebitamente sul lavoro delle organizzazioni umanitarie che conducono operazioni di ricerca e soccorso di migranti in mare.” Si tratta evidentememte dell’ultimo atto della guerra contro i soccorsi in acque internazionali operati in questi anni dalle ONG, dopo una raffica di procedimenti penali che si sono conclusi con provvedimenti di archiviazione delle accuse formulate nella maggior parte dei casi proprio dalla Guardia di finanza. Adesso, invece di accertare le responsabilità di chi ha oggettivamente rallentato con accuse calunniose i soccorsi civili in alto mare, si accrescono i poteri discrezionali per sanzionare i comandanti delle navi che svolgono attività di ricerca e salvataggio. L’obiettivo che si prefigura, allo stato attuale della collaborazione delle autorità italiane con guardie costiere di paesi che non rispettano i diritti umani, è la sanzione penale di quei comportamenti di “disobbedienza” dei comandanti delle navi che non vogliono riconsegnare ai libici o ai tunisini i migranti soccorsi in acque internazionali, come potrebbe accadere in futuro, se ricevessero un ordine in tal senso proveniente dalla Guardia di finanza. La stessa Guardia di finanza che nel 2009 riconsegnava ai libici decine di naufraghi soccorsi in acque internazionali, con un respingimento collettivo illegale che ha comportato nel 2012 la condanna dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo, sul caso Hirsi. Oggi si vuole aggirare quella condanna con i nuovi respingimenti collettivi delegati alle sedicenti guardie costiere “libiche” e tunisine, sotto la sorveglianza ed il tracciamento di Frontex che opera a sua volta in diretto collegamento con la Guardia di finanza italiana.