Continuano le proteste in tutta la Serbia; nonostante le pressioni del governo, lo scorso fine settimana in migliaia sono scesi in piazza a Belgrado, Novi Sad, Niš e Kragujevac per manifestare contro il regime del presidente Vučić e chiedere giustizia per la tragedia di Novi Sad. In piazza insieme agli studenti tutte le categorie sociali.
Nuovo fine settimana di mobilitazione in tutta la Serbia
BELGRADO. A pochi passi dai palazzi del parlamento e del municipio, domenica 12 gennaio centinaia di studenti schierati di fronte alla Corte costituzionale sono rimasti immobili, con gli occhi coperti da una benda bianca. Attorno a loro in segno di solidarietà migliaia di cittadini – 28.000 per la precisione, stando ai conteggi dell’organizzazione indipendente Arhiv javnih skupova. Oltre alle mani insanguinate, diventate simbolo della protesta, ora anche le bende sugli occhi, che riflettono la cecità della classe dirigente di fronte a questa gigantesca manifestazione di massa.
Come da prassi dopo il tragico primo novembre, data del crollo della tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad, in Vojvodina, che costò la vita a 15 persone, i presenti hanno osservato i canonici quindici minuti di silenzio in omaggio alle altrettante vittime dell’incidente. Dopo questo rito, un enorme boato di fischi, colpi di tamburi e pentolame ha fatto vibrare l’aria della capitale, mentre un oceano di persone scandiva gli slogan che rimbombavano tra gli edifici del centro.
Quella stessa domenica anche a Niš, nel sud del paese, le strade e le piazze si sono riempite di gente, mentre il giorno prima è stata Novi Sad a manifestare di fronte alla sede dell’agenzia di intelligence BIA per chiedere un “incontro amichevole”, alludendo alle telefonate fatte dagli agenti dell’ente ai genitori degli studenti in rivolta affinché incoraggiassero i figli a cessare le proteste.
Una protesta sempre più catartica che si sta diffondendo in tutta la Serbia, da Belgrado a Novi Sad, passando per Kragujevac e Niš. Il fil rouge che unisce le principali città del paese è la protesta contro il regime del presidente Aleksandar Vučić e il sistema giudiziario serbo, accusato di essere al servizio della politica.
Il bisogno di giustizia
Giustizia è ciò che pretendono i cittadini serbi, tanto che lo slogan più diffuso sugli striscioni dei manifestanti è un semplice quanto diretto: “Vogliamo giustizia“. Ma sugli striscioni si legge anche: “Difendiamo la Costituzione, quando ci difenderà?” o anche “Dimissioni, galera“. Il popolo chiede a gran voce che qualcuno si assuma la responsabilità della tragedia di Novi Sad, una responsabilità che è sembrata da subito politica e che ha infiammato la coscienza collettiva contro la corruzione del regime di Vučić e gli atti criminali del suo governo.
Le proteste riflettono un profondo malcontento nei confronti del governo sempre più autocratico del presidente serbo: se da un lato Vučić dichiara formalmente di voler guidare la Serbia verso l’adesione all’Unione Europea, dall’altro viene accusato di limitare le libertà democratiche anziché promuoverle. La Serbia di Vučić è un paese che sta cadendo a pezzi, vittima di corruzione dilagante, manipolazione dei mass media e di una sistematica repressione delle libertà di pensiero e di espressione.
Ad oggi le richieste degli studenti di accedere ai dossier per stabilire i colpevoli del crollo della tettoia della stazione di Novi Sad sono rimaste inascoltate. Non solo: la procura ha impiegato oltre un mese per dare spiegazioni in merito all’aggressione ai danni di alcuni studenti lo scorso 22 novembre. Tempistiche che dimostrano ancora una volta che né la polizia, né la procura, né le istituzioni statali nel loro complesso ritengono che il rispetto della legge sia una priorità del paese. Delle cinque persone mandate a processo per questi fatti (tutti membri del Partito progressista serbo del presidente Vučić), solo due sono state ascoltate, a conferma dello status di degrado che dilaga nel sistema giudiziario serbo. Goran Vesić, ex ministro dei Trasporti, dell’edilizia e delle infrastrutture, si è dimesso quattro giorni dopo l’incidente. Dopo essere stato posto in detenzione provvisoria per alcuni giorni, è stato rilasciato.
Mani insanguinate e occhi bendati
Pare insomma che per il momento il governo non abbia alcuna intenzione di assumersi le responsabilità politiche della tragedia alla stazione ferroviaria, fatto ritenuto non di competenza della procura di Novi Sad poiché riguarda reati economici e finanziari. Tra l’altro l’atto di accusa non include l’ipotesi di corruzione potenziale, nonostante siano emersi numerosi dubbi in merito alla trasparenza dei contratti stipulati tra la CCECC (la società cinese incaricata dell’appalto per la ristrutturazione della stazione ferroviaria di Novi Sad) e il subappaltatore serbo Starting, risalenti al 2021 e al 2022. Di fatto, il costo del progetto è passato da 162 milioni di euro a 435, senza spiegazioni chiare.
L’indagine in corso ignora anche la perizia eseguita dalla Facoltà di Scienze tecniche di Novi Sad e pubblicata il 31 dicembre che stabilisce che la tettoia, dopo la ricostruzione – inizialmente negata dalle autorità – pesava 23 tonnellate in più rispetto a prima. Un peso che la struttura non poteva sopportare.
È per questa serie di motivi che da settimane studenti e manifestanti ripetono senza sosta che le mani delle autorità sono sporche di sangue. Secondo un sondaggio recente, oltre il 60% dei serbi sostiene la protesta. Una mobilitazione che non si vedeva dall’inverno 1996-97, ai tempi di Slobodan Milošević, e che a distanza di quasi trent’anni è diventato il riferimento vittorioso per la mobilitazione degli studenti di oggi. Un degrado, quello della Serbia in picchiata libera verso l’antidemocrazia, che si combatte di generazione in generazione alla ricerca di democrazia e giustizia. Un paese il cui governo insabbia le proprie responsabilità, in cui un popolo intero che vuole vederci chiaro sull’oscurantismo della politica viene ignorato e tenuto allo scuro, per far sì che non possa vedere, come se avesse delle bende bianche sugli occhi.