Nelle prossime due settimane ci attende un ingorgo di commemorazioni civili. Il 26 gennaio la giornata della memoria e del sacrificio degli alpini, il giorno successivo la giornata della memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, 1il 10 febbraio il giorno del ricordo dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata.
La prima di queste ricorrenze, la giornata della memoria degli Alpini è stata individuata dalla legge 44 del 2022 in riferimento alla battaglia di Nikolajewka del 26 gennaio 1943 in occasione della ritirata degli alpini dal fronte russo. Gli aspetti che vorrei mettere in rilevo sono due: da una parte la inopportuna scelta di una data immediatamente a ridosso del giorno della memoria della Shoà, dall’altra la scelta simbolica di un evento legato alla guerra fascista d’invasione dell’Unione Sovietica.
Innanzitutto ricordiamo brevemente il contesto storico. Nell’estate 1942 Mussolini decise di incrementare il Corpo di spedizione italiana in Russia (Csir) trasformandolo in Armir (8a Armata italiana in Russia). Gli alpini nell’Armir con le loro tre divisioni erano ben 60.000 su 230.000 uomini. A dicembre 1942 l’offensiva sovietica sul Don aveva consentito il completo accerchiamento delle truppe italiane. Gli studi dello storico Giogio Rochat e i libri di Nuto Revelli e Mario Rigoni Stern, presenti al fronte, sono concordi nell’individuare la vittoria dei sovietici nella impreparazione militare e mancanza di riserve e di materiali degli italiani che tra l’altro ricevettero il permesso di arretrare solo il 17 gennaio 1943 quando oramai l’accerchiamento era completo. Il 26 gennaio 1943 alcuni reparti della Divisione Tridentina riuscirono a rompere l’accerchiamento sovietico nella battaglia di Nikolajevka e consentirono la ritirata di alcune decine di migliaia di italiani, tedeschi e romeni. Le conseguenze per l’Armir furono comunque disastrose: 84.000 tra caduti e deceduti in prigionia, appena 10.000 tornati vivi a volte anche ad anni di distanza dai campi di prigionia in Unione Sovietica.
Perché mai allora è stata scelta la data di una battaglia legata a una guerra d’invasione del regime fascista fra tutte le altre possibili? E’ evidente che gli alpini oggi sono guardati giustamente con rispetto ed ammirazione dalla gran parte degli italiani per quanto hanno fatto e fanno con la loro associazione nazionale nella protezione civile e nella solidarietà, quindi per un impegno sostanzialmente civile e post bellico. Basti pensare all’eccezionale contributo dato in occasione del terremoto del Friuli del 1976 o in occasione della più recente pandemia da Covid-19.
Poteva essere scelta la data del 15 ottobre (il Corpo è stato fondato il 15 ottobre 1872) oppure il 6 maggio in ricordo del terremoto in Friuli e invece è stata scelta una data legata a un episodio bellico fascista e a ridosso in modo imbarazzante del 27 gennaio. Secondo diversi storici è sempre stato più agevole e rassicurante raccontare la data cruciale delll’uscita dalla guerra in Russia che non l’anno e mezzo precedente che ha visto le truppe italiane a fianco dei nazisti ad aggredire un altro Paese. Veniva insomma messo l’accento solo sull’evento finale, difensivo delle proprie vite, che ha caratterizzato la ritirata rivestendolo di eroismo per i sopravvissuti e di sacrificio per i caduti, stendendo un velo sui 18 mesi di guerra fascista di aggressione. La scelta selettiva di una battaglia in cui gli italiani sono presentati come vittime o eroi non aiuta a fare i conti con la propria storia esaminando in modo oggettivo e globale il contesto in cui sono maturate le avventure belliche fasciste. Questa sorta di processo di rimozione e di isolamento della sola battaglia di Nikolajevka era particolarmente presente nei decenni della guerra fredda. Ma il percorso che ha portato alla scelta della data del 26 gennaio è stato di carattere politico ed è interessante esaminarne il percorso.
Nel 2018, primo firmatario Guglielmo Golinelli, la Lega aveva presentato un disegno di legge in cui si mischiavano in modo confuso popolarità degli alpini (l’ANA fondata nel 1919 ha ben 350.000 aderenti), impegno nella protezione civile e nella solidarietà, interesse nazionale, difesa della sovranità. E alla fine veniva proposta una data che con l’impegno civile che rende così benvoluti gli alpini non ha nulla a che fare e nemmeno con la difesa della sovranità nazionale visto che si tratta di un evento legato a una odiosa guerra fascista di aggressione. Il disegno di legge condiva il testo con richiami alla solidarietà e al sacrificio ma in sostanza si trattava di una lettura revisionista della campagna di Russia proposta come difesa di sovranità nazionale qualche migliaio di chilometri a est dei nostri confini.
Tuttavia incredibilmente la legge 44 nel 2022 passava pressoché all’unanimità con un solo astenuto. Una mescolanza di ignoranza della storia, superficialità, accondiscendenza da parte dei parlamentari, è probabilmente all’origine dell’esito. Va poi rilevato che sarebbe stato bene consultare gli storici durante l’iter che ha portato alla approvazione delle legge, cosa che mai è stata fatta. L’Ana ha espresso ovviamente soddisfazione per l’istituzione della giornata dedicata agli alpini ma non è stata parte in causa nella scelta della data. Anzi nel maggio 2022, 39 ex ufficiali alpini avevano scritto al Presidente della Repubblica manifestando dissenso per la scelta di tale data. Anche le principali associazioni di ricerca storica avevano scritto subito alla presidente del senato Casellati manifestando la propria contrarietà per la data prescelta oltre che per la pratica di accumulare ricorrenze civili.
A maggio a Biella ci sarà l’adunata nazionale degli alpini, un’occasione per fare festa e per rinnovare l’impegno solidaristico dell’associazione, chissà se ci sarà anche un momento di riflessione culturale intorno alla data scelta per la loro festa civile.